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Anche ad una prima e sommaria lettura, è possibile rinvenire in buona parte dei testi di Girard un grandissimo numero di passi in cui egli si confronta con l’antropologia strutturale di Lévi- Strauss, assumendone o criticandone la portata culturale. È lo stesso Girard, in Delle cose nascoste, a riassumere sinteticamente come nasce lo strutturalismo etnologico e su quali fondamenti teorici si sviluppa fino a diventare una delle correnti culturali più diffuse nella Francia degli anni Cinquanta-Sessanta del No- vecento.

A metà del ventesimo secolo non c’è più alcun dubbio sul falli- mento delle grandi teorie. La stella di Durkheim è al tramon- to. Nessuno ha mai preso sul serio Totem und tabu. È in tale contesto che nasce lo strutturalismo etnologico, dall’incontro fra C.Lévi-Strauss e la linguistica strutturale di R.Jakobson a New York, durante la guerra. Come i linguaggi, afferma Lévi- Strauss, i dati culturali sono composti da segni che non avreb- bero alcun significato se fossero isolati gli uni dagli altri. I se- gni significano gli uni mediante gli altri; formano dei sistemi dotati di una coerenza interna che conferisce a ogni cultura, a ogni istituzione l’individualità sua propria. (DCC - 20).

Secondo Girard, lo strutturalismo è l’erede - o uno degli eredi - del fallimento delle grandi teorie filosofiche, ivi compresa la psicoanalisi, destinate ad abdicare ad altre discipline la loro im- presa di interpretazione del reale, in tutte le dimensioni dell’atti- vità umana. Insomma, lo strutturalismo assume il superamento della metafisica e con esso rinuncia a qualsiasi pretesa veritativa o valutativa del pensiero, limitandosi all’analisi della struttura, ossia dell’insieme di segni linguistici che acquistano il loro si-

gnificato solo in riferimento gli uni agli altri. Tuttavia - que- sta è l’operazione che compie Lévi-Strauss - i segni da decifrare non sono solo quelli linguistici, ma più in generale tutti i dati culturali che compongono le civiltà umane: essi, come i segni nel linguaggio, formano una struttura che caratterizza una data civiltà, con le sue consuetudini e le sue istituzioni, siano esse religiose o politiche.

Egli [l’etnologo] deve decifrare dall’interno le forme simbo- liche e dimenticare le grandi questioni tradizionali che riflet- terebbero unicamente le illusioni della nostra stessa cultura, e avrebbero senso unicamente in funzione del sistema entro cui operiamo. Bisogna limitarsi alla lettura delle forme simboli- che, ci dice Lévi-Strauss; bisogna cercare il senso là dove si tro- va e non altrove. Le culture “etnologiche” non si interrogano sul religioso in quanto tale. (DCC - 20).

Conseguenza diretta della limitazione, da parte dell’etnologo strutturalista, alla sola analisi delle strutture simboliche delle singole civiltà è l’abbandono inappellabile delle grandi questio- ni sull’origine della cultura umana, le cosiddette domande tra- dizionali che, non avendo finora trovato risposte soddisfacenti, sono dichiarate problemi insolubili e privi di senso. Il senso va ricercato là dove si trova, ossia nella struttura dei segni culturali.

In definitiva Lévi-Strauss invita l’etnologia e tutte le scienze dell’uomo a una vasta ritirata strategica. Prigionieri come sia- mo delle nostre forme simboliche, non possiamo far altro che ricostruire le operazioni di senso non solamente per noi ma per le altre culture; non possiamo trascendere i significati par- ticolari per interrogarci sull’uomo in sé, il suo destino, ecc. Tutto quello che possiamo fare è riconoscere nell’uomo colui che secerne le forme simboliche, i sistemi di segni, per poi fon- derli con la realtà stessa. […] Non vi è nulla di più essenzia- le per l’etnologia che cogliere il senso solamente dove si trova

e dimostrare l’inutilità di certe antiche riflessioni sull’uomo. (DDC - 20-21).

Secondo Girard, lo strutturalismo etnologico, come pensiero che indaga sulla struttura dei segni culturali, è per definizione

pensiero della rinuncia, giacché si preclude volontariamente qual-

siasi riflessione che esuli dalle differenze strutturali, e quindi dal particolare. Rinunciare alle grandi questioni, e in primo luogo a quella dell’uomo, significa fare di esso un animal symbolicum che produce sistemi significanti allo stesso modo in cui il ragno tesse la sua tela, ovvero senza poter indagare sull’origine dei si- stemi simbolici a cui egli stesso appartiene. Eccoci introdotti nel rapporto-scontro tra Girard e lo strutturalismo etnologico di Lévi-Strauss: certamente Girard riconosce il grande merito che Lévi-Strauss ha avuto nell’orientare le sue ricerche dalla lingui- stica all’etnologia, e in particolare al problema del religioso, ma non può condividere né l’impostazione strutturalista né tanto meno gli esiti di quel pensiero che, per non porsi più le grandi questioni sull’uomo – liquidate come un errore metodologico – si reclude nell’universo delle differenze strutturali e resta cie- co di fronte a qualsiasi soluzione capace di rendere ragione del fenomeno del religioso come fenomeno unitario. “Concludere in modo perentorio che il religioso non costituisce un enigma unico, significa affermare semplicemente che nessuno deve or- mai riuscire dove tutta l’etnologia, finora, ha fallito. In realtà si trova nel religioso una mescolanza di tratti ricorrenti e di trat- ti non ricorrenti, ma sempre apparentati gli uni agli altri, che suggerisce allo spirito scientifico delle possibilità di riduzione.” (DDC - 59). La posizione girardiana mantiene perciò sempre come punto di riferimento polemico lo strutturalismo etnolo- gico, nel tentativo di condurre un’indagine razionale – Girard

tutti i punti fondamentali delle analisi strutturaliste; esse non arrivano mai, a causa della loro stessa radice, alle conclusioni cui egli giunge, ossia lo svelamento dell’intimo rapporto tra vio- lenza e sacro, e di entrambe con la tendenza mimetica costitu- tiva dell’uomo, ma possono fungere da reagente, ossia indicare negativamente l’ambito in cui si porrà nuovamente la questione dell’uomo.

È l’ambito dell’origine e della genesi dei sistemi significanti. Esso viene già riconosciuto come problema concreto nel cam- po delle scienze della vita dove si presenta, certo, in modo ab- bastanza differente, nei termini del processo di ominizzazione. Si sa perfettamente che questo problema è lungi dall’essere risolto, ma non si dubita che la scienza, un giorno, riesca a trovarlo. Nessuna questione, oggi, ha maggior avvenire della questione dell’uomo. (DDC - 21).