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L’eco che Totem e tabù117 suscitò presso il pubblico e presso la cri- tica fu molto scarso; anzi, le tesi esposte in quel saggio da Freud furono presto considerate inaccettabili, in quanto fondate su un “circolo vizioso” – l’espressione è di Lévi-Strauss – che vorrebbe rendere conto di fenomeni che assume già come presupposti. Riportiamo il passo centrale del saggio di Freud, riguardante appunto l’omicidio collettivo del padre primordiale:

Un certo giorno i fratelli scacciati si riunirono, abbatterono il padre e lo divorarono, ponendo fine così all’orda paterna. Uniti, osarono compiere ciò che sarebbe stato impossibile all’indivi- duo singolo. […] Il progenitore violento era stato senza dubbio il modello invidiato e temuto da ciascun membro della schie- ra dei fratelli. A questo punto essi realizzarono, divorandolo, l’identificazione con il padre, ognuno si appropriò di una parte della sua forza. […] Dopo averlo soppresso, aver soddisfatto il loro odio e aver imposto il loro desiderio di identificazione con lui, dovette farsi sentire l’affezione nei suoi confronti fin allora

rimasta sopraffatta. Questo si verificò nella forma del rimor- so, sorse un senso di colpa che coincide con il rimorso sentito collettivamente. Morto, il padre divenne più forte di quanto lo fosse stato da vivo: […] ciò che prima egli aveva impedito con la sua esistenza, i figli se lo proibirono ora spontaneamente nella situazione psichica dell’”obbedienza retrospettiva”. Revo- carono il loro atto dichiarando proibita l’uccisione del sostituto paterno, il totem, e rinunciarono ai suoi frutti, interdicendosi le donne che erano diventate disponibili. Prendendo le mosse dalla coscienza di colpa del figlio, crearono i due tabù fonda- mentali del totemismo, che proprio perciò dovevano coincide- re con i due desideri rimossi del complesso edipico.118

Se si legge attentamente questo passo, saltano agli occhi biz- zarrie ancora più clamorose. L’omicidio, innanzitutto. Esso co- stituisce la principale curiosità dell’intera opera, è – dice Girard – “l’attrazione turistica” attorno alla quale ruota tutto il discorso di Freud. Eppure è del tutto inutile: se l’argomento che Freud vuole trattare è la genesi dei divieti sessuali, l’omicidio non fa che causare serie difficoltà.

Fintanto che non c’è omicidio, infatti, si può passare, senza che vi sia rottura, dalle privazioni sessuali inflitte ai giovani maschi dal padre terribile ai divieti propriamente culturali. L’omicidio spezza tale continuità. Freud si sforza di riparare la breccia ma senza troppa convinzione e le sue idee finali sono al tempo stesso più confuse e meno semplicistiche di quanto si dica. (VS - 267).

A dir la verità, l’ipotesi della derivazione dei divieti dal dispoti- smo paterno non è interamente freudiana, e Freud stesso indica l’etnologo Atkinson come il primo sostenitore di tale tesi:

118 S.Freud, Totem e tabù, cit., p. 194.

Atkinson sembra essere stato il primo a riconoscere che le con- dizioni assegnate da Darwin all’orda primitiva, nella pratica, non potevano che favorire l’esogamia. Ciascuno di quegli esi- liati [i giovani maschi cacciati dal padre] poteva fondare un’or- da analoga, all’interno della quale la proibizione delle relazioni sessuali era assicurata e mantenuta dalla gelosia del capo; ed è così che col tempo tali condizioni hanno finito per generare la regola che esiste attualmente allo stato di legge conscia: niente relazioni sessuali all’interno del totem.119

L’omicidio collettivo, invece, è un’invenzione di Freud; tuttavia la sua incongruenza rispetto al resto dell’opera obbliga il let- tore ad interrogarsi sulla ragione che ha indotto Freud a por- lo proprio a quel punto del suo discorso. Cerchiamo allora di ricostruire le vicende di Totem e tabù, poiché le teorie in esso esposte chiamano in causa svariati concetti costitutivi della te- oria mimetico-vittimaria, in primo luogo quello di omicidio collettivo e di sacrificio, per poterci limitare a reiterare passiva- mente la condanna dei suoi capisaldi teorici. Nel 1913, anno di pubblicazione di Totem e tabù, l’informazione etnologica stava muovendo i suoi primi passi, e le teorie di Frazer e Robertson Smith, le cui tracce si trovano chiaramente nel saggio di Freud, sono oggi ampiamente superate. La loro stessa nozione di tote- mismo è stata pressoché abbandonata. Tuttavia, non è detto che il crollare di una teoria trascini nel nulla tutti i dati che si sfor- zava di spiegare: se oggi, dopo Lévi-Strauss, non ha più senso parlare del totemismo come categoria etnologica, in quanto esso è parte della più ampia attività classificatoria dell’uomo primi- tivo, ciò non significa che i fenomeni che venivano spiegati gra- zie al totemismo perdano la loro importanza. Compiendo tale operazione, si rischia di nullificare, insieme al totemismo, tutto

il problema del religioso, ed è quello che fa lo strutturalismo. Freud non cade in quest’errore: egli vede perfettamente quanto vi sia di precario nella nozione di totemismo e quanto esso sia, in ultima analisi, un enigma. Non accetta infatti nessuna del- le teorie sul totemismo proposte dalle discipline sociologiche e psicologiche; in particolare, si scaglia contro le teorie nomina- liste: “Tutte queste teorie (nominaliste) […] spiegano perché le tribù primitive portino dei nomi di animali, ma lasciano senza spiegazione l’importanza che tale denominazione ha acquisito ai loro occhi, in altre parole non spiegano il sistema totemico.”120 L’atteggiamento di Freud è interamente condivisibile perché in- siste sulla necessità di non lasciare svanire il problema totemico, e quindi religioso, dietro l’apparenza dell’“affatto naturale.” Egli osserva che, nel religioso, le opposizioni coincidono: il bene e il male, la gioia e la tristezza, il lecito e il proibito. Anzi, è proprio questo incontro di lecito ed illecito nella festa rituale ad attrarre la sua attenzione: “Mentre si sacrifica ritualmente l’animale, lo

si piange solennemente…” Negli aspetti propriamente religiosi

del totemismo, Freud ritrova la coincidentia oppositorum, l’in- contro degli incompatibili e i capovolgimenti tipici del religioso; egli intravede che questi ultimi sono governati dal gioco della violenza che s’inverte al suo parossismo grazie alla mediazione dell’omicidio collettivo, di cui egli stesso ammette la necessi- tà ma non il carattere operatorio, in quanto gli resta oscuro il meccanismo della vittima espiatoria. Solo la vittima espiatoria permette di comprendere la ragione per la quale, man mano che si procede all’immolazione, quest’azione dapprima crimi- nale diviene santa. È appunto il caso del totemismo: il divieto di cacciare e mangiare l’animale totemico si può violare in certe occasioni solenni, le feste rituali, durante le quali tutta la comu- nità infrange la legge. Anche se Freud non arriva alla totalità

120 Ivi, p. 152.

di questa visione, la sua intuizione non lo inganna quando gli suggerisce di riportare l’enigma totemico ad un omicidio reale; tuttavia, mancandogli il meccanismo essenziale, non riesce a su- perare la tesi di un’uccisione unica avvenuta all’inizio dei tempi, la quale, se presa alla lettera, può soltanto far sorridere. Scrive a tal proposito Girard:

Prima di affermare che Freud sogna l’uccisione del suo stesso padre e scrive sotto dettatura del suo inconscio, si farebbe bene a valutare con lui i formidabili argomenti riuniti in Totem e

tabù. Freud insiste, come qui si è fatto, sull’esigenza di parte-

cipazione unanime nei riti. La trasgressione sarebbe semplice- mente criminale e distruttiva se non riguardasse tutti, operanti all’unisono. Benché non arrivi ad individuare gli effetti benefi- ci dell’unanimità, Freud riconosce che la santificazione poggia sull’indivisione. (VS - 272).

Secondo Girard, è grave che i critici di Freud e la stessa psi- canalisi successiva facciano a gara per occultare sempre più le intuizioni che emergono in Totem e tabù. D’accordo, l’ipotesi dell’uccisione primordiale unica è inaccettabile, ma perché non raccogliere l’indicazione di Freud ed avviarsi sulla strada che fa convergere le cosiddette “credenze totemiche” sull’uccisione collettiva, non unica ma continuamente ripetuta da ogni comu- nità?

Una vita che nessun individuo può sopprimere e che può es- sere sacrificata solo con il consenso, la partecipazione di tutti i membri del clan, occupa lo stesso rango della vita dei membri stessi del clan. La regola, che ordina a ogni convitato che as- siste al pasto del sacrificio di assaggiare la carne dell’animale sacrificato, ha lo stesso significato della prescrizione secondo cui un membro della tribù che ha commesso una colpa deve essere giustiziato dalla tribù intera. In altre parole, l’animale

comunità a offrire il sacrificio, il suo dio e l’animale erano dello stesso sangue, membri di un solo e medesimo clan.121

Come si può facilmente constatare, nelle deduzioni essenziali non rientrano affatto gli elementi più problematici ed enigmati- ci del totemismo; Totem e tabù non prospetta affatto una teoria del totemismo, ma semmai si orienta verso una teoria del sacrifi- cio. Prova ne sono i molteplici riferimenti ai resoconti etnologici che hanno come oggetto sacrifici e immolazioni di animali, pri- mo fra tutti il sacrificio del cammello risalente al IV secolo d.C. nel deserto del Sinai e riportato da Robertson Smith. Certo, tali sacrifici sono ricondotti alla “sopravvivenza di credenze totemi- che”; tuttavia, l’interesse che Freud nutre nei loro confronti è dovuto alla vicinanza di tali fenomeni alla sua visione dell’ucci- sione collettiva. Nel sacrificio del cammello – per seguire questo esempio – l’animale è legato come un criminale, mentre la folla è armata; nel diasparagmos dionisiaco la vittima non è legata, non vi sono armi, ma c’è sempre la folla e il suo precipitarsi sulla vittima. È sempre una scena di linciaggio ad essere mimata. Qui Freud non può ricondurre il sacrificio al sogno, non può essere il simulacro di un delitto che nessuno ha mai commesso.

Il sacrificio si mostra proprio come un atto che si compie al po- sto di un altro che, nelle normali condizioni culturali, nessuno osa e neanche desidera commettere, ed è questo che Freud, letteralmente imprigionato nel problema dell’origine, cessa completamente e paradossalmente di vedere. […] Egli vede che bisogna far risalire il sacrificio ad un evento ben più vasto e l’intuizione dell’origine che si impossessa di lui, poiché non è seguita fino in fondo, poiché è incapace di concludersi, gli fa perdere ogni senso della funzione. […] Per conciliare la fun- zione con la genesi, per svelarle completamente l’una per mez-

121 S.Freud, Totem e tabù, cit., p. 187.

zo dell’altra, occorre impadronirsi della chiave universale che Freud elude sempre: solo la vittima espiatoria può soddisfare tutte le esigenze ad un tempo. (VS - 277).

Bisogna tuttavia riconoscere a Freud una scoperta formidabi- le: anche se gli resta celata la funzione originaria della vittima espiatoria, egli è il primo ad affermare che il rito affonda le sue origini in un’uccisione reale. Tuttavia, dopo di lui questa sco- perta verrà del tutto occultata se non ridicolizzata: “Tale opera [Totem e tabù] deve quindi restare in disparte, come se non fosse mai stata scritta. La vera scoperta di Freud, la sola di cui si possa dire con certezza che è destinata a iscrivere il suo nome nell’albo della scienza, è sempre stata considerata senza importanza.” (VS - 277).