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Come abbiamo illustrato nella prima sezione, il percorso teorico di Lévi-Strauss dopo Le strutture elementari della parentela si dirige verso l’indagine sulla possibilità di un incontro tra antro- pologia e linguistica strutturale. Tutta l’Antropologia strutturale si sviluppa attorno al tema di una possibile adozione del metodo proprio della linguistica e della fonologia da parte dell’antropo- logia, adozione che si fonda sui concetti di sistema e di struttura. Proprio su queste due fondamentali nozioni si impernia la critica di Girard a Lévi-Strauss e, più in generale, allo strutturalismo. Se per quanto riguarda la critica girardiana agli studi strutturali sulla parentela ci siamo rivolti al significativo capitolo su Lévi- Strauss contenuto ne La violenza e il sacro, ora, per analizzare il punto di vista di Girard sul metodo strutturale in antropologia, ci rivolgeremo all’altra grande opera, Delle cose nascoste, e in par- ticolare al paragrafo intitolato Il significante trascendentale.103

Nel corso dell’esposizione della teoria mimetico-vittimaria, Girard afferma che non è possibile allontanare dalla comunità la violenza, attraverso la vittima espiatoria, senza elaborare allo stesso tempo una teoria del segno e della significazione. Il con- fronto con Lévi-Strauss avviene perciò inevitabilmente sul terre- no dei concetti di segno e di significato: se dobbiamo sondare la possibilità che l’antropologia strutturale di Lévi-Strauss abbia in-

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fluenzato l’antropologia mimetica di Girard, essa va cercata nel- le diverse interpretazioni del concetto di sistema – entro il quale dobbiamo collocare quelli di segno e significato - e nei differenti ruoli da loro assegnatigli. Sappiamo come Lévi-Strauss ponga il concetto di sistema a fondamento di tutta l’analisi strutturale: non c’è infatti significato all’infuori del sistema, poiché ogni elemento del sistema è in costante legame con gli altri, e una qualsiasi sua variazione provocherebbe una variazione dell’inte- ro sistema. Dunque non ci sono fenomeni singoli assolutamente autonomi, che non possano essere inseriti in un sistema di re- lazioni con altri fenomeni: il sistema è il punto di partenza per la comprensione di qualsiasi significato culturale. Ora, secondo Girard, il sistema, così come lo intende Lévi-Strauss, ha un ca- rattere statico, poiché ogni elemento possiede lo stesso grado di significazione: pertanto esso, se proprio deve essere assunto come strumento interpretativo, va considerato come seconda- rio. Veramente originario è solo il meccanismo dell’eccezione e dell’unità che emerge entro una molteplicità confusa e indiffe- renziata: insomma, semplificando un po’, si tratta del modello del sorteggio, della pagliuzza più corta o della fava nel gâteau des

rois dell’Epifania.

Anche prima di arrivare al segno, mi pare si debba vedere nel meccanismo vittimario, nella sua forma più elementare, una prodigiosa macchina per destare un’attenzione di tipo nuovo, la prima attenzione non istintuale. A partire da un certo grado di frenesia, si effettua la polarizzazione mimetica sulla vittima unica. Dopo essersi appagata su questa vittima, la violenza, ne- cessariamente, si interrompe, allo strepito subentra il silenzio. […] Poiché la vittima è la vittima di tutti, su di lei è fissato, in questo istante, lo sguardo di tutti i membri della comuni- tà. Di conseguenza, al di là dell’oggetto puramente istintuale,

tuire l’oggetto primario per questo nuovo tipo di attenzione. (DDC - 128).

Secondo Girard, il meccanismo vittimario è la prima fonte del pensiero umano, il quale è sostanzialmente diverso da qualsiasi attitudine istintuale. Dal linciaggio della vittima e dagli effetti da esso prodotti si desta un’attenzione nuova, tesa alla ripetizio- ne di quel meccanismo che ha saputo riportare la pace la prima

volta. Ma per poter ripetere il linciaggio fondatore, occorre in

qualche modo pensarlo. È pertanto assurdo porre alla base del pensiero umano i complessi sistemi di cui parla Lévi-Strauss, perché essi non sono altro che derivati dall’unica forma origina- ria del pensiero, che è il meccanismo dell’esclusione per sorteg- gio, la designazione casuale della vittima.

Per quanto debole sia, la coscienza che i partecipanti acquisi- scono della vittima è strutturalmente legata agli effetti prodi- giosi che accompagnano il suo passaggio dalla vita alla morte, al rivolgimento spettacolare e liberatore che in quell’istante si effettua. Le sole significazioni che possono apparire sono quel- le del doppio transert: le significazioni del sacro, quelle che attribuiscono alla vittima la responsabilità attiva di tutta la vi- cenda. (DDC - 128-129).

Da quanto detto, si vede bene che le interpretazioni di Lévi- Strauss e di Girard del concetto di sistema sono del tutto dif- ferenti, poiché la prima si fonda sul rapporto di almeno due elementi che si significano a vicenda, mentre la seconda pone al centro l’emergere di un unico segno, la vittima, che è allo stesso tempo significante e significato, elemento unico e primo su cui si fondano tutte le significazioni secondarie che costituiscono la cosiddetta cultura. Il meccanismo vittimario è la prima vera occasione per l’uomo di pensare, e pensare per lui non signifi- ca trovare relazioni tra elementi diversi, ma scoprire quell’unico

segno in grado di allontanare la violenza, quell’unico individuo capace di causare la crisi ma anche di liberare da essa la co- munità. È il rivolgimento improvviso dalla crisi indifferenziata alla struttura sociale differenziata a costituire la scaturigine del pensiero, ed ogni elaborazione successiva non possiede un tale grado di originarietà.

Non è necessario generare questa opposizione binaria. Essa ha un carattere puramente sincronico e statico. Non si può par- tire da un sistema strutturalista con due elementi differenziati l’uno attraverso l’altro e aventi lo stesso grado di significazione. Ma esiste un modello più semplice, che è il solo dinamico, il solo veramente genetico cui nessuno mai pensa. È il modello dell’eccezione in via di emergere, dell’unità, in verità qualsiasi, unica a risaltare in una massa confusa, in una molteplicità non ancora enumerata. (DDC - 129).

L’eccezionale forza di questa argomentazione di Girard risiede nel fatto che solo una logica di questo tipo – potremmo chia- marla logica dell’emersione dell’unità – è in grado di spiegare la genesi dei riti. Infatti, la maggioranza dei riti è associata ad una logica di questo genere, e lo strutturalismo nulla può fare per poter ricondurre i rituali ad un sistema di significazione binaria, perché essa semplicemente non esiste. Nei riti è sempre il sorteg- gio casuale a dominare, la scelta della vittima avviene sempre in modo tale da risultare come un’unità indeterminata che si differenzia progressivamente dalla folla: ad essa viene attribuita la responsabilità della crisi violenta e, in seguito al sacrificio, il ristabilimento della pace e delle differenze perdute durante la crisi.

Anche nelle forme più attenuate di sorteggio, si vedono pola- rizzarsi sull’eletto le significazioni multiple del sacro. Colui cui

rituali. Serve da bersaglio ai motteggi; è una specie di capro espiatorio, ma rappresenta in sé quel gruppo di cui è l’escluso; in un certo senso, dunque, troneggia su di esso: è davvero il re. Questa divertente mini-sacralizzazione delinea una specie di

significante trascendentale [corsivo nostro]. Che non ci vengano

allora a dire che la polivalenza rituale è impensabile, che è solo una nostalgia dell’“immediato” estranea alle vere strutture del pensiero e della cultura umana! (DDC - 131).

Soltanto grazie alla vittima, in quanto essa scaturisce dalla co- munità tramite la scelta casuale, e la stessa comunità scaturisce da lei in quanto principio della differenziazione, possono esi- stere rapporti quali interno/esterno, prima/dopo, comunità/sacro. La vittima si presenta al medesimo tempo malvagia e buona, pacifica e violenta, principio di morte e di vita. Non esiste signi- ficazione che non si prefiguri in lei e in lei non venga trascesa. Essa è il significante trascendentale; o, per lo meno, anche se non fosse il vero e unico significante trascendentale, è quello che gli uomini utilizzano come tale.

Il significante è la vittima. Il significato è tutto il senso attuale e potenziale attribuito dalla comunità a questa vittima e, per suo tramite, a ogni cosa. Il segno è la vittima riconciliatrice. Poiché comprendiamo facilmente che gli uomini vogliono rimanere riconciliati, all’uscita dalla crisi, comprendiamo anche che gli uomini si adoperano a riprodurre il segno; ossia a praticare il linguaggio del sacro, sostituendo nei riti alla vittima originaria delle vittime nuove per assicurare il mantenimento di questa pace miracolosa. L’imperativo rituale fa tutt’uno dunque con la manipolazione dei segni, con la loro moltiplicazione, e si offro- no allora, costantemente, nuove possibilità di differenziazione e di arricchimento culturale. (DDC - 132).

Motivati dal terrore sacro, e per continuare a tenere lontana la violenza indifferenziata, gli uomini si sforzano di riprodurre il

segno vittimario e di rappresentarlo: è qui che si situa l’attività del pensiero, del linguaggio e della scrittura, forme particolari dell’unica produzione di significato che è la ricerca della vittima maggiormente in grado di ripetere ciò che è successo la prima

volta, all’origine della civiltà. Lo scambio di parole, così come

ogni altro scambio, deve anch’esso trovare la sua origine nel rito, nelle urla e nelle grida presenti sia durante la crisi mimetica sia durante il sacrificio pacificatore. Non è difficile pensare che, nel- la pratica rituale, queste grida dapprima inarticolate comincino a trasformarsi, prima in gesti e danze, poi in parole e linguaggi più complessi: in fondo, aveva visto bene Durkheim, quando individuava nel religioso la fonte di ogni categoria e rappresen- tazione concettuale.

Nella teoria vittimaria di Girard ritroviamo molti concetti e termini presenti già in Lévi-Strauss, e non possiamo negare che proprio dal confronto con lo strutturalismo Girard abbia potuto chiarire molte delle sue posizioni. Resta però evidente quanto la prospettiva di Girard si allontani sempre più dallo strutturali- smo, in quanto quest’ultimo esclude ogni riflessione sulla logica

dell’emersione dell’unità, l’unica considerata da Girard come ve-

ramente originaria, rispetto alla quale ogni sistema di relazioni tra fenomeni è secondario. Ma lo strutturalismo si scontra ben presto con un problema: come spiegare i riti? Poiché sulla base del sistema binario dei rapporti tra fenomeni non c’è modo di intendere in modo unitario i riti, i miti e la problematica del re- ligioso, Lévi-Strauss non esita a dire che è impossibile fornire una spiegazione unitaria di tali questioni, semplicemente perché non esiste una categoria come il sacro e i riti, ma gruppi di fenomeni eterogenei tra loro. È ciò che – agli occhi di Girard - succede ne Il totemismo oggi e ne Il pensiero selvaggio: non potendo riu- nire sotto un concetto unico fenomeni non riducibili al sistema

strutturale, non vi è nulla di più semplice che affermare che tali fenomeni non esistono.