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La complessa tematica del rapporto natura-cultura, che aveva attraversato tutta l’elaborazione teorica de Le strutture elemen-

tari della parentela, viene ripresa e approfondita ne Il pensiero selvaggio84. Uscito quattro anni dopo l’Antropologia strutturale,

Il pensiero selvaggio è certamente uno dei testi più interessan-

ti dell’intera produzione di Lévi-Strauss, a metà strada tra una ricerca puramente etnologica e uno studio filosofico-epistemo- logico. In termini generali, questo studio vuole essere un arti- colato recupero della dimensione logica e affettiva della cultura primitiva, presentata nella sua complessità e nella ricchezza dei suoi valori, non solo in sé, ma anche in rapporto alla nostra so- cietà, che si pretende civilizzata. Dalla riflessione su questo testo, si desume che il mondo primitivo rivela senza dubbio l’esistenza di un’umanità vivente e pensante, ad uno stadio che dimostra essere - con buona pace di Frazer - tutt’altro che irrazionale. Al contrario, quel mondo esprime una complessa trama di proble- mi e di esigenze, ed escluderli dal dibattito contemporaneo si- gnificherebbe, agli occhi di Lévi-Strauss, cristallizzare la nostra società entro i canoni di una logica e di una morale, rivelando una scarsissima disponibilità alla comprensione dell’alterità cul- turale.

Cosa intende Lévi-Strauss con l’espressione pensiero selvaggio? Questo termine apparirà sconcertante per chi è abituato a pen- sare nei termini di una differenza abissale tra ciò che è progre-

dito e ciò che è selvaggio: infatti, non si tratta di recuperare un

qualcosa di lontano e di totalmente estraneo alla società civile, ma di riconoscere che il complesso di nozioni, tecniche ed abi- tudini che troviamo presso i popoli primitivi appartengono a

tutto il mondo umano, noi compresi. Una scienza e una civiltà gravemente insicure come le nostre hanno costruito le loro fon- damenta proprio sulla convinzione della diversità assoluta tra civilizzati e primitivi: esse hanno decretato che i selvaggi condu- cono una vita non consona ai principi della ragione e non ispira- ta da fini razionali. Ora, tutto Il pensiero selvaggio è costruito per combattere questo pregiudizio secolare. Lungi da Lévi-Strauss il tentativo di dimostrare l’identità tra cultura occidentale e civiltà primitive; né tantomeno di inneggiare ad un ritorno alla cultura primitiva: egli vuole soltanto mostrare che anche i comporta- menti logici e affettivi dei selvaggi obbediscono ad una raziona- lità, diversa dalla nostra ma pur sempre tale. “Mai e da nessuna parte il selvaggio è senza dubbio stato quell’essere appena uscito dalla condizione animale, ancora soggetto all’imperio dei suoi bisogni e dei suoi istinti, che ci si è troppo compiaciuti di imma- ginare, e neppure quella coscienza dominata dall’affettività ed immersa nella confusione e nella partecipazione.”85

Ben lontano dal parlare di tutto il pensiero selvaggio, Lévi- Strauss concentra le sue ricerche, com’è noto, su un argomento specifico, vale a dire sui sistemi di classificazione elaborati dai selvaggi, dalle classificazioni di animali e vegetali a quelle so- ciali, atte a distinguere le tribù, come i clan e le famiglie. Sulla scia degli studi di Durkheim e Mauss sulla classificazione86, ma nel tentativo di superarne l’impostazione, Lévi-Strauss afferma che lo spirito primitivo non è meramente emozionale: esami-

85 Ivi, p. 57.

86 Questo studio era già stato avviato da Durkheim e Mauss in un saggio del

1901, Alcune forme primitive di classificazione (E.Durkheim e M.Mauss, Es-

sai sur quelques formes de classification, Anné Sociologique, VI, 1901-2; trad.

it. in E.Durkheim, H.Hubert e M.Mauss, Le origini del pensiero magico, Einaudi, Torino, 1951, pp. 19-92), nel quale essi mostravano – su una base documentaria, a dire il vero, abbastanza ristretta – che non esiste, presso i primitivi, un modo univoco di esercitare la funzione classificatrice.

nare i sistemi di classificazione dei selvaggi significa studiare il funzionamento non affettivo, ma logico del pensiero primitivo. I selvaggi sono in grado di elaborare forme di classificazione sul- la base di principi logici tutt’altro che elementari: Lévi-Strauss passa in rassegna innumerevoli esempi etnografici, concludendo che i primitivi non posseggono una o due categorie-base con cui classificano la realtà, ma veri e propri sistemi, capaci di unificare piani diversi del reale.87 Secondo Lévi-Strauss, il pensiero selvag- gio offre una proposta di valore permanente: l’attenzione ai dati sensibili, al problema delle loro correlazione, al significato che rivestono nel mondo umano. Del resto, molte discipline, come la fisica o la chimica, stanno cercando di recuperare quei carat- teri che l’impetuoso processo quantitativo della scienza moder- na aveva del tutto trascurato. Ben lungi dall’essere fondati su categorie matematiche, i sistemi di classificazione selvaggia si strutturano su caratteristiche qualitative, sensoriali: i colori, gli odori, le differenziazioni interne diventano il centro di queste analisi. È la cosiddetta logica delle qualità sensibili, primizia del pensiero selvaggio, per cui una forma naturale non è solo un contorno geometrico, ma un oggetto carico di significati seman- tici e portatore di differenze strutturali interne. Insomma, ciò che la semiotica e la linguistica contemporanee stanno scopren- do soltanto ora, il pensiero selvaggio lo sapeva da sempre.

Incapace di esprimersi in un discorso completamente cultura- le, cioè del tutto indipendente dalla natura, il pensiero selvag- gio soddisfa il bisogno umano di ordinare il reale capovolgendo

87 Esemplare è il caso della magia, già oggetto d’indagine da parte dell’etno-

logia tradizionale, da Frazer a Malinowski. In un clima di ritrovato interesse per questo tema, riesaminato ad esempio da Eliade, Caillois e Leenhardt, Lévi-Strauss afferma che la magia non è affatto un stato primordiale della scienza, né un suo tentativo abortito, come Frazer scriveva nel Ramo d’oro,

l’atteggiamento dei civilizzati: esso non riduce le differenze ad unità, ma le esalta, esplicitandone la molteplicità degli aspetti e delle caratteristiche sensibili. In questa logica, emerge il rifiuto del pensiero selvaggio di considerare natura e cultura come due mondi eterogenei ed opposti, dimostrando così un’enorme ca- pacità di mediazione tra questi due poli: ne scaturisce non solo un sistema logico differente dal nostro, ma una vera e propria

Weltanschauung, una visione del mondo che investe l’intera esi-

stenza di coloro che, con ragioni sempre meno evidenti, conti- nuiamo a definire “selvaggi”.