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Il problema del rapporto tra Girard e lo hegelismo francese degli anni Trenta e Quaranta del Novecento è un problema piuttosto complesso, soprattutto per un motivo: nelle sue opere maggiori, egli non fa quasi mai riferimento ad autori come Kojève, Wahl,

Bataille.128 Eppure, moltissimi luoghi testuali, se non in ma-

niera esplicita, fanno presagire la presenza di una dimensione per così dire “sotterranea” del pensiero di Girard, che si ricolle- gherebbe, se non nell’accordo dei risultati almeno nella comu- nanza dei temi, alla cosiddetta Hegel-renaissance. Cercheremo di individuare questi nuclei concettuali, attraverso un lavoro di archeologia testuale che non forzi mai i testi girardiani, al fine di individuare gli elementi teorici dello hegelismo francese che, in qualche modo, possono aver influenzato Girard nell’elabo- razione della teoria mimetica e che rappresentino un elemento di confronto dialogico – per quanto non esplicitato pienamente – decisivo per lo sviluppo del proprio pensiero. In primo luogo, crediamo opportuno fare una considerazione di carattere forma-

128 In realtà Bataille viene citato da Girard una volta sola, ne La violenza e il

sacro, senza però essere inserito nella parte essenziale dell’argomentazione;

le – si sarebbe tentati di dire “estetico” – sulla teoria girardiana: senza alcun dubbio, essa può essere definita un vero e proprio

sistema. Non certamente nel senso di un sistema metafisico; anzi,

Girard parla a più riprese della cosiddetta “fine della metafisica” come progressivo sgretolarsi del sacro, e pone la teoria vittimaria proprio nello spazio dell’“indomani della metafisica.” Tuttavia, il suo è e resta un sistema, nel senso che, mediante due strumenti interpretativi – il mimetismo e il meccanismo sacrificale -, esso è in grado di spiegare e comprendere al suo interno le più diverse manifestazioni della cultura umana, siano esse religiose, sociali,

politiche o economiche. Insomma, come ha scritto Guillet,129 i

principi della vittima espiatoria e del desiderio mimetico spiega- no tutto, dal processo di ominizzazione allo snobismo proustia- no. Ciò perché la teoria di Girard assume e “metabolizza” anche ciò che vorrebbe confutarla: infatti, ciò che le si oppone è sempre interpretato come tentativo di autodifesa del sacro violento con- tro gli attacchi della demistificazione, quindi reinglobato in quel misconoscimento della violenza che è elemento essenziale della struttura stessa del sacro. In quest’ottica, la teoria di Girard è in-

confutabile, poiché trova sostegno anche in ciò che le si oppone.

Giungiamo pertanto a rintracciare, in Girard, la presenza di una sorta di ésprit de systhème che, tuttavia, non degenera mai nella

hybris di un sapere onnifondativo ed onniincusivo, ma si pone

come tentativo di interpretazione unitaria, organica e – Girard lo sottolinea più volte – “scientifica” della genesi della cultura umana. A tal proposito, Girard ammette che il nesso tra vio- lenza e sacro, pur essendo un’intuizione di grande importanza, resta pur sempre un’interpretazione, non per questo meramente relativa e di natura congetturale, ma in ogni caso passibile di essere riesposta ed approfondita, in futuro, in maniera diversa e - con ogni probabilità - più esauriente.

129 J.Guillet, René Girard et le sacrifice, in « Etudes », 351, Luglio 1979.

Bozza

Penso che sia necessario, a questo punto, fare il nostro discorso. Se infatti non lo facessimo, lo farebbero altri al nostro posto. Verranno altri, ad ogni modo, che ridiranno quello che stiamo dicendo meglio di noi e spingeranno più lontano le cose. Ma anche questi libri avranno un’importanza minore; gli eventi in seno ai quali sorgeranno saranno infinitamente più eloquenti dei nostri scritti e renderanno presto verità, che facciamo tanta fatica a suggerire e suggeriamo così male, delle cose semplici e banali. Sono già semplicissime, troppo semplici per interessare il nostro bizantinismo ma si semplificheranno ancora, presto saranno alla portata del primo venuto. (DDC - 183).

Se, a proposito della teoria girardiana, possiamo parlare di siste-

ma, certo non lo possiamo fare nei termini di un sistema dell’as-

soluto; anzi, ci pare opportuno introdurre un concetto nuovo, che, pur essendo al limite dell’ossimoro, è in grado di definire correttamente la prospettiva di Girard, vale a dire il concetto di

sistema ermeneutico. Questi due termini, che sembrano stridere

se accostati, si adattano perfettamente alla teoria vittimaria, in quanto essa è propriamente un sistema, ma ciononostante non si pone come visione definitiva ed assoluta del reale, ma come interpretazione di esso, ammettendo, in forza del proprio carat- tere scientifico, la possibilità di una riformulazione migliore, più chiara, più corretta. Approdiamo con ciò stesso ad un tipo di scientificità nuova,130 non più di derivazione positivista ma che, mantenendo ben salda l’aspirazione alla comprensione unitaria

130 Emerge, nel pensiero di Girard, l’interesse per un tipo nuovo di scienza,

che assuma i risultati delle indagini sulla mimesi e sulla genesi sacra della cultura umana. Per una discussione più approfondita su tale dimensione epistemologica del pensiero girardiano rimandiamo agli studi di J.P.Dupuy,

Ordini e disordini. Inchiesta su un nuovo paradigma, cit., C.Formenti, Pro- meteo e Hermes, Napoli, Liguori, 1986, pp. 16-24 e pp. 106-122, M.Serres,

del reale, al sistema, ne rigetta però ogni implicazione metafisica ed ogni pretesa assolutistica, lasciando aperta la possibilità ad un ripensamento ed una riesposizione futura del sistema stesso.

Gran parte della filosofia novecentesca nasce sulle ceneri dei grandi sistemi metafisici, in primo luogo di quello hegeliano, e tende ad associare questi due concetti – quello di metafisica e quello di sistema, appunto – rigettandoli entrambi. Girard, pur assumendo la portata epocale della morte della metafisica, non identifica con quest’ultima ogni sistema tout court: egli man- tiene la nozione e l’esigenza del sistema come di un apparato concettuale organico ed unitario che non si perda nei meandri dei saperi regionali, ma aspiri ad un’interpretazione scientifica della realtà umana nel suo complesso e nelle sue più specifiche sfaccettature. In questa particolare prospettiva, possiamo rin- tracciare un legame – che resta, ricordiamolo, formale, estetico – tra la teoria girardiana e il sistema hegeliano. A prescindere dal tentativo di Hegel di dire “l’ultima parola” sull’essere, su Dio, sull’uomo e sul mondo, tutti ricompresi in un unico movi- mento, il sistema hegeliano e quello girardiano si fondano sulla comune aspirazione alla comprensione del reale attraverso le di- namiche e le interazioni tra pochi principi semplici, che operano

ab origine alla costituzione del mondo e che ne determinano il

destino. Il rapporto tra Hegel e Girard si inserisce pertanto nel recupero girardiano del concetto di sistema, svuotato tuttavia di ogni implicazione metafisica e risostanziato attraverso l’idea di una nuova scienza dell’uomo, capace di integrare organicamente ed unitariamente i dati forniti dalle varie scienze umane in vista di una comprensione, se non definitiva, quanto più completa dell’esistenza umana. Ponendo a confronto le prospettive di He- gel e Girard, troviamo senza dubbio in quest’ultimo una mag- giore attenzione alla dimensione negativa dell’esistenza umana, laddove Hegel, per lo meno lo Hegel sistematico, interpreta il

negativo come momento necessario, destinato ad essere supera- to, della vita dello Spirito. Girard approfondisce questo rapporto nel suo ultimo testo, Portando Clausewitz all’estremo:

[…] la dialettica non è la riconciliazione degli uomini tra loro, ma coincide invece con il duello, con la lotta per le identità op-

poste e per il riconoscimento. […] Del cristianesimo egli ripren-

de la riconciliazione, che sola consentiva di evitare l’astrazione, l’unica in grado di riportare agli uomini la salvezza e la pace. Ma ciò che Hegel non vede è che l’oscillazione tra le posizioni

opposte fattesi equivalenti può benissimo tendere all’estremo, che

l’opposizione può avvicinarsi benissimo all’ostilità e l’alternan- za intensificarsi fino alla reciprocità. Il pensiero hegeliano, pur avendo aspetti tragici, non ne ha di catastrofici. Passa in ma- niera molto fiduciosa dalla dialettica alla riconciliazione, dalla reciprocità alla relazione, dando spesso, in realtà, l’impressione di dimenticare da dove proviene. (AC – 63-64).

Come sappiamo, una lettura della filosofia hegeliana più atten- ta ai temi dell’esistenza umana, del male e dell’estremo, è stata tentata negli anni Trenta e Quaranta del Novecento da alcuni studiosi francesi, in particolare da Wahl e Kojève. Ora, questi studi hanno avuto una notevole diffusione nella cultura filo- sofica francese di quegli anni, ha influenzato un’intera gene- razione di pensatori francesi – tra cui Lacan, Bataille, Sartre, Merleau-Ponty – ed è flitrata anche nella generazione successiva, raggiungendo anche il giovane Girard – così come anche Der-

rida o Foucault.131 È questa nuova immagine di Hegel, meno

interessato al sapere assoluto in favore di una considerazione più approfondita del problema del male e del negativo nell’esistenza umana, che ha fornito a Girard dei preziosi spunti di riflessione.

A tal proposito, sorprendente è la somiglianza tra numerosi passi girardiani e una delle prime pagine dell’Introduzione alla lettura

di Hegel di Kojève:

Il Desiderio diretto verso un oggetto naturale è umano solo in quanto è “mediato” dal Desiderio di un altro diretto verso lo stesso oggetto: è umano desiderare quello che gli altri deside- rano, perché lo desiderano. Pertanto, un oggetto assolutamente inutile dal punto di vista biologico può essere desiderato solo perché è l’oggetto del desiderio d’altri. Tale Desiderio può es- sere un desiderio esclusivamente umano, e la realtà umana, che si distingue da quella animale, viene creata solo da azioni che soddisfano questo Desiderio: la storia umana è la storia dei Desideri desiderati.132

Sempre nel saggio dedicato a Clausewitz, Girard ritorna su que- sta presenza, più o meno sotterranea, del neo-hegelismo france- se nella genesi della teoria mimetica. Vale la pena di rileggere l’intero passo, confrontandolo con quello, appena riportato, di Kojève.

[…] all’uscita di Menzogna romantica e verità romanzesca, nel 1961, molti hanno voluto vedere in me l’erede di Kojève, il grande commentatore di Hegel. Si trattava di una rifrittura del pensiero hegeliano, in virtù della quale si è ripetuto che il desiderio mimetico, a sua volta, non era che una ripresa del de- siderio di riconoscimento in Hegel, e questo per suggerire che le mie analisi erano datate, rifacendosi a dibattiti sorpassati. Allora protestai come un ossesso, non c’è dubbio. Ma non si può negare che l’orizzonte hegeliano era ancora presente. […] Tutti [i frequentatori dei seminari di Kojève] parlavano di que- sta “coscienza di sé” che deve necessariamente passare per il “riconoscimento dell’altro.” Il servo era obbligato a riconoscere

132 A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, Milano, Adelphi, 1996, pp.

13-14 (tit. orig. Introduction à la lecture de Hegel, Parigi, Gallimard, 1947).

il proprio padrone. C’è dunque qualcosa di vero nell’idea che questa dialettica abbia influenzato la mia lettura del romanzo e quella che chiamo “verità romanzesca.” […] Ciononostante, io vedevo questa dialettica a prescindere da tutti. Non saprei nemmeno descrivere quale sia l’influenza di hegel sulle mie formulazioni, forse l’idea di esprimere le influenze mimetiche in termini di desiderio… […] Insomma, le mie affinità con questa filosofia erano innegabili. (AC – 65).

Tentiamo di articolare queste considerazioni di Girard sulle pro- prie relazioni con il neo-hegelismo seguendo la sua indicazione sulla differenza essenziale tra la dialettica hegeliana e la teoria mimetica: l’ammissione - tipica di quest’ultima - della possibi- lità della tendenza all’estremo. Ora, una vera e propria “feno- menologia dell’estremo” è presente nel pensiero di Bataille, il quale esplora il sistema hegeliano sino alle sue regioni ancora inesplorate, mostrandone la sconfitta e l’inesorabile auto-rove- sciamento. Ciò che intendiamo sostenere è che Girard, attraver- so il confronto – più o meno esplicito - con la temperie cultu- rale dello hegelismo francese, e in particolare con la teoria del sacrificio di Bataille, abbia maturato quel particolare interesse per

l’esistenza umana in tutti i suoi aspetti in cui si realizza la presenza del negativo e della violenza in quanto tendenza all’estremo. Attra-

versiamo questo confronto “sotterraneo” ripercorrendo in primo luogo le tappe fondamentali del pensiero di Bataille.