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Per quanto riguarda il rapporto tra Girard e Durkheim, sebbene nelle opere girardiane i riferimenti espliciti a quest’ultimo siano pochi, i punti di convergenza tra le due teorie sono numerosi. Tuttavia non possiamo prescindere da un’importante conside- razione autobiografica dello stesso Girard: “Lévi-Strauss mi ha ricollegato a Durkheim, che ho letto troppo tardi per esserne influenzato. Ma è giusto dire, malgrado tutto, che mi ricollego più a Durkheim che allo strutturalismo (identità del religioso arcaico e del sociale).”41 Quest’indicazione di Girard è di estre- ma importanza perché ci informa del carattere mediato del suo incontro con Durkheim: è solo attraverso Lévi-Strauss che Gi- rard ha potuto approfondire le posizioni teoriche del fondatore della scuola sociologica francese, e tale approfondimento è piut- tosto tardo, certamente posteriore all’elaborazione de La violen-

za e il sacro. Certo, anche prima di quest’opera non si può dire

41 Tratto dalla lettera di Girard inviatami l’11 Marzo 2001.

Bozza

che Girard ignorasse la teoria sociologica di Durkheim: prova ne sono i riferimenti testuali che esamineremo; tuttavia, manca ancora in quel periodo della sua formazione la presa di coscienza della vicinanza – in alcuni casi davvero sorprendente – tra i loro approcci al problema religioso. Ecco perché non si può dire che Girard sia stato influenzato, durante la sua formazione cultu- rale francese, dalle tesi di Durkheim, ma soltanto che ne abbia riscoperto la vicinanza a posteriori, vale a dire alla luce della teo- ria mimetico-vittimaria. Si tratta senza dubbio di un dialogo “a distanza” tra i più intensi della carriera intellettuale girardiana. Scrive Girard:

La superiorità della nostra tesi […] offre una realtà concreta, dà forma, sin nei minimi particolari, alla più grande intuizio- ne antropologica del nostro tempo, l’intuizione di Durkheim sull’identità del sociale e del religioso, intuizione che deve si- gnificare, in fin dei conti, l’anteriorità cronologica dell’espres- sione religiosa su ogni concezione sociologica. (DDC - 108). Il primo e più importante merito che Girard riconosce a Dur- kheim è dunque quello di aver espresso per la prima volta nella storia dell’etnologia l’identità tra religioso e sociale. Tale iden- tità emerge dall’opera di Durkheim, ed è alla base di tutte le argomentazioni di Girard. Non c’ è sacro fuori dalla società, e,

soprattutto, non c’ è società fuori dal sacro.42 Il debito di Girard nei

42 A ben vedere, ci si potrebbe obiettare che, nella prospettiva di Girard, il

sacro coincide proprio con ciò che è esterno alla comunità, ossia il capro espiatorio, la vittima sacra che, tramite la sua espulsione, ristabilisce l’ordine sociale. Tuttavia, l’espressione non c’ è sacro fuori dalla società significa che, al di fuori della comunità umana, e della sua esigenza di allontanare da sé la violenza mimetica, il sacro perderebbe ogni significato. Viceversa, afferman- do che non c’ è società fuori dal sacro non contraddiciamo il testo girardiano,

confronti di tale scoperta è enorme, e va oltre la semplice lettura da parte sua delle opere di Durkheim. È vero che l’incontro col padre della sociologia è avvenuto più tardi, e attraverso lo strut- turalismo, ma la portata del concetto cardine dell’opera dur- kheimiana – l’identità del sacro e del sociale, appunto – era già ben presente a Girard durante la stesura delle sue opere princi- pali. Da tale scoperta Girard ha potuto dedurre l’anteriorità dei significati religiosi rispetto ad ogni produzione culturale, che nel sacro trova la sua radice originaria. Come sosteneva Durkheim, ogni categoria del pensiero umano trova nelle rappresentazioni religiose il proprio antecedente: ecco perché indagare sulle for- me originarie del religioso significa anche indagare sulle forme originarie della cultura e dei significati culturali in generale. Se anche il giovane Girard non è stato direttamente influenzato dalla lettura di Durkheim, i cardini della sua teoria facevano ormai così parte della cultura etnologica francese che qualsiasi ricerca sul sacro non poteva prescinderne.

Il secondo passo a cui faremo riferimento funge da chiari- mento del primo, e approfondisce il rapporto tra Girard e Dur- kheim.

Durkheim afferma che la società è una, e la sua unità è innan- zitutto religiosa. In ciò non va visto un truismo né una peti- zione di principio. Non si tratta né di dissolvere il religioso nel sociale né di diluire il sociale nel religioso. Durkheim ha intui- to che gli uomini sono debitori di ciò che sono, sul piano della cultura, a un principio educatore situato nel religioso. Perfino le categorie dello spazio e del tempo, afferma, provengono dal religioso. Durkheim non sa fino a che punto abbia ragione, poiché non vede quale formidabile ostacolo opponga la violen- za alla formazione delle società umane. Eppure egli, di questo invisibile ostacolo, tiene un conto più esatto su certi punti di quanto non faccia un Hegel al quale si potrebbe credere, ma a torto, che tale ostacolo non sia sfuggito. (VS - 426-427).

In questo brano, Girard riafferma l’importanza della scoperta durkheimiana dell’identità di religioso e sociale; dal religioso scaturisce ogni forma di cultura e, ancora più radicalmente, ogni categoria elementare del pensiero umano. Chiaramente, agli occhi di Girard, manca a Durkheim tutta la riflessione sulla violenza e sul suo ruolo disgregatore nei confronti della comu- nità; ma, nonostante gli restino ignoti i meccanismi con cui il religioso si pone come difesa dell’unità sociale contro la violen- za indifferenziata, egli riconosce perfettamente questa funzione aggregante e fondatrice del sacro. Nella prospettiva girardiana, Durkheim non si è mai interrogato davvero sulla violenza mi- metica, sui meccanismi di capro espiatorio, sulla funzione del sacrificio, pur avendo affrontato questi temi a livello descrittivo. Pertanto gli sono rimasti celati i meccanismi attraverso cui la comunità ha imparato a tenere lontana la violenza, i riti sacri- ficali, le vittime espiatorie e la loro successiva sacralizzazione. Eppure ha intuito, meglio di molti altri, che il religioso è l’unica forza in grado di tenere unita una comunità, strutturandola in modo da evitare il più possibile ogni ricaduta nella crisi violenta.

Il religioso consiste innanzitutto nel togliere il formidabi- le ostacolo che oppone la violenza alla creazione di qualsiasi società umana. La società umana non comincia con la pau- ra dello schiavo davanti al padrone, ma con il religioso, come ha visto Durkheim. Per completare l’intuizione di Durkheim bisogna capire che il religioso fa tutt’uno con la vittima espia- toria, quella che fonda l’unità del gruppo contro e, al tempo stesso, intorno ad essa. Solo la vittima espiatoria può procurare agli uomini tale unità differenziata, là dove essa è a un tem- po indispensabile e umanamente impossibile, in seno a una violenza reciproca che nessun rapporto di dominio stabile né alcuna riconciliazione vera può concludere. (VS - 427).

Nel cogliere l’unità di religioso e sociale, Durkheim ha raggiun- to il nucleo del problema del sacro, ma la sua ignoranza dei mec- canismi del sacro stesso gli hanno impedito di poter fondare definitivamente la funzione aggregante del religioso. Egli ha in- tuito che l’unica forza capace di fondare una comunità è il sacro, ma non ne ha saputo spiegare esattamente la ragione. Secondo Girard, solo la vittima espiatoria, che fa tutt’uno col sacro, può spiegare tale funzione fondatrice: il capro espiatorio è – per il pensatore avignonese - l’anello mancante nella quasi perfetta te- oria di Durkheim. Manca solo un passaggio logico, quello che lega la religione alla sua funzione aggregante nei confronti della società, e ce lo fornisce la teoria mimetico-vittimaria. Il rapporto tra Girard e Durkheim è quindi più stretto di quanto le vicende biografiche girardiane sembrino ammettere; anche se Girard ha approfondito le opere del sociologo francese soltanto in tempi più recenti, la svolta epocale che Le forme elementari della vita

religiosa costituisce aveva già lasciato la sua traccia nell’ambito

della cultura antropologica francese in cui è avvenuta la for- mazione girardiana, che pertanto ne ha risentito notevolmente. Durkheim resta l’antropologo in assoluto più vicino a Girard, anche se viene citato poco e spesso soltanto in riferimento alla polemica contro lo strutturalismo. Il suo pensiero fa così parte del bagaglio culturale girardiano che, al di là degli espliciti rife- rimenti, l’antropologia fondamentale esposta per la prima volta ne La violenza e il sacro può esserne considerata la prosecuzione: certo manca in Durkheim la riflessione sulla mimesi, ma questa, se non trovasse sbocco nell’analisi del sacro nei suoi rapporti con il sociale, resterebbe un’intuizione fine a se stessa.

Nel presente capitolo abbiamo cercato di delineare in maniera sintetica gli indirizzi teorici che hanno avuto una maggiore in- fluenza sulla formazione antropologica di Girard e con i quali egli ha intessuto i dialoghi più fecondi. Dalla polemica contro

Frazer e l’evoluzionismo, di cui Girard critica l’impostazione positivista, che tende a scartare la via dell’indagine sul sacro come un’assurdità tipica di culture pre-razionali e non ancora illuminate dalla scienza moderna, al confronto con Malinowski, da cui Girard trae l’idea del religioso come forza la cui funzione è di allontanare la violenza dalla comunità, alla fondamentale intuizione di Durkheim sulla coimplicazione di sacro e sociale, Girard mostra come la propria riflessione teorica sia pienamente inscritta nel dibattito antropologico contemporaneo, dal quale ha saputo trarre spunti e motivi di confronto. Certo non manca- no le polemiche, ma esse sono sempre inserite nel quadro di un approfondimento e di un’interpretazione più radicale del sacro.

Un’unica obiezione ci può essere mossa: gli autori di cui ci siamo occupati in questo capitolo sono tutti europei. Perché abbiamo escluso dalle nostra analisi i ricercatori dell’area an- glo-americana? La formazione antropologica di Girard è forse soltanto europea? La ragione di questa scelta risiede nell’analisi degli stessi testi girardiani. Numerose sono in essi le citazioni degli studi di antropologi come Evans-Pritchard, Radcliffe- Brown, Huxley, Kuper, Leach, Lowie, Robertson Smith, Turner e altri; tuttavia non troviamo mai in esse un intento specifico, da parte di Girard, di discussione o confronto con le posizioni teoriche di tali autori, di cui sono utilizzati soltanto esempi e resoconti etnologici.

In ultima analisi, Girard attinge a piene mani dalle nume- rosissime fonti antropologiche americane, fatte di più o meno recenti studi sulle più diverse comunità etnologiche del globo, ma quando si tratta di discutere o accogliere posizioni teoriche, egli si rivolge sempre ad autori di estrazione culturale europea. Ciò non significa che l’antropologia americana non abbia svolto un ruolo importante dopo il trasferimento di Girard negli Stati

utilizzare come materiale di riflessione, come banco di prova per la teoria vittimaria. Tuttavia, se parliamo della sua formazione teorica, non possiamo che rivolgerci agli studi classici dell’an- tropologia europea, da Frazer a Malinowski, da Durkheim a Lévi-Strauss.

È questo un risultato importante, che ci permette di porre un primo tassello della nostra ricerca. Al livello della formazione antropologica, possiamo considerare la cultura europea come il punto di riferimento imprescindibile per Girard, il termine di confronto teorico costante, mentre la cultura americana – in- contrata dopo il trasferimento negli Stati Uniti - può essere con- siderata nel suo insieme come uno stimolo nuovo e un prezioso reagente per la messa in prova della teoria mimetico-vittimaria. Essa ha ha visto la luce negli Stati Uniti, ma conserva l’impo- stazione teorica di un pensatore francese radicato nella propria cultura d’origine.