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Abbiamo scelto di proseguire l’analisi del pensiero di Lévi- Strauss con il problema del mito perché proprio nell’analisi del mito il metodo strutturale, delineatosi nell’Antropologia struttu-

rale, trova un fecondissimo campo di applicazione.75 Ai fini di una prima caratterizzazione del sistema interpretativo elaborato in funzione dei miti, bisogna sottolineare che Lévi-Strauss mette in secondo piano la funzione fabulatrice dei miti, per concen- trarsi sulla loro articolazione interna, vale a dire sulla logica che regola le connessioni tanto all’interno dei singoli miti, quanto all’interno di strutture mitologiche più complesse.

Tutto può succedere in un mito; sembra che in essi la succes- sione degli avvenimenti non sia subordinata a nessuna regola di logica o di continuità. Ogni soggetto può avere qualsiasi predicato, ogni relazione concepibile è possibile. Eppure, que- sti miti, in apparenza arbitrari, si riproducono con gli stessi caratteri, e spesso gli stessi particolari, nelle diverse regioni del mondo. Da qui il problema: se il contenuto del mito è del tutto contingente, come si spiega che, da un capo della terra, i miti si assomigliano così tanto?76

Il problema che Lévi-Strauss si trova a dover risolvere è, ancora una volta, analogo a quello dei linguisti che cercavano di capire quale legame ci fosse tra particolari sensi e particolari suoni: il

75 I tre testi di Lévi-Strauss cui ci riferiremo sono: Il crudo e il cotto, Milano,

Il Saggiatore, 1966 (tit. orig. Le cru et le cuit, Parigi, Librairie Plon, 1964);

Dal miele alle ceneri, Milano, Il Saggiatore, 1968 (tit. orig. Du miel aux cendres, Parigi, Librairie Plon, 1966); L’origine delle buone maniere a tavola,

Milano, Il Saggiatore, 1970 (tit. orig. L’origine des bonnes manières de table, Parigi, Librairie Plon, 1968); L’uomo nudo, Milano, Il Saggiatore, 1974 (tit.

problema fu risolto solo quando si capì che la funzione signi- ficatrice della lingua non è direttamente legata ai suoni stessi, ma al modo in cui essi venivano combinati tra loro. Allo stesso modo, se vogliamo comprendere il significato dei miti, dobbia- mo tener presente che il mito è nel linguaggio e al di là del linguaggio: è nel linguaggio al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, ma è oltre il linguaggio perché, a differenza della poesia, per esempio, mantiene il suo valore anche se traslato da una lingua ad un’altra. La sostanza del mito non risiede nel- lo stile, nella narrazione, nella sintassi, ma nella storia che vi è raccontata: esso è linguaggio, ma linguaggio che perviene ad un livello elevatissimo in cui si rivela indipendente dallo stesso fondamento linguistico da cui ha preso avvio. Sulla base del metodo linguistico, Lévi-Strauss definisce la specificità del mito proprio in quanto fatto linguistico: esso è caratterizzato dalla presenza di unità costitutive complesse, consistenti in fasci di

relazioni, tra le quali esiste un rapporto di correlazione o di op-

posizione. La comprensione del significato del mito dipende alla capacità di scoprire la logica sottesa ai rapporti che intercorrono tra tali fasci di relazioni. Si comprende allora facilmente che il significato dei miti non si manifesta chiaramente in superficie, ma va ricercato ad un livello profondo rispetto a quello della fabula. È pertanto sempre possibile, nell’analisi del mito, offrire una lettura diacronica, che segue l’andamento della narrazione, e una lettura sincronica, che scava oltre la funzione fabulatrice per ritrovare i fasci di relazioni e ordinarli secondo i loro precisi rapporti. Solo una lettura sincronica è in grado di fornire un’in- terpretazione adeguata dei miti, poiché ne chiarisce la struttura soggiacente allo strato superficiale della narrazione. Così come ne Le strutture elementari della parentela si trattava di scoprire, dietro l’apparente caoticità dei legami matrimoniali, un princi- pio d’ordine rappresentato da un numero ridotto di regole, la

finalità delle ricerche mitologiche è mettere in luce le leggi che operano dietro il piano dell’apparenza arbitraria, analizzando perciò i principi logici che regolano i processi di trasformazione in atto nel passaggio da un contesto mitologico ad un altro. Tut- tavia, lo studio della mitologia offre un’opportunità in più: essa

[…] non ha un’evidente funzione pratica; all’opposto dei feno- meni precedentemente esaminati, essa non è in presa diretta su una realtà differente, dotata di un’oggettività più alta del- la sua […]. Di conseguenza, se fosse possibile dimostrare che anche in questo caso l’apparenza arbitraria, lo scaturire che si presume libero, l’invenzione che si potrebbe credere sciolta da qualsiasi vincolo, presuppongono certe leggi che operano a un livello più profondo, si sarebbe necessariamente indotti a con- cludere che lo spirito, abbandonato a un confronto diretto con se stesso e sottratto all’obbligo di accordarsi con gli oggetti, si ritrova in un certo qual modo ridotto a imitare se stesso come oggetto; e che, poiché le leggi delle sue operazioni non sono allora fondamentalmente diverse da quelle che esso manifesta nell’altra funzione, lo spirito rivela così la sua natura di cosa tra le cose.77

Ecco tracciato il programma di lavoro. La tesi lévi-straussiana, ardita e ricca di suggestioni, rappresenta il risultato estremo del- la ricerca tesa a cogliere l’architettura logica dei miti, contro tut- ti i tentativi - primo fra tutti quello di Lévi-Bruhl - di relegare la sfera mitologica nel dominio dell’affettività e dell’irrazionale. Secondo Lévi-Strauss, il mito non ha una funzione pratica, è una pura espressione dell’ésprit, il quale lascia traccia di sé nel fitto intreccio delle operazioni logiche in virtù del quale l’ordine si sostituisce all’arbitrio, la cultura alla natura: la mitologia, ossia l’universo della regola fine a se stessa, ci presenta l’ésprit colto

nella sua concretezza di cosa tra le cose, libero da ogni condizio-

namento culturale che ne ridurrebbe la portata.78

Nel ciclo di conferenze raccolte sotto il titolo di Mito e signi-

ficato, Lévi-Strauss cerca di chiarire meglio lo statuto teorico

delle ricerche mitologiche, al fine di sondare la possibilità di un recupero da parte della scienza moderna del cosiddetto pensiero

mitico. Ed è proprio da questo problema che Lévi-Strauss muove

nella prima conferenza, dal titolo L’ incontro tra mito e scienza: si tratta dell’incontro tra un pensiero ben ancorato alla verifica sperimentale dei fenomeni studiati, che non arrischia più spie- gazioni troppo universali, e un pensiero che, al contrario, per così dire brucia le tappe, giungendo subito a fornire spiegazioni e descrizioni sull’origine e destino del mondo e dell’uomo. In origine queste due tendenze del pensiero erano unite; poi, a par- tire dal XVII secolo, con Descartes, Bacon e Newton, la scienza sperimentale inizia il suo cammino di sviluppo, e si stacca com- pletamente dal pensiero mitico, che cade in discredito. La sfera del sensibile era ritenuta il dominio dell’illusorio e dell’errore, mentre solo l’astrattezza delle proprietà matematiche garantiva alla natura la sua verità, sebbene fosse in disaccordo coi sen- si. Ora, la tendenza della scienza contemporanea è sempre più quella di un parziale recupero di quelle istanze non prettamente intellettuali. Insomma, ci si è accorti che rifiutando il pensiero mitico la cultura restava orfana di molti aspetti utili e fecondi per l’uomo: il mondo della molteplicità e del disordine, sotto le

78 Esso è definito da S.Moravia come “l’agente invisibile che guida, dalla

profondeur inconscia, i comportamenti dei fenomeni.” (S.Moravia, Lévi- Strauss e l’antropologia strutturale, Firenze 1973, p. 14). Attorno alla nozione

di ésprit si è sviluppato un notevole dibattito, che si è spostato dalla mito- logia al più vasto terreno della riflessione filosofica. Per cogliere i riflessi di tale dibattito rimandiamo alle seguenti opere: S. Moravia, La ragione na-

scosta. Scienza e filosofia nel pensiero di Lévi-Strauss, Firenze, Sansoni, 1969;

F.Remotti, Lévi-Strauss. La struttura e la storia, Torino, Einaudi, 1971.

differenze superficiali, nasconde la regola e l’invariante, l’ordine e la struttura. Procedendo nell’analisi delle relazioni sussistenti tra i vari fenomeni, possiamo comprendere come si formino i sistemi da essi composti, e quindi ordinare in un tutt’uno orga- nico ciò che prima appariva del tutto rapsodico. D’altra parte, si tratta di una tendenza interna alla stessa scienza: essa o procede per via di riduzioni progressive di vari fenomeni complessi a fe- nomeni più semplici, o cerca di comprendere i fenomeni stessi sulla base delle loro relazioni reciproche. Per questo motivo, si può dire che lo strutturalismo non sia affatto una novità per la scienza. In qualche modo, il problema posto dalla mitologia è della stessa natura di quello relativo alle strutture parentali: si tratta di ritrovare un qualche ordine dietro un apparente disor- dine, e ciò perché fuori dall’ordine non c’è comprensione79.

Quel che ho cercato di dire fin qui è che è avvenuto un divorzio fra il pensiero scientifico e quello che ho definito la logica del concreto, cioè il rispetto e l’utilizzo dei dati sensoriali, in con- trapposizione alle immagini, ai simboli e così via. Forse stiamo assistendo al momento in cui questo divorzio sarà superato o ricomposto, giacché la scienza moderna sembra in grado non solo di compiere progressi seguendo la sua linea tradizionale – cioè spingendosi via via più avanti, ma sempre entro lo stesso ristretto canale -, ma anche e nello stesso tempo di ampliare questo canale, reincorporandovi molti problemi prima lasciati da parte.80

79 A tal proposito, si veda J.P.Dupuy, Ordini e disordini. Inchiesta su un nuo-

vo paradigma, Firenze, Hopefulmonster, 1986, pp. 109-162 (tit. orig. Ordres

§5. Verso l’ indifferenziato: il rito

Se la Serie mitologica si è aperta, ne Il crudo e il cotto, con la posi- zione del problema del mito, quasi specularmente essa si chiude, ne L’uomo nudo, con quello del rito. Si tratta di una questione strettamente imparentata con la mitologia, ma che deve essere affrontata autonomamente. Si è visto come, dietro l’apparente caoticità dei racconti mitici, si possano rinvenire fasci di relazio-

ni tali da farci comprendere appieno il ruolo e la posizione, entro

le strutture sociali e i sistemi culturali, di tutti gli elementi che prendono parte al racconto mitico. Il mito, in sostanza, è una via d’accesso privilegiata alla struttura inconscia delle comunità, un sentiero verso la comprensione delle differenze sociali e dei ruoli dei singoli individui entro il gruppo: tutto nel mito ha un significato particolare e si trova in una posizione determinata. Ora, il rito percorre lo stesso cammino, ma in senso opposto, os- sia rappresenta una tendenza all’indifferenziato per l’indifferen- ziato. Le due operazioni fondamentali che il rito compie sono a) il frazionamento, vale a dire la distinzione all’infinito, entro le classi degli oggetti e dei tipi di gesti, delle più piccole sfumature, e b) la ripetizione delle medesime forme, fino ad assumere pro- porzioni aberranti, dando così l’impressione dell’immobilità. In questo senso, le formule rituali valgono solo se ripetute dieci alla volta, perdendo i significati delle singole parole in un tutto indifferenziato.

Apparentemente i due processi si oppongono, laddove il primo agisce come estremo tentativo di differenziazione e il secondo come riproduzione infinita dell’identico. Ma in realtà possiamo facilmente ricollegare il frazionamento alla ripetizione: infatti, le differenze introdotte dal frazionamento sono così infinitesi- mali che si confondono con una quasi-identità, in modo tale che è impossibile ritrovare le stesse differenze che si volevano in-

trodurre.81 Se dunque il pensiero mitico rappresenta l’emergere dell’attività classificatrice dell’esprit umano, il rito è, al contra- rio, l’illusorio tentativo di ritornare allo stadio antecedente il si- stema, all’indifferenziato per l’indifferenziato. Si tratta di quella che Lévi-Strauss stesso definisce la “nostalgia dell’immediato”, la convinzione di poter risalire dalla struttura differenziata e discontinua alla continuità. Lévi-Strauss precisa il rapporto tra mito e rito nel modo seguente:

In fin dei conti l’opposizione tra rito e mito è quella fra il vivere e il pensare, e il rituale rappresenta un imbastardimento del pensiero asservito alle esigenze della vita. Esso riduce, o meglio tenta invano di ridurre, le necessità del primo a un valore limi- te che però rimane sempre irraggiungibile: altrimenti il pensie- ro stesso verrebbe a essere abolito. Questo disperato tentativo, sempre destinato al fallimento, per ristabilire la continuità del vissuto smantellato dallo schematismo che il pensiero mitico ha sostituito ad esso, costituisce l’essenza del rituale e giustifi- ca quei caratteri distintivi che le analisi precedenti gli hanno riconosciuto.82

81 Scrive Lévi-Strauss: “Frazionando le varie operazioni e suddividendole in

mille particolari instancabilmente ripetuti, il rituale si sforza di effettuare una minuziosa rabberciatura, cerca di chiudere gli interstizi, alimentando così l’illusione che sia possibile risalire alla rovescia il mito e ricostituire la continuità partendo dalla discontinuità. La sua maniacale preoccupazione di reperire attraverso il frazionamento e di moltiplicare con la ripetizione le più piccole unità costitutive del vissuto, traduce il bisogno urgente di garantirsi contro ogni frattura o eventuale interruzione che comprometta lo svolgimento del vissuto stesso. In questo senso, il rito, anziché rafforzare, rovescia il procedimento del pensiero mitico che, invece, scinde il continuo in vaste unità distintive fra le quali introduce precisi scarti differenziali.”

La valutazione del rito da parte di Lévi-Strauss è pertanto una condanna senza appello: il rito è frutto di un ripiegamento dell’uomo incapace di sopportare i progressi del suo stesso pen- siero che, per sua natura, separa, differenzia e classifica. L’ansia umana di fronte all’attività differenziatrice si traduce in un ten- tativo di interromperla e tornare alla continuità indifferenzia- ta, e il rito si può benissimo definire come la manifestazione principale di tale ansia. Quest’ultima dipende dal timore che le divisioni effettuate dal pensiero discontinuo, al fine di con- cettualizzarlo, non permettano più di trovare la continuità del vissuto. Si tratta quindi di

un’ansia che, lungi dall’andare, come ritengono i funzionali- sti, dal vissuto verso il pensato, procede esattamente in senso inverso e risulta dal fatto che il pensato, proprio in quanto tale, scava una fossa sempre più profonda fra l’intelletto e la vita. Il rituale non è una reazione alla vita, è una reazione a ciò che il pensiero ha fatto della vita. Esso non risponde direttamente al mondo e neppure all’esperienza del mondo; risponde al modo con cui l’uomo pensa il mondo. Ciò che in definitiva il rituale cerca di superare, non è la resistenza del mondo all’uomo bensì la resistenza, all’uomo, del suo proprio pensiero.83

Nell’interpretazione lévi-straussiana del rito è ancora la strut- tura a dominare e, non potendo decifrare i rituali in base ad essa, ne risulta un’opposizione insanabile. Se possiamo ricono- scere nel mito una fucina di significati differenziati e una prima forma di pensiero classificatore, i riti non si prestano ad una tale operazione poiché vanno in senso opposto, sostituiscono l’indif- ferenziato alla differenza. In ultima analisi, il rito è uno scarto del pensiero umano, e va estromesso dalle analisi strutturali.

83 Ivi, p. 642.