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Il caso più importante di sistema di classificazione selvaggio, di cui già da tempo l’etnologia ha iniziato ad occuparsi, è il proble-

ma del totemismo.88 Secondo Lévi-Strauss, il modo migliore per

iniziare le proprie ricerche sul pensiero selvaggio consiste nell’af- frontare proprio la questione del totemismo, considerato dalla maggior parte degli antropologi come la principale manifesta- zione dei sistemi di classificazione primitiva. A questo scopo è

88 Il termine compare la prima volta nel 1791, impiegato da J.Long a pro-

posito dell’adorazione di piante ed animali da parte di alcune comunità primitive; al 1869 risale la prima vera teoria del totemismo, avanzata da Mac Lennan, il quale riuniva sotto questo concetto alcuni riti religiosi ed una particolare struttura di filiazione matrilineare. Da allora l’interesse è continuamente cresciuto, fino a connotare progressivamente il totemismo come il prodotto più tipico della cultura selvaggia: perciò si moltiplicarono gli studi tesi ad individuarne l’origine, depurando tale fenomeno da tutti quegli elementi magico-rituali, ad esso estranei, che non ne permettevano un’analisi approfondita.

dedicato Il totemismo oggi89 che, pubblicato lo stesso anno de Il

pensiero selvaggio, ne costituisce una breve ma importante pre-

messa, anzi, le due opere possono essere considerate come la pars

destruens e la pars construens di un unico disegno concettuale.

Lévi-Strauss, in questo saggio, sostiene che il totemismo non

esiste. Si tratta di una categoria, o meglio, un sistema che rac-

chiude in sé materiali sociali e religiosi eterogenei raccolti in modo rapsodico. Tale convinzione si fonda sulla constatazione che il sistema totemico, come unità strutturale di adorazione di piante o animali, di una certa organizzazione delle unioni matrimoniali e di una credenza nella parentela con esseri non appartenenti al mondo umano, non è affatto un dato univer- sale costante. Ma perché allora il sistema totemico ha suscitato tanti consensi? Ad un certo punto del cammino dell’etnologia, si è cercato di ricondurre tutto il pensiero selvaggio entro le co- ordinate dell’istituzione totemica, mostrando così un preciso atteggiamento – tipico della cultura occidentale cristiana – di distanziazione dalla cultura primitiva: tutto ciò che non rientra nei “valori normali” è da considerarsi prodotto del sistema to- temico. “Il totemismo è anzitutto la proiezione fuori del nostro universo, e come per un esorcismo, di atteggiamenti mentali incompatibili con l’esigenza d’una discontinuità tra l’uomo e la

natura, che il pensiero cristiano considerava essenziale.”90 Ma

non basta. Il totemismo presenta un’immagine dell’uomo del tutto scorretta, in quanto priva di finalità e totalmente immer- sa nell’affettività e nella magia: in qualche modo, totemismo è sinonimo dell’irriducibile eterogeneità fra mondo civilizzato e mondo “selvaggio”:

89 Lévi-Strauss, Il totemismo oggi, Milano, Feltrinelli, 1964 (tit. orig. Le toté-

Bozza

Per mantenere nella loro integrità e fondare nel contempo i modi di pensiero dell’uomo normale, bianco, e adulto, nulla poteva dunque essere più comodo che raccogliere fuori di lui dei costumi e delle credenze – in verità assai eterogenee e diffi- cilmente isolabili – intorno ai quali verrebbero a cristallizzarsi, in una massa inerte, idee che sarebbero state meno inoffensive, se fosse stato necessario riconoscere la loro presenza e la loro attività in tutte le civiltà ivi compresa la nostra.91

Lévi-Strauss inizia la sua critica alla nozione di totemismo di- stinguendo i due temi arbitrariamente mescolati nell’interpre- tazione totemica, vale a dire l’identificazione fra esseri umani e animali o piante, e il problema della denominazione dei gruppi fondati sulla parentela con tali animali o piante. Dopo aver esa- minato in che misura questi due motivi si connettano tra loro in aree geografiche-culturali diverse, la sua conclusione è netta: “Il totemismo non costituisce un fenomeno sui generis, ma un caso particolare, nel quadro generale delle relazioni fra l’uomo e gli elementi del suo ambiente naturale.”92 Bisogna dunque ri- portare buona parte dei fenomeni tradizionalmente considerati sotto la categoria di totemismo entro coordinate diverse e più vaste. Se dinanzi all’apparentemente caotico complesso di regole matrimoniali Lévi-Strauss aveva riconosciuto nello scambio il principio unificatore di tutti i rapporti elementari di parentela, allo stesso modo egli ritiene di poter esaminare il coacervo di dati illusoriamente interpretato come totemismo riducendolo ad un sistema di varianti di rapporti – né religiosi né mistici – tra uomo e natura. Scomposto in mille facce diverse, il totemismo si dissolve in un problema più ampio; tutti gli elementi estranei al tema centrale della logica classificatoria alla quale il fenomeno

91 Ivi, p. 4. 92 Ivi, p. 41.

totemico viene ricondotto sono epochizzati, se non eliminati. Secondo Lévi-Strauss, ci troviamo dinanzi ad una sorta di fa- vola collettiva, prodotta da una civiltà – la nostra – in ansia per l’indebolimento del confine tra pensiero scientifico e pen- siero selvaggio: non è perciò difficile smontare il meccanismo che regge questa convinzione pseudo-razionale. Insomma, il totemismo nasconde un’intenzione ideologica finalizzata a de- limitare in modo preciso i modi di pensiero dell’uomo bianco adulto, rigettando fuori dalla “normalità” tutto ciò che da quei canoni esula. Sbarazzatosi dell’astratto concetto del totemismo, Lévi-Strauss può procedere ad una libera analisi dei fenomeni finora nascosti dietro quella categoria illusoria. Ne Il pensiero sel-

vaggio, egli individua una serie vasta ed eterogenea di fenomeni,

come ad esempio particolari significati attribuiti ad animali, a piante o fenomeni meteorologici, accostamenti simbolici tra enti appartenenti ad ordini diversi di realtà, utilizzazione di pian- te o animali come mezzi distintivi di clan e tribù, proibizioni alimentari o di carattere sessuale. Per classificare questa serie di fenomeni non è utile né corretto utilizzare categorie quali quella della partecipazione o dell’affettività: dal punto di vista gnoseologico, la polemica contro il concetto di partecipazione implica il rifiuto della teoria che vede nel processo conoscitivo l’incontro tra certe categorie elaborate dal soggetto e il corpo statico e neutrale dell’oggetto. Tale impostazione può condurre, in primo luogo, alla creazione di categorie inverificabili, e in secondo luogo ad una sorta di appiattimento e mistificazione dell’oggetto.93 Contro questa teoria formalistica della conoscen-

93 Osservazioni simili sul problema gnoseologico si trovano già in scritti di

Lévi-Strauss precedenti a Il pensiero selvaggio, dall’Introduzione alla Morfo-

logia della fiaba di V.Propp allo stesso Il totemismo oggi. Il tema di fondo è la

za, Lévi-Strauss oppone uno schema molto più complesso, in cui il soggetto, sebbene elabori un insieme di strumenti concet- tuali atti alla comprensione dell’oggetto, tuttavia tiene conto dei suggerimenti che scaturiscono dall’oggetto stesso dell’indagine. Messa da parte la teoria idealistica, Lévi-Strauss insiste sulla ne- cessità che il soggetto derivi la comprensione dell’oggetto dalla trama razionale immanente all’oggetto stesso. Ad esempio, l’at- tribuzione di un particolare significato ad una pianta, anziché essere interpretata in chiave totemica, dovrà essere esaminata nel contesto dei suoi usi – terapeutici, per esempio – all’interno di una data comunità, rispettando cioè quell’insieme di significati logici e culturali a cui essa rimanda davvero. Da ciò risulta la necessità non solo di affrontare l’esame di certi fenomeni del mondo primitivo senza pesanti condizionamenti concettuali, ma anche di considerarli come derivanti da una duplice situa- zione: da un lato, dall’esistenza - interna ai dati - della logica delle qualità sensibili, vale a dire dall’esistenza di una serie di nessi più o meno percepibili e utilizzabili, dall’altro lato dalla capacità dei selvaggi di enucleare quegli stessi nessi. Ciò non significa che la natura agisca autonomamente dalla cultura, e l’enucleazione dei nessi e delle relazioni sia completamente pas- siva. Al contrario, la manipolazione degli oggetti si determina come imposizione di significati arbitrari da parte dell’uomo: ciò che invece diventa non-arbitrario è la relazione tra i due termini – oggetto e significato - e il loro sviluppo semantico in seno al contesto strutturale.94

Parallelamente alla polemica sull’illusorietà della categoria to- temica, Lévi-Strauss sviluppa un discorso teorico di rilevante interesse: se le categorie formali generali costituiscono in ultima

94 È un rapporto, come scrive lo stesso Lévi-Strauss (cfr. Il pensiero selvag-

gio, pp. 206-207), analogo a quello tra segno e significato nella linguistica

saussuriana.

analisi una mistificazione del fenomeno in esame, occorre sta- bilire quale metodo seguire in un’indagine davvero scientifica. L’enucleazione del significato autentico delle credenze e delle pratiche totemiche procede lungo un itinerario più complesso, poiché, diversamente da come si riteneva tradizionalmente, il rapporto totemico non è sostanziale, bensì strutturale: i significa- ti e le funzioni totemiche non risiedono nell’oggetto considerato dalla tribù selvaggia, sono invece significati e funzioni culturali e “di posizione.” In sostanza, il significato di un dato mito o di un dato rituale non procede dall’essenza naturale del fenomeno in sé e per sé, ma dalla funzione culturale che gli viene assegna- ta. L’ultimo nodo concettuale da affrontare è quello relativo al rapporto tra totemismo e proibizioni rituali. Le interpretazioni tradizionali dei tabù alimentari e sessuali sono tutte di stampo

analogico, vale a dire insistono sulla proibizione di mangiare la

carne di un animale perché adottato come totem, oppure sul divieto di unirsi con donne dello stesso clan perché imparenta- te con lo stesso totem. L’esigenza di un’interpretazione più ar- ticolata, differenziale, è già suggerita dalla constatazione della grande varietà delle proibizioni, diverse da regione a regione e passibili di cambiamenti improvvisi in seno ad una stessa co- munità. Le conclusioni tratte da Lévi-Strauss sono due: a) i tabù alimentari sono ben lungi dal derivare sia da principi naturali, fisiologici o igienici, sia da principi economici; b) il complesso di proibizioni e obblighi, alimentari o sessuali, risponde, anzi- ché a ragioni magiche, all’esigenza di conferire un certo ordine logico-classificatorio alla realtà ed un certo significato agli ele- menti del sistema. Scrive Lévi-Strauss: “Proibire certe specie non è che un mezzo fra altri per affermarle significative, e la regola pratica appare così come un operatore al servizio del senso, in una logica la quale, essendo qualitativa, può esplicarsi mediante

condotte così come mediante immagini.”95 Questa interpreta- zione riesce a spiegare il nesso totem-tabù, che nella teoria tote- mica classica restava piuttosto opaco. Tuttavia, Lévi-Strauss non vuole mettere in luce soltanto la funzione logico-classificatoria del sistema proibitivo-prescrittivo, ma anche che tale sistema ha il compito di istituire un preciso rapporto tra l’ordine naturale e quello culturale, rapporto che non è analogico ma differenziale, vale a dire che l’uomo ordina il mondo ed i suoi elementi non già attraverso il principio dell’analogia, ma attraverso il principio della differenziazione e dell’opposizione. Gli uomini affermano se stessi, vincendo l’indifferenziazione dell’analogia, che è sotto un certo profilo un fatto naturale, e affermando la distinzione arbitraria, che è un fatto puramente culturale. La fedeltà alla necessità della distinzione implica l’adozione di una serie dina- mica di identificazioni e repulsioni rispetto all’alterità naturale, poiché solo una serie di questo tipo consente la creazione di un sistema di diversificazioni, nel quale l’ordine umano si caratte- rizza e sopravvive come tale.

Come già ne Le strutture elementari della parentela, il risultato cui, coerentemente col metodo seguito, Lévi-Strauss perviene è che l’insieme delle credenze e dei riti conosciuti sotto la catego- ria del totemismo è in realtà un sistema complesso mediante il quale l’uomo ha modellato in modo culturale la natura. Dietro alle proibizioni e agli obblighi non c’è un principio unificatore, ma una precisa volontà del pensiero selvaggio di differenziare e classificare la realtà, perché proprio la differenza è il luogo chia- ve in cui avviene il passaggio dalla natura alla cultura.

95 C.Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, cit., p. 136.

Bozza