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Abbiamo seguito le vicende del pensiero di Freud limitatamente ai temi che rientrano nell’oggetto delle nostre ricerche, ovvero i punti di continuità e rottura tra Freud e Girard. Per esigenze di sintesi, possiamo suddividere i risultati dell’analisi comparata che abbiamo svolto in tre blocchi, relativi al concetto di deside- rio, al complesso di Edipo e, infine, all’omicidio collettivo.

a) Il primo dato che abbiamo potuto considerare è la presenza,

in Freud e in Girard, del tema del desiderio. Nel corso di tutta l’opera di Freud, il desiderio, in tutte le sue forme, svolge sempre una funzione essenziale, e caratterizza costantemente l’attività psichica dell’individuo. L’Io si esplica principalmente nella pro- duzione di desideri: il soggetto di Freud è un soggetto volente. Questo ad un livello generale; più precisamente, come si conno- ta il desiderio secondo Freud e la psicanalisi? Esso è sempre ten- sione, slancio, attrazione verso qualcuno o qualcosa. In termini tecnici, si tratta sempre di un desiderio oggettuale. Il soggetto desidera sempre un dato oggetto, che sia materiale o no, che sia una persona o una cosa; in ogni caso, il desiderio ha sempre una natura autonoma e oggettuale. Da ciò si può facilmente dedurre che, almeno nella versione ufficiale della teoria psicoanalitica, il desiderio nasce interamente dall’Io, anzi - più correttamente - dall’Es, sede delle pulsioni, e si sviluppa autonomamente, senza l’ausilio di altri elementi se non l’oggetto del desiderio stesso. Il rapporto del soggetto desiderante con l’oggetto desiderato è dunque un rapporto bipolare.

Lo stesso termine, desiderio, assume in Girard tutta un’altra connotazione. È vero che il desiderio nasce e si sviluppa nel sog- getto - diciamo pure nell’Es, anche se Girard non adotta mai la terminologia psicoanalitica - tuttavia la sua struttura non è mai bipolare, ma triangolare. Come sappiamo, vi sono sempre un soggetto, un modello e un oggetto del desiderio; il modello,

desiderando quell’oggetto, suggerisce al soggetto – che Girard chiama “discepolo” – che cosa desiderare. I due, discepolo e mo- dello, desidereranno perciò lo stesso oggetto, entrando in rivalità e instaurando un rapporto intrinsecamente violento, in quanto il discepolo si troverà, da un lato, in balía della necessità di imi- tare il modello, e, dall’altro lato, ostacolato da quest’ultimo nel raggiungimento dell’oggetto, e quindi nell’appagamento del de- siderio. Dunque, secondo Girard, non esiste desiderio che non sia già sempre mediato dal desiderio di un modello; l’individuo,

animal mimeticus, si crea continuamente modelli da imitare,

vuole essere come loro: quale modo migliore se non assumere i loro stessi desideri, desiderare gli oggetti che essi desiderano? Dunque il desiderio non è affatto oggettuale, non dipende cioè dall’oggetto, ma è del tutto indipendente da esso. Il desiderio si svela nella sua natura mimetica, e trova sempre la sua origine nel desiderio di un altro individuo. Proviamo ad andare oltre. Come la coscienza fenomenologica di Husserl, che è sempre co- scienza di qualcosa, il desiderio è sempre desiderio di qualche cosa; se neghiamo la sua natura oggettuale, non finiamo per ridurre lo stesso desiderio ad un concetto vuoto, in un’”intuizio- ne senza contenuto”, per dirla con Kant? È questa un’obiezione che potrebbe levarsi da un qualsiasi psicoanalista, ma, secondo Girard, essa va respinta. Già, perché il desiderio mimetico, indi- pendente dall’oggetto, si esplicita come desiderio di essere. Esso muove sempre da una “mancanza d’essere” – se così possiamo chiamarla – del soggetto; egli vaga in cerca dell’essere di cui è privo e crede di trovarlo nell’altro, che puntualmente diventa

il modello da imitare.127 Pertanto il desiderio mimetico resta

desiderio di qualcosa, ma questo qualcosa non è un oggetto, ma un “essere.”

Come ogni noesi possiede un suo correlato noematico, per re- stare nel parallelo con la fenomenologia husserliana, allo stesso modo ogni desiderio possiede un proprio oggetto desiderato, un

correlato pulsionale, se ci è permesso coniare una nuova espressio-

ne; solo che per Freud tale correlato è e resta sempre un oggetto, mentre secondo Girard dietro al desiderio oggettuale vi è un de- siderio mimetico, il quale poggia a sua volta su un desiderio d’es- sere. Le prospettive di Freud e Girard si accordano nell’attribui- re al desiderio quello che abbiamo definito un correlato; laddove Freud si ferma tuttavia in superficie - all’oggetto come correlato del desiderio - Girard scava, e scopre che il desiderio oggettuale non è mai tale, in quanto sempre mediato da un modello che il discepolo imita al fine di giungere in possesso di quell’essere di cui difetta e del quale invece crede essere dotato il modello. A buon diritto, il desiderio mimetico è un desiderio ontologico; non a caso Girard lo definisce, in Menzogna romantica e veri-

tà romanzesca, desiderio metafisico, in quanto costituisce l’essere

del soggetto. Infatti, l’individuo passa da un modello all’altro, sempre alla ricerca dell’essere di cui non è dotato, senza mai tro- varlo, poiché in realtà non esiste. Egli lo attribuisce al modello, e crede che sia sufficiente imitarlo per entrarne in possesso; ma, appena raggiunto l’oggetto del desiderio tanto agognato, scopre che in realtà esso non possedeva quel certo essere, e pertanto si trova condannato a cercarlo presso un altro modello, e così via. La ricerca dell’essere, che genera il desiderio mimetico e quin- di i rapporti triangolari, è la condizione primaria dell’esistenza umana, dunque ha a che fare con l’essere stesso dell’uomo: il de- siderio, che di questa ricerca è il prodotto, è sempre desiderio di essere, e pertanto può essere definito legittimamente ontologico.

b) Il secondo grande elemento di confronto tra Girard e Freud,

per molti versi connesso al tema del desiderio, è il complesso di Edipo. Tutta la psicoanalisi si fonda su di esso, l’esito del pensie-

ro freudiano è tutto racchiuso nelle vicende delle sue formula- zioni: esso costituisce la porta d’accesso privilegiata al pensiero di Freud, poiché è l’intuizione attorno a cui gravitano tutti gli altri elementi. La lettura che Girard compie a proposito delle formulazioni del complesso edipico si fonda sul rinvenimento testuale di un filo rosso che collega le diverse opere in cui è contenuta la sua formulazione e che tende progressivamente ad occultare ogni sfumatura che possa far pensare ad un’apertura della psicoanalisi al desiderio mimetico. Non c’è dubbio, Freud si è posto lungamente il problema dell’imitazione; se non lo avesse fatto, non comparirebbe così spesso il fenomeno psichico dell’identificazione, in primo luogo del bambino col padre. Tut- tavia, ogni volta che essa, e con essa la mimesi, sembra aumenta- re d’importanza nelle dinamiche del complesso, con un deciso colpo di mano Freud ristabilisce l’ordine infranto, riaffermando fieramente la priorità del desiderio oggettuale.

La critica di Girard cerca di mostrare tutti i punti in cui la mimesi cerca di emergere, e nei quali puntualmente viene rin- negata. La chiave di volta di questo processo di occultamento risiede proprio nel concetto di identificazione, il quale, se si ri- flette a fondo, non può che designare il padre come modello, il figlio come discepolo e la madre come oggetto. Tuttavia Freud, anziché riconoscere che il desiderio oggettuale per la madre de- riva dall’identificazione col padre, del quale il bambino vorreb- be possedere tutti gli oggetti, si ostina a sostenere il mito della pulsione libidica autonoma, relegando l’identificazione in un ruolo sempre più marginale. Sennonché, in L’Io e l’Es, la nuo- va sistemazione teorica richiede la necessità di fondare il nuovo protagonista della psicoanalisi, il Super-Io, e qui Freud si trova costretto a rimettere in gioco l’identificazione. Il Super-Io, infat- ti, sorge, a conclusione della fase edipica, come interiorizzazione

paterno “Imitami” e “Non imitarmi” nella legge “Non fare tutto

ciò che fa lui, molte cose sono riservate soltanto a lui”. Girard,

influenzato parzialmente dalla scuola psichiatrica di Palo Alto, chiama tale doppio imperativo double bind, e mostra che Freud, sebbene implicitamente, vi si approssima in modo sorprenden- te. Perché allora proprio lui, il padre della psicoanalisi, non si accorge che l’identificazione, con la sua carica di ambivalenza, dovuta all’essere il padre contemporaneamente modello e rivale, è la vera origine dell’Edipo, e che l’unico desiderio possibile è quello mimetico?

Il risultato al quale possiamo pervenire è dunque che Freud ha avuto in mente, anche se in maniera non chiara, tutti gli ele- menti per scoprire la natura mimetica del desiderio; il complesso di Edipo, così come egli lo formula, non esiste, è la lettura errata di una possibile degenerazione dei rapporti familiari – normal- mente esenti dalla violenza della mimesi – in rapporti mimetici; il desiderio oggettuale per la madre è una favola, è privo di fon- damento e non rende ragione di nessuno dei fenomeni psichici successivi, primo fra tutti il Super-Io, che invece affonda le sue radici negli sviluppi dell’identificazione. Al fine di preservare il dogma psicoanalitico del desiderio oggettuale e della pulsione libidica per la madre, Freud si preclude la possibilità di pervenire ad un’analisi più realistica dei rapporti umani, familiari o no, pagando il caro prezzo di una certa dose di incoerenza nel cuore stesso della propria teoria.

c) L’ultima questione che abbiamo esaminato è quella relati-

va all’ipotesi di un assassinio collettivo all’origine della civiltà umana. Si tratta di un tema di grande rilevanza, al quale Freud perviene attraverso la lettura, per la verità non troppo approfon- dita, delle opere etnologiche del suo tempo, in primo luogo di Frazer e Robertson Smith. Dopo un’analisi dettagliata, desunta dallo stesso Frazer, del fenomeno del totemismo, Freud ricono-

sce che non ne esiste una teoria soddisfacente sul piano della funzione sociale e soprattutto della genesi. Formula allora l’ipo- tesi di un assassinio collettivo all’origine dei tempi, compiuto dall’orda dei figli ai danni del loro padre tiranno. Dopo averlo ucciso, tuttavia, essi sono assaliti dal senso di colpa, e decidono di obbedire ugualmente – anche dopo la sua morte – ai divieti da lui imposti, in primo luogo circa il consumo sessuale delle donne.

Si tratta di un’ipotesi che, nel 1913, anno dell’uscita di Totem

e tabù, cadde nell’indifferenza. Tuttavia, sebbene inaccettabile,

essa presenta degli spunti davvero originali. Essa nasce come tentativo di spiegare la genesi dei divieti, in primo luogo quello dell’incesto. Tuttavia, come si nota facilmente, anziché risolvere tale questione, la complica. Già, perché non vi sarebbe nulla di più semplice che ricondurre i divieti ai comandi del padre primordiale; tuttavia, se quest’ultimo viene ucciso, i suoi divieti non perdono di efficacia? E così Freud è costretto a introdurre la teoria, alquanto debole, dell’obbedienza retrospettiva, mossa dal senso di colpa per aver ucciso il padre. Egli stesso non è sod- disfatto di questa spiegazione; infatti, poco dopo averla esposta, cerca di rafforzarla dicendo che, dopo la morte del padre, nessu- no dei figli aveva potuto sostituirlo in quanto nessuno possedeva la sua potenza: così, tra i figli, ridotti ad una folla indifferen- ziata, iniziò a regnare la violenza, poiché tutti volevano tutte le donne per sé. Dopo aspre lotte, i figli si accordarono vietandosi reciprocamente ogni rapporto sessuale con le donne, ed ecco la genesi del divieto.

Secondo Girard, in questa interpretazione, tutto è fuori posto. I figli, innanzitutto. Essi sono la folla inferocita, senza nome e senza volto, tutti in lotta contro tutti, poiché tutti si contendono lo stesso oggetto, la potenza che era stata del padre. Pertanto –

siamo in piena crisi mimetica. A questo punto, e non prima, va inserita l’uccisione, l’unico atto collettivo in grado di scaricare la violenza su uno solo e ristabilire la pace nella comunità. Il divieto, successivamente, sorge dal timore degli uomini per gli oggetti che hanno scatenato la violenza, i quali divengono tabù rigidissimi, infranti solo in determinate feste rituali, quando il sacrificio viene ripetuto al fine di usufruire nuovamente dei suoi effetti benefici. Agli occhi di Girard, l’omicidio collettivo di cui parla Freud va mantenuto, anzi, costituisce la sua più grande intuizione, ma a due condizioni: esso va posto al termine della crisi mimetica, della quale è risoluzione, e va depaternalizzato, ossia spogliato di ogni significato familiare. Non è in quanto padre che la vittima riconcilia la folla, ma in quanto singolo tra la folla, casualmente scelto affinché si carichi di tutta la violenza che dilania la comunità e la espella mediante il suo sacrificio. L’uccisione collettiva va ripulita da ogni incrostazione psicoana- litica, poiché il suo significato è universale, non è una vicenda tipica della famiglia occidentale.

Queste le tre grandi questioni che costituiscono il terreno di un incontro-scontro tra Girard e Freud. Questi i grandi luoghi

della rinuncia, da parte di Freud, ad impegnarsi sulla via della

mimesi e della vittima espiatoria. In tutti i punti che abbiamo preso in considerazione, Freud è straordinariamente vicino alla soluzione dell’enigma, si approssima sempre più all’abisso del sacro, ma, intimorito, se ne ritrae. Tutta l’opera di Freud è la vi- cenda di questo ritrarsi dalla profondità del desiderio mimetico, della ricerca d’essere e del significante vittimario. Non possia- mo dire che Girard e Freud siano due pensatori teoreticamente vicini; tuttavia è presente in Freud una tendenza sotterranea, che va cercata tra le sfumature delle sue analisi, che conduce direttamente alla teoria mimetico-vittimaria. Non solo tra gli psicologi, ma senza dubbio entro tutto il panorama culturale

del Novecento, Freud è il pensatore che più si è approssimato alla prospettiva di Girard. Terminiamo con le parole dello stesso Girard, che, sebbene riferite al solo Totem e tabù, possono benis- simo essere estese a tutto il pensiero di Freud:

La tesi qui difesa, il meccanismo della vittima espiatoria, non è un’idea più o meno buona, è la vera origine di tutto il religioso […]. Il meccanismo della vittima espiatoria è lo scopo fallito di tutta l’opera di Freud, il luogo inaccessibile ma vicino della sua unità. In quest’opera [Totem e tabù], lo sdoppiamento delle teorie, la dispersione, la molteplicità possono e devono essere interpretate come impotenza a raggiungere tale scopo. Non appena si supplisce la vittima espiatoria, non appena si fanno entrare nella sua luce i frammenti sparsi di quest’opera, questi assumono tutti la loro forma perfetta, si congiungono, si accor- dano, si incastrano gli uni negli altri come i pezzi di un puzzle mai terminato. Deboli nella loro divisione, le analisi freudiane divengono forti nell’unità che reca loro la nostra stessa ipotesi e non si può mai dire che questa unità sia loro imposta dall’ester- no. Dal momento in cui si rinuncia ad irrigidire il pensiero di Freud in dogmi infallibili e fuori del tempo, ci si accorge che, nelle sue punte più acute, tende sempre verso il meccanismo della vittima espiatoria, mira sempre, oscuramente, allo stesso scopo. (VS - 298).