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che una volta soltanto nei luoghi che si intende prendere a teatro della memoria per poi elaborarli con la fantasia e utilizzarli sem- pre e soltanto nell’immaginazione. L’importante è focalizzare sempre più l’attenzione su specifici aspetti delle cose percepite. Il cinema e la televisione ci danno esempi facilmente imitabili; sia- mo noi che purtroppo della tv assorbiamo soltanto le cose peggio- ri ma, in questo caso, pensiamo a quelle riprese dove si vede una persona ferma con la telecamera che gli gira intorno. Il centro è la persona e lo sfondo è in movimento e mostra sempre angoli e vi- suali differenti dell’ambiente, del contesto in cui il soggetto è in- serito. Perché non dovremmo fare lo stesso col nostro sguardo e con la telecamera della nostra immaginazione? Quando siamo in un luogo guardiamoci intorno. Ai cavalli dobbiamo mettere i pa- raocchi per costringerli a guardare in una sola direzione; siamo forse peggiori dei cavalli a non aver bisogno dei paraocchi? Forse sì, se è vero che ci guardiamo sempre davanti, impariamo quindi a voltarci di lato, a guardare in alto, in basso ecc. – troveremo un ni- do d’api sull’albero, un disegno fatto da qualche ragazzo per ter- ra, una feritoia per lo smaltimento dell’acqua piovana e via dicen- do; tutte queste cose vanno guardate, non memorizzate, perché il semplice fatto di notare che ci sono è già qualcosa di più di quel che normalmente facciamo. L’uomo moderno è un automa sem- pre più stupido perché guarda spesso solo in una direzione e nep- pure in quella sa vedere bene le cose. Quindi piazza D’Azeglio, così come migliaia di piazze in migliaia di città nel mondo, veste benissimo le rappresentazioni mnemoniche.

Esercitandosi si arriverà infallibilmente al punto di non aver più bisogno di fissare luoghi e teatri nella memoria, la realtà sarà – con un solo e unico atto percettivo – stampata nella memoria; il nostro teatro e i luoghi che in esso troveranno spazio si riveleran- no automaticamente alla nostra mente nel momento in cui avre- mo bisogno di loro. Seguendo questi consigli la nostra ragazza non avrebbe fatto nessuno sforzo suppletivo rispetto al girare in- torno alla vasca; certo avrebbe dovuto fare uno sforzo di analisi per individuare i concetti importanti da memorizzare; uno sforzo che la ripetizione meccanica della lezione non richiedeva. D’al- tra parte lo sforzo della riflessione, dell’analisi, della critica, della riformulazione e della sintesi è uno sforzo non eludibile da parte di chi vuol veramente migliorare negli studi e nella vita. Purtrop- po è uno sforzo che richiede poche energie fisiche, pochissime e- nergie mnemoniche (anche se, per inverso, aiuta tantissimo a mi- gliorare la memoria) ma richiede di riflettere, di mettere in movi-

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1 3 . A n c o r a s u l m o v i m e n t o d e l l a m e m o r i a

ho pensato quella particolare cosa mi trovavo in quel particolare luogo, senza azzardare legami complessi e semantici tra luogo e concetto. Che legame semantico può mai esserci tra la filosofia di Kant e una quercia? Forse nessuno, comunque sia io non li ho mai cercati. Quando mi ripetevo l’Analitica trascendentale fissa- vo un ramo, semplicemente questo. La ragazza dovrebbe così i- niziare a camminare dalla prima in direzione della seconda pan- china e fissare nella sua mente dei luoghi, ovvero dei punti carat- teristici quali possono essere il tronco di un albero, una particola- re buca nella pavimentazione, una pianta o un cespuglio, un ce- stino dei rifiuti ecc.

Deve quindi pensare non solo alla cosa in sé ma anche al luo- go che c’è intorno, come se la torcia elettrica della sua attenzione illuminasse il cespuglio (se per ipotesi il cespuglio è la prima cosa rilevante che trova dopo aver lasciato la prima panchina in dire- zione della seconda) e lo spazio che esso ha davanti. Deve porsi di fronte a questo spazio fisico (che nel frattempo è già diventato uno teatro dell’immaginazione) e ripetere il concetto del primo capitolo del manuale che sta studiando cercando di memorizzar- lo come avrebbe fatto se fosse stata al tavolo della biblioteca o sul letto a casa sua. Non deve cercare di creare legami artificiali tra il concetto del libro e il cespuglio, non deve fare astratti lega- mi tra il concetto e la cosa (il cespuglio). È il suo stesso sistema percettivo a creare e rafforzare questi legami, è lì che lei sta im- parando che per «Leibniz in natura niente si crea e niente si di- strugge»; non c’è bisogno (almeno in questa fase) di legare la creazione, la nascita e il deperimento all’immagine del cespuglio. Già consigliare di immaginare il cespuglio che viene tagliato e che i suoi resti tornano a far parte della terra e un’operazione che distrae dal libro, dal manuale che la nostra ragazza deve studiare. Lo ripeto: in questa fase preliminare è sufficiente che lei memo- rizzi il suo concetto in quel posto, senza azzardare, adesso, lega- mi fantasiosi. Procederà oltre e al secondo oggetto significativo si soffermerà lì a ripetere il secondo concetto e così via fin quando avrà bisogno di luoghi e di panchine.

Si obietterà che in natura non esistono percorsi che così bene si adattano a ciò che dobbiamo imparare, ma a ciò è possibile ri- battere domandando: chi mai ci ha provato?Una critica mossa al- le mnemotecniche, per altro banale e preconcetta, vuole che per ricordarsi ciò che si è imparato si debba necessariamente farsi una passeggiata “reale”, quindi camminando per le stanze di casa o per le vie della propria città. In verità è sufficiente essere stati an-

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mento l’intelligenza e tracciare nuovi sentieri al pensiero con l’immaginazione. Soprattutto richiede di creare immagini appro- priate ai nuovi concetti. È questa una fatica a cui la quasi totalità delle persone sempre si sottraggono, preferendo lo sforzo della ripetizione meccanica alla ginnastica dell’intelletto.

L’arte deve combattere non soltanto con la stupidità ma an- che contro un fortissimo alleato della stupidità: l’abitudine e, siccome siamo “abituati” a farci prendere dalle abitudini, uno sforzo meccanico monotono, ripetitivo e infruttuoso viene sem- pre preferito alla sperimentazione, al tentativo di pensare in ma- niera differente. Intendo dire “realmente” differente; anche in questo caso infatti si fa spesso confusione, si confonde il pensare in maniera differente con il pensare cose “strane”. In realtà chi pensa cose strane pensa nella maniera ordinaria e in niente sfrutta e sforza la propria intelligenza e neppure l’immaginazio- ne: per pensare cose strane non è richiesta nessuna particolare dote immaginativa (così come chi si veste in maniera stravagan- te non ha nessun particolare gusto estetico, vuol solo mettersi in mostra); le mnemotecniche non sono un esercizio meccanico della memoria ma un gioco dell’intelligenza. Pensare in maniera realmente differente dall’ordinario inoltre di per sé non basta, si deve pensare cose diverse in modo diverso per vie diverse da quelle che generalmente si battono.

Quindi la nostra studentessa non avrebbe “durato” maggior fatica mnemonica, né perso più tempo, se soltanto si fosse messa a studiare il suo libro panchina per panchina, tappa per tappa in- vece di girare in tondo. Si sarebbe data un ordine, perché se ci ri- cordiamo una cosa automaticamente ci ricordiamo anche dove l’abbiamo imparata e se i posti dove abbiamo imparato le cose sono legati tra loro in ordine – in sequenze logiche e topografiche – allora anche i nostri ricordi si legheranno automaticamente tra loro, senza che noi ci mettiamo lì a tavolino ad applicare astrusi collegamenti tra concetti astratti e panchine, cespugli, alberi, nidi d’ape ecc.

Il concetto di movimento stesso va inteso in modo quanto più ampio possibile. Anche il solo movimento dello sguardo è un movimento. Voltandoci di 180° capovolgiamo il “nostro” mon- do, guardiamo quella metà dell’universo che prima avevamo alle spalle. Anche restando fermi possiamo fare movimenti impor- tanti per la memoria semplicemente focalizzando l’attenzione.

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1 4 . I t e a t r i d e l l a m e m o r i a a p e r c o r s o

L

e mnemotecniche contemporanee si distaccano in parte da

quelle classiche, e in parte no. Se ne distanziano là dove dan- no maggior importanza alla tecnica piuttosto che all’arte, come invece facevano, ed erano obbligati a farlo, gli autori greci e la- tini. Se ne distanziano anche, ad esempio, per le tecniche di me- morizzazione dei numeri, dato che il nostro sistema di numera- zione si basa sulla numerazione araba mentre prima utilizzava- no quella romana; ciò ha comportato differenze sostanziali nel- le tecniche mnemoniche dei numeri e non solo. La nostra so- cietà, seguendo gli dei pagani della facilità, del già cotto e pron- to, ovviamente valorizza la tecnica semplice da capire e facile da attuare. La lotta non consiste quindi nel rifiutare i vantaggi della semplificazione di alcune procedure apportate dalle tec- nologie e dei nuovi sistemi di pensiero, quanto comprendere che tale apparente “semplicità” nasconde, in realtà, una com- plessità concettuale che non può esser sconfessata, pena la su- perficialità della riflessione e il suo peggior effetto: l’ottusità immaginativa.

Le dinamiche psicosociali indotte dalla nostra società condu- cono ad accettare i vantaggi che essa ci offre distogliendo l’at- tenzione dal prezzo da pagare; tutti noi ovviamente ci adeguia- mo volentieri, dato che reagire alla superficialità prodotta dalle comodità tecnologiche e – aggiungerei volentieri – dalla bana- lità didattica imperante nei nostri sistemi educativi costa fatica e ogni giorno che passa tutti quanti ci rilassiamo sempre più e di- stendiamo la nostra asettica coscienza sui letti dell’inconcluden- za. Al di là delle teorie estetiche (che bene rappresentano que- sto stato di cose essendo oggi banali, e/o astruse e/o criptiche nel linguaggio e inafferrabili nel significato ma, comunque, tutte completamente infondate) è per la tendenza alla semplificazio-

Capitolo 14

I teatri della memoria