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modello di Cicerone. Uno degli effetti “benefici” che è possibile ottenere partendo dalle mnemotecniche classiche è quello di a- vere un approccio corretto all’astrazione. L’apprendimento in- fatti è necessariamente collegato all’astrazione. Imparare è sem- pre anche un “fatto” di astrazione. Le mnemotecniche classiche permettono, fra l’altro, di correggere l’errata astrazione che pas- sa per la ripetizione coatta del messaggio da memorizzare.

Il movimento può quindi essere la chiave che ci fa com- prendere in profondità le mnemotecniche. Secondo la mia e- sperienza i teatri della memoria migliori, ed anche quelli più facili da “maneggiare” e imparare, sono quelli “a percorso”, “a passeggiata”, ovvero quelli in cui si parte da un punto (nel mio caso partivo da casa mia) e si fa una camminata per le strade, si fa un percorso. Cicerone partiva da casa sua e si “ripassava” le cause da dibattere durante il percorso che lo avrebbe portato al tribunale.

La maggior parte delle fonti classiche però consigliavano in- vece teatri di tipo architettonico. Mi sono posto la domanda per- ché io mi trovassi meglio con quelli a percorso mentre invece autorevoli fonti classiche e medievali prediligessero quelli di ti- po architettonico. La risposta è che non lo so, posso soltanto fa- re delle ipotesi. La memoria è sempre e comunque qualcosa di molto soggettivo, l’insistere degli storici sugli esempi classici si- gnifica soltanto che, non sapendo bene ciò di cui parlano, si ri- fanno agli esempi degli altri. Nessuno di noi però ha la memoria di Quintiliano, intendendo con ciò dire che nessuno ha fatto le esperienze di Quintiliano, ha conosciuto le persone che lui ha conosciuto, ha avuto le percezioni che lui ha avuto, è cresciuto nella famiglia in cui è cresciuto, si è trovato a dover affrontare le sue stesse difficoltà, nessuno infine ha la sua stessa intelligenza e cultura. Si può certo esser più colti e più intelligenti anche di Quintiliano, pur tuttavia non si avrà mai la sua intelligenza e la sua cultura che restano specifiche della sua particolare esisten- za. Ciò ovviamente vale per lui e per tutti. Egli si trovava bene con i grandi palazzi ed io con i percorsi di paese (probabilmente perché vivo in un piccolo paese), qualcun altro si troverà bene con un’altra cosa ancora. Nonostante ciò le osservazioni che se- guono, se opportunamente adattate, valgono per tutti i tipi di teatri della memoria.

Dei teatri a percorso possiamo classificare alcune “sottocate- gorie”: i teatri a percorso monodirezionale (ad esempio facendo iniziare il percorso dalla propria abitazione al posto di lavoro);

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ne del pensiero che il concetto di arte ha perso buona parte del suo significato; è per questo motivo che oggi vere e proprie ope- re d’arte non se ne producono più. Non manca tanto l’arte quan- to la sua idea, non tanto il concetto astratto di arte, quello è qualcosa che comunque siamo in grado di recepire abbastanza facilmente; quel che manca è l’arte come disposizione mentale, come prospettiva, come orizzonte cognitivo, percettivo e rifles- sivo ad un tempo. È sicuramente più comodo appropriarsi della tecnica e spacciarla per arte. Soprattutto è la tensione concet- tuale a mancare, la gente non vuol durare più fatica, si spacciano per impegno quelle due o tre ore al giorno di studio distratto. Questo non è impegno ma soltanto superficialità e presunzione. Come stupidità è la volitività profusa nello sforzo finalizzato al- la ritenzione nozionistica o, quel che è peggio, alla ritenzione dei principi, allo studio dei famosissimi “contenuti”, dato che questi vengono automaticamente e sempre abbassati a nozioni. L’impegno e lo sforzo devono quindi esserci ma, come spero di dimostrare in questo scritto, devono “spingere” da un’altra par- te. La tecnica va imparata ad “arte”, ma va imparata, assimilata e fatta propria con l’esercizio e il tempo.

Quella che chiamiamo arte (compresa l’arte della memoria) si può vendere per “Arte”, ma resta una tecnica e – quando que- sta non è mossa, generata ed elevata dall’altra – si va poco lonta- no. Con l’applicazione corretta della tecnica comunque si va sempre più lontano di quella che, nella quasi totalità dei casi, si è soliti definire oggi arte; essa altro non è che una forma di “sfo- go”, un modo per impiegare il tempo da parte di tanti onesti cit- tadini che, o per fortuna di nascita (di buona famiglia senza il bi- sogno di andare a lavorare per potersi sedere a mangiare), o per sfortuna di carattere (una psiche che ha bisogno di pesanti con- trappesi per stare in equilibrio), presumono di fare arte, di crea- re cioè significati, quando invece giustappongono soltanto segni a simboli non riuscendo a dare né agli uni né agli altri un signifi- cato compiuto, a fonderli in una sintesi superiore, a far sì che le loro opere ci mostrino uno schema dinamico completo (pur nel- la sua particolarità) di significati.

Non interessandomi di grandi progetti architettonici (belli, funzionali ed economici sulla carta, ma fallimentari anche agli occhi dei meno esperti una volta che dalla grafica si sia passati all’edilizia), avendo iniziato dalle fonti classiche e ritenendo in verità che mantengano ancora una loro validità, inizierò dai tea- tri della memoria sul modello degli autori antichi e, su tutti, sul

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(almeno per un po’) nella direzione da cui sono arrivati spezzan- do quindi la circolarità perfetta? Una risposta definitiva non esi- ste anche perché in fondo si tratta di una distinzione soltanto concettuale: infatti, comunque disponga il mio percorso circola- re, la fine e l’inizio saranno sempre due luoghi in successione. Il percorso circolare, se sufficientemente ampio, permette una più razionale sequenza dei luoghi, l’impossibilità di confonderli, u- na visione d’insieme più omogenea.

I teatri a percorso hanno anche il vantaggio metodologico- didattico di poter iniziare proprio facendosi realmente il percor- so a piedi e poi, piano piano, passare a un percorso mentale. U- na obiezione banale, che però mi viene spesso fatta, è quella di chi sostiene che per ricordare qualcosa si debba sempre fare il “giro” del teatro realmente. È sufficiente farlo una volta con cri- terio, poi deve esser fatto sempre mentalmente. Quindi anche quando parlo di “camminare”, “spostarsi”, “osservare i luoghi in cui si è” ecc. mi riferisco sempre ad azioni non fatte sempre “fisicamente” ma ricostruite mentalmente, un ricostruirsi gli spazi con la memoria e “muoversi” all’interno con l’immagina- zione. Un mnemonista esperto non ha bisogno di farsi il giro del paese tutti i giorni per allenare il proprio teatro: avendo fissato nella sua memoria il percorso, lo ripercorre mentalmente tutte le volte che deve utilizzarlo.

I grandi sistemi mnemonici infatti sono complesse costruzio- ni astratte che possono funzionare soltanto con persone dotate di natura ma anche allenate, che abbiano la loro forza “mnemo- nica” concentrata essenzialmente sulla capacità dell’immagina- zione di rappresentarsi le cose e di disporre queste immagini in teatri molto astratti. L’astrazione anche dei teatri bruniani (tan- to per fare un esempio famoso e di proposito il meno apparente- mente appropriato) però è un’astrazione che è partita dal livello più basso dell’immaginazione, ovvero la percezione, quindi da teatri reali (anche un insieme di suoni può infatti essere un “tea- tro della memoria”). L’astrattezza dei teatri non può essere im- posta dal neofita alla propria mente, al contrario è il frutto del- l’esperienza e dell’esercizio del mnemonista provetto. Le capa- cità di un mnemonista si giudicano non soltanto dalle cose che riesce a ricordarsi ma anche e, aggiungerei, soprattutto, dal tipo di teatro che egli usa. Questo aspetto è tenuto in pochissimo conto da molti proprio perché, non praticando, non possono rendersi conto delle trasformazioni che un teatro ha nella mente di chi invece si è addestrato alle mnemotecniche. L’astrazione di

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quelli a percorso bidirezionale (lo stesso percorso di prima sol- tanto aggiungendo anche il ritorno ovvero da lavoro a casa) e quelli a percorso circolare (ad esempio parto da casa mia, faccio il giro del paese e ritorno al punto di partenza ma senza tornare indietro). Dei tre tipi qui elencati il meno efficace è sicuramente quello monodirezionale, è un percorso fisico e mentale incom- piuto, infatti raggiungere il punto finale non equivale ad aver raggiunto una meta; il percorso è un teatro, non un magazzino di ricordi: arrivare in fondo quindi non significa aver raggiunto un obiettivo ma soltanto aver riempito “lo scaffale” di ricordi.

Il percorso bidirezionale è già qualcosa di più e di meglio del primo. In realtà quasi sempre è una forma molto “striminzita”, “stilizzata” di percorso circolare con la differenza che “si torna indietro”. In molti trovano difficoltà a gestire un percorso bidi- rezionale in quanto una delle peculiarità dei teatri a percorso è proprio quella di poterli “ripercorrere” anche per il verso oppo- sto, può quindi nascere confusione tra “torno indietro” e “vado nel senso contrario”. L’esempio classico è quello di chi riesce a memorizzare (utilizzando un teatro a percorso) una lista di, per esempio, 100 parole che gli sono state dette una sola volta e sen- za l’opportunità di farsele ripetere. Generalmente se è un buon mnemonista riesce a ripeterle nello stesso ordine in cui le parole gli sono state dette ma, facendo ciò, riesce a ripeterle anche nel- l’ordine opposto, oppure partendo da un punto e ripetendole “in direzione” della prima o dell’ultima. Usando un percorso bi- direzionale si corre quindi il rischio di confondere il percorso a ritroso col percorso contrario, scambiare i luoghi dell’andata con quelli del ritorno e, nelle mnemotecniche, la confusione è il male peggiore. Il percorso bidirezionale, proprio per questo mo- tivo, può rappresentare un ottimo test per il praticante perché, presentando tanti rischi, dà anche la possibilità di imparare a e- vitarli.

Il percorso circolare è un percorso monodirezionale in cui punto di partenza e punto di arrivo coincidono o, meglio, si tro- vano in sequenza. Secondo me è il migliore per iniziare seria- mente uno studio delle mnemotecniche. Il punto critico di que- sto sistema è anche il suo punto di forza, ovvero la partenza e l’arrivo. Devono necessariamente coincidere con lo stesso luo- go? Devono essere due luoghi prossimi in maniera tale che si compia veramente un giro completo e il teatro in realtà non ab- bia mai fine? Oppure si deve far arrivare i ricordi come in quelle stazioni dove i binari finiscono, costringendo i treni a ripartire

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cade nei teatri a edificio) ma vi si potrà mettere davanti. Stare davanti a un luogo è come stare al cinema in platea (meglio an- cora in galleria) davanti allo schermo, alla giusta distanza per vedere e giudicare ciò che vi accade dentro. Infine, anche se meno degli altri mammiferi, siamo abituati a memorizzare per- corsi più che la disposizione degli spazi negli edifici. Il teatro a percorso è quindi ottimo per tutti questi motivi: permette di porsi alla giusta distanza dal luogo per meglio poterlo “maneg- giare”, dispone a uno sguardo prospettico quasi sempre uguale luogo per luogo, consente di avere un collegamento visivo dalla prospettiva del luogo considerato con il luogo che precede e quello che segue ecc.

Il teatro a percorso all’aperto inoltre ha l’indiscutibile van- taggio di essere un teatro molto differenziato; la varietà dei pae- saggi di sfondo, la differenziazione dei luoghi ecc. permettono la costruzione nell’immaginazione di un ambiente agilmente gesti- bile e facile da rammentare. E i migliori teatri a percorso aperto sono quelli che uno si costruisce in un paese di campagna. La città è troppo ripetitiva, le strade spesso sono cinte senza solu- zione di continuità su entrambi i lati da alti palazzi dando al per- corso l’effetto “tunnel”. Effetti tipo il “tunnel”, da “avvolgimen- to” ecc. tendono sempre all’indifferenziazione dei luoghi e degli spazi che si devono frapporre ai luoghi. Infatti non sono impor- tanti soltanto i luoghi dove porre i nostri ricordi ma anche gli spazi (che poi a ben considerare altro non sono che altri luoghi) che si frappongono tra un luogo mnemonico e l’altro. Tali inter- mezzi hanno un’importanza paritetica al luogo in cui porre le immagini: in definitiva altro non sono che luoghi in cui porre al- tri luoghi in cui si pongono le immagini e il luogo che tutti li rac-

coglie è il teatro2. In città, infine, ci sono troppi elementi di di-

sturbo e, a meno che uno non si costruisca il teatro in quartieri

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un teatro quindi non è una qualità che esso possiede all’inizio per cui il neofita debba allenarsi subito a costruire complesse strutture, è invece il risultato di un lungo processo di esercitazio- ni, elaborazioni e rielaborazioni, assestamenti, modifiche ed e- voluzioni che il teatro con la pratica assume nella mente dello studioso. In tale processo la mente stessa si trasforma e diventa più elastica, l’immaginazione si rafforza e se uno ha la costanza di perseverare nell’esercitarla resta stupito dalle capacità che riesce a sviluppare. L’esercizio dell’immaginazione a cui qui fac- cio riferimento ovviamente non è quello dei voli della fantasia, ma qualcosa di ben diverso che spero di mostrare nel proseguo. Il teatro a percorso ha quindi il gran vantaggio di poter esse- re percorso realmente dalla persona, di “navigarci” dentro; è quindi un teatro reale in cui si può veramente spostarsi da un

luogo all’altro1; a tale vantaggio se ne legano poi molti altri: la

direzione diventa automaticamente il punto di vista sul teatro, il luogo che devo ricordare è sempre davanti a quello in cui so- no, quello che ho appena ricordato invece è sempre dietro (mentre nei teatri a edificio non sempre i luoghi si trovano fisi- camente disposti in fila, spesso sono affiancati ecc.). Se uno sa crearsi bene i luoghi ha la possibilità di mantenere un contatto visivo tra il luogo in cui è, quello che ha appena lasciato e quel- lo che invece dovrà raggiungere subito dopo. Inoltre quando raggiunge un luogo non sarà costretto a starci dentro (come ac-

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1Altri teatri reali utilizzati sono gli edifici e le stanze, se sufficientemente grandi.

A mio parere questi sono teatri meno adatti per il neofita in quanto troppo vinco- lati al punto di vista e troppo costretti nei movimenti. Il praticante deve contare molto sul movimento per emancipare la propria mente. Se faccio del mio ufficio un teatro considererò luoghi la porta, la scrivania, la sedia, il davanzale della fine- stra ecc. Non potrò spostarmi fisicamente da un luogo all’altro ma dovrò necessa- riamente vedere il teatro da un ben preciso punto di vista e sempre quello, altri- menti sarei costretto a mutare la sequenza dei luoghi. Se guardo il teatro dalla mia sedia che, supponiamo, si trova in un angolo della stanza, ho una prospettiva del teatro che necessariamente muta (e con essa l’ordine dei luoghi) se mi pongo nell’angolo opposto. Usando un edificio, se abbastanza grande, tale asincronia si fa più lieve, comunque passando da una stanza a un’altra si compie un percorso, a volte ci sono corridoi che dividono fisicamente un luogo mnemonico dall’altro. Ma non sempre è così, spesso le stanze sono contigue (costringendomi a mettere due luoghi uno appiccicato all’altro) e soprattutto ciò che differenzia gli spazi so- no i muri che pongono una barriera visiva tra un luogo e l’altro. Queste e altre considerazioni ancora mi fanno ritenere tali tipi di teatri meno adatti al neofita. Ciò non di meno alcuni che hanno iniziato così poi si sono trovati bene, a dimo- strazione che l’immaginazione funziona in ognuno di noi in maniera in parte, ma soltanto in parte, differente.

2È questo un aspetto fondamentale che non viene messo in risalto (anzi spesso

non viene neppure preso in considerazione) nei manuali di mnemotecniche e nei saggi degli storici. Essi infatti si basano tutti e indistintamente sulla dicotomia co- sa-luogo. Altrettanto importanti sono però anche i seguenti elementi: 1) il teatro stesso è un “luogo”; 2) da un luogo all’altro non c’è il nulla ma altri luoghi in cui non mettiamo le cose. Quindi il teatro è sempre fatto da cose, luoghi in cui porre le cose e luoghi che rappresentano i rapporti “spaziali e/o mentali” in cui stanno tra loro i luoghi in cui stanno le cose. Il luogo quindi non è mai soltanto l’immagi- ne di uno spazio in cui mettere la cosa, il ricordo, ma anche e sempre un rapporto tra altri spazi. Gli intermezzi, “gli spazi frapposti”, sono luoghi importantissimi, essi infatti definiscono i luoghi delle cose.

residenziali, essa si presenta come troppo affollata e caotica o, detto altrimenti, con troppi “svaghi”. Alla fine la memoria si ri- solve nell’immaginazione.

In città quindi si deve scegliere con attenzione il percorso, sono pochi gli spazi in cui poter distinguere un orizzonte, è im- portante (ma questa è un’osservazione psicologica a carattere personale, non so dire se abbia un valore oggettivo, per tutti) poter scorgere un orizzonte senza dover alzare molto la testa co- me infatti si è costretti a fare in città in cui l’orizzonte è dato dal- la linea che divide il cielo dai tetti dei palazzi. In città poi ci sono troppe cose vicine le une alle altre e questo non è un bene.

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na volta che ci si è costruito un teatro reale e ci si è esercitati

abbastanza a lungo (tanto che alla fine si possa ripercorrere con l’immaginazione metro per metro, particolare per particola- re), il percorso da fisico deve trasformarsi in mentale, o per esse- re più precisi: il percorso è sempre un percorso mentale, anche quando si percorre realmente col corpo e il teatro si fa presente alla nostra immaginazione attraverso i sensi. Si è detto, e convie- ne ripetersi che, per muoversi all’interno di un teatro della me- moria, non è necessario uscire di casa e incamminarsi, è sufficien- te aver presente alla mente il percorso e navigarci all’interno con l’immaginazione. È certo utile le prime volte farlo “fisicamente” ma, una volta imparato a sufficienza, è non soltanto possibile (e neppure soltanto consigliabile) ma obbligatorio percorrerlo sol- tanto mentalmente. Quello della memoria è sempre un percorso mentale in quanto il mondo percepito è sempre rappresentato e, se è rappresentato, è pensato. Senza volersi addentrare in que- stioni epistemologiche va da sé che, comunque sia, anche il mon- do che percepisco è un mondo riflesso nella mia mente. Il mne- monista deve allora emanciparsi dal supporto fisico del percorso perché, ovviamente, non è possibile che ogni volta che ha biso- gno di ricordarsi qualcosa si metta in marcia a fare la “passeggia- ta” del quartiere.

Nella precettistica libresca però raramente viene specificato come passare dalla rappresentazione del percepito alla rappre- sentazione dell’immaginato, ovvero come effettivamente funzio- nano i teatri della memoria. Nella manualistica classica raramen- te si entra nei particolari di tale aspetto e questo ha sempre rap- presentato un cruccio per gli storici, che spesso studiano da “sec- chioni” tecniche che non sanno utilizzare. In verità Cicerone, Quintiliano e il maestro dell’Ad Herennium non avevano motivo

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