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1Qui mi trovo costretto a specificare: tutto questo valeva per me che, indipen-

dentemente dalle mnemotecniche ho sempre avuto mie naturali strategie di me- morizzazione – molte delle quali mi sono diventate palesi e, quindi coscienti, sol- tanto dopo tanti anni di studio – che riconosco essere molto diverse da quelle proprie della maggior parte delle persone. Generalmente infatti le persone per concentrarsi hanno bisogno dell’assenza di stimolazioni sensoriali e, in senso la- to, fisiche. Per quel che mi riguarda non è così, sempre che tali elementi (che in molti altri sarebbero di disturbo, come la posizione a sedere su un albero) si inte- grino nel mio sistema complesso di riferimenti semantici, ovvero nel mio schema dinamico di memoria.

fine di renderlo coadiuvante dell’apprendimento. Non sarò certo io a ricordare che c’è stata un’importante scuola nell’antica Gre- cia che dalla didattica in movimento ha addirittura preso il nome: la scuola peripatetica di Aristotele. È importante infatti aver ben presente che la memorizzazione (e non la memoria) deve essere un mezzo e non un fine, oppure un effetto contingente di qualco- s’altro; ci sono infatti soggetti che riescono a memorizzare tantis- sime cose, molte delle quali però assolutamente inutili. Che sen- so ha infatti memorizzare migliaia di numeri del telefono quando si può benissimo consultare l’elenco? Che beneficio posso trova- re a ricordare una sequenza di numeri e nomi a cui non corri- sponde nessun significato, nessun contenuto semantico; migliora forse la mia intelligenza?

Evidentemente i soggetti con elevate capacità mnemoniche e che le esprimono in semplici giochi di prestigio lo fanno o per ra- gioni commerciali, oppure per compensare loro particolari stati d’animo. In questi casi però la memoria si trova relegata nel ruo- lo di semplice strumento oppure, nella concatenazione dei ricor- di, mero effetto di un disagio psicologico. La memorizzazione deve al contrario essere sempre un mezzo mentre la memoria sempre un fine. La memoria è parte del pensiero e il suo miglio- ramento deve esser sempre in vista di una migliore facilità nel ra- gionamento, una maggiore profondità di pensiero. Originaria- mente infatti l’arte della memoria era una parte della retorica,

ovvero nacque nel campo dell’argomentazione2, e in quel settore

dovrebbe tornare ad avere un ruolo. A ben considerare però l’ar- gomentazione rappresentò soltanto il casus belli, il pretesto che la mente umana trovò da e per sé stessa; la memoria altro non è che la porta dell’immaginazione verso la metafisica o, detto in termini più modesti, qualcosa che è in grado di metterci in con- tatto con quella parte che pur ci appartiene ma così lontana da noi da non esser spesso neppur intravista. La memoria, se oppor- tunamente interrogata, ci fa vedere dall’altra parte della stanza, vedere quel che non abbiamo mai guardato e farcelo capire nella sua immediatezza; la memoria consente all’immaginazione di porre la coscienza di fronte alla ragione. Come acutamente os- servava già Aristotele, pensiamo per immagini e ricordiamo so- prattutto per immagini.

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1 2 . L a s c i m m i a t o r n a s u l l ’ a l b e r o

Fu quello uno dei pochi casi in cui riuscii a canalizzare la mia ansia per l’esame nella giusta direzione; l’impegno che mi ero preso di non scendere fin quando non ero in grado di ripetere i concetti salienti dell’opera del filosofo per cui ero salito sull’al- bero funzionava da propulsore per la memoria e per l’intelletto. La scomodità stessa della posizione (ma poi non tanto) e la peri- colosità di essere su un alto ramo di una grande quercia (ma an- che questa è più una cosa che rivivo adesso che sono più vecchio e grasso, al tempo non ci facevo caso essendoci abituato) risultò essere un eccitante per la concentrazione e un “digestivo” per l’archiviazione dei nuovi concetti che andavo imparando. Duran- te lo studio infatti assumiamo spesso posizioni corporee che non sono coerenti con ciò che dobbiamo imparare ma che, purtrop- po, rispecchiano le nostre ansie e le nostre paure.

Non importa essere psicanalisti per capire che il frenetico ri- petere la lezione girando intorno alla vasca aveva per la ragazza una funzione ansiolitica o, detto in altri termini, il movimento non era finalizzato alla memorizzazione e alla comprensione ma al controllo della propria ansia causata dalla paura di essere in- terrogata. Spero per lei che il suo professore le abbia dato l’op- portunità di girare intorno alla cattedra mentre la interrogava. Per quel che mi riguarda non ho mai chiesto a nessun professore di interrogarmi sopra un albero, per ovvi motivi, ma se ciò fosse stato possibile sarebbe stato un vantaggio per entrambi, per la scimmia che è in ognuno di noi. Non intendo però fare qui la par- te del saggio, di quello “bravo”, anzi è dal lungo perdurare nel- l’errore che poi se ne può uscire e comprendere qualche verità che resta sconosciuta a chi, per fortuna o per carattere, in tali er- rori non è mai caduto: per anni ho assunto posture e tenuto posi- zioni del corpo che erano effetto visibile dei miei intimi contrasti, il corpo e la mente a quel punto riescono comunque a trovare un equilibrio, ma si tratta, in ogni caso, sempre di un equilibrio for- zato che richiede uno sforzo maggiore per compiere quel che si potrebbe effettuare in una situazione di equilibrio dinamico. La memoria richiede il movimento della mente, l’immobilismo cor- poreo può essere d’aiuto o d’ostacolo, dipende da tante cose, mentre un movimento ripetitivo generato dall’ansia ha sempre una funzione inibente per la memorizzazione.

Il movimento in relazione alla memorizzazione, come argo- mentato nei capitoli precedenti, può avere due funzioni tra loro opposte: o è compensatorio dell’ansia o è propulsivo al ricordo. Nel primo caso ovviamente è d’intralcio e va quindi modificato al

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2Anche questa è una semplificazione. Non è infatti chiaro se l’arte della memoria

sia nata in seno alla retorica o sia di derivazione pitagorica, oppure sia stata una delle tante “importazioni culturali” dall’antico Egitto ecc.

rifare sempre nell’immaginazione. Va da sé che con questi sem- plici stratagemmi ben difficilmente si raggiungerà una memoria “bruniana”, si otterranno comunque risultati notevolmente su- periori allo studiare sempre nel solito posto con l’immaginazione imballata. Il rapporto movimento/apprensione della nozione è, in tal modo, naturale e per questo tanto più forte. Imparare cose diverse in posti diversi, ma inserendo collegamenti omogenei e logicamente ricostruibili a posteriori (quale può essere un per- corso), è un notevole aiuto alla ritenzione delle idee. L’esempio dello studio di un manuale sulle panchine di una piazza è un vali- do consiglio perché, avendo già tutti i tratti distintivi di una mne- motecnica, non richiede sforzi particolari. Si deve comunque prescindere, in questa fase, dall’associazionismo meccanico “luo- go-cosa da ricordare”. L’associazione, quella forte, quella vera, la fa il nostro sistema percettivo nel suo insieme, mette a posto le cose, le riordina e le coordina. In verità tutte le mnemotecniche non richiedono né devono richiedere sforzi particolari per essere utilizzate, pretendono impegno e applicazione ma non lo sforzo di associazione dell’idea all’immagine e dell’immagine al luogo. Purtroppo c’è il pregiudizio diffuso che le mnemotecniche siano una serie di tecniche di associazione mentale faticosa. Tale pre- giudizio è dovuto in gran parte alla speculazione che sulle mne- motecniche è stata fatta e dalla diffusione di tecniche fondate sull’associazionismo posticcio fra idee e immagini, soprattutto immagini di “altre idee” (facile da comprende per il grande pub- blico ma anche assolutamente forviante dal punto di vista del- l’Arte) e, in piccola parte, dalla corrente di pensiero che conside- ra lo studio come necessariamente legato allo sforzo. Anch’io ri- tengo che studio e sforzo non possono venir scissi, ma è sul con- cetto di sforzo che dissento. Lo sforzo deve essere soprattutto di concentrazione e deve diminuire via via che aumenta la passione per la cosa fino a diventare impercettibile quando la concentra- zione è ben allenata.

In realtà il preconcetto dell’apprendimento mnemonico co- me sforzo ha la sua ragion d’essere nella nostra “naturale” dispo- sizione allo studio. Ci ricordiamo tantissime cose senza nessuno sforzo perché fanno parte del nostro “vissuto”, della nostra espe- rienza: la nostra abitazione, le facce delle persone che conoscia- mo, i luoghi in cui siamo stati, i film che abbiamo visto ecc. Lo studio invece sembra essere una cosa che non fa parte della no- stra quotidianità anche se poi studiamo tutti i giorni per più ore; ciò perché quello che studiamo si trova nei libri o nel computer e

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1 2 . L a s c i m m i a t o r n a s u l l ’ a l b e r o

Il movimento in rapporto al ricordo può, in prima battuta, distinguersi in tre fasi: l’apprensione, la ritenzione “rielaborati- va”, la rievocazione. In fase di apprendimento, il movimento deve rispettare la natura dell’oggetto da comprendere e memo- rizzare. Infatti, un conto è dover imparare una canzone o una poesia a memoria, oppure un brano musicale con il vincolo e il vantaggio di dover maneggiare e suonare uno strumento; oppu- re ancora una lezione di chimica, di matematica, di biologia, di fisica, infine studiare filosofia, psicologia o le scienze della poli- tica. Discorso a parte meritano le lingue. Ciò che vale per ogni campo dello scibile è il principio per cui le mnemotecniche so- no una forma di “ricostruzione” del pensiero che prende forma nei ricordi.

Le mnemotecniche forse non sono nate né si sono sviluppate per memorizzare la matematica (se non la matematica magica), ovviamente ciò non toglie che nelle belle giornate di primavera anche chi si dedica a materie formali come la matematica, la chi- mica, l’informatica possa trovare vantaggio ad andarsi a studiare i manuali in una piazza come piazza D’Azeglio, dove ci sono tan- te panchine: e conviene studiare prima del libro la disposizione delle panchine nella piazza, su ognuna di esse studiare un solo capitolo, passare da una all’altra così come si passa da un capito- lo all’altro.

Se quindi si decide di mettersi a sedere sulla panchina vicino alla fontana, quella diventa la panchina del capitolo I, il capitolo II dovrà quindi venir studiato nella panchina più vicina alla pan- china 1 che così diventerà la panchina 2; il capitolo III si studierà su quella più vicina alla 2 che quindi diventerà la panchina 3 e via di seguito. Le panchine devono disegnare un percorso imma- ginario paritetico ai capitoli del libro che si studia. Se il giorno in cui devo studiare il capitolo III trovo la panchina 3 già occupata non devo andare a cercare un’altra panchina 3, ma mi rimetto sulla panchina 1 o 2 a ripassare il capitolo I o II. Prima di impa- rarsi teatri fatti di luoghi astratti dovremmo iniziare a compren- derli intuitivamente: a collegare ciò che si pensa al luogo in cui si pensa.

Questi ovviamente sono soltanto esempi ma facilmente appli- cabili e che non richiedono sforzi aggiuntivi di concentrazione, i cui risultati però sono assicurati e superiori alle aspettative di molti. Altrettanto vero è che non sempre si può andare a studia- re sulle panchine in un giardino ma, come già riferiva Piero da Ravenna, basta averlo fatto una volta nella “realtà” per poterlo

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non nella realtà, ci pare quindi opportuno imparare memoriz- zando attraverso la ripetizione. Infine si consiglia spesso di ripe- tere rielaborando i contenuti, dando alla memorizzazione i carat- teri dell’atto creativo; ciò rappresenta sicuramente un migliora- mento rispetto alla ripetizione meccanica ma soltanto perché nelle operazioni di rielaborazione vi è sempre una creazione di immagini. Comunque sia anche la ripetizione rielaborativa non è un buon sistema di memorizzazione né di apprendimento, al massimo può essere un esercizio preparatorio allo studio vero e alla vera memorizzazione.

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1 3 . A n c o r a s u l m o v i m e n t o d e l l a m e m o r i a

T

orniamo alla ragazza nella piazza: una volta che la nostra stu-

dentessa ha studiato il suo manuale sulle panchine di piazza D’Azeglio cosa dovrebbe fare? Ovviamente deve ripetere quel che ha studiato, ma ripetere cosa? La risposta però non è detto che debba cronologicamente seguirla direttamente; paradossal- mente va prima risposto alla domanda che segue, ovvero: ripete- re dove?

La risposta più ovvia sarebbe: ripetere ogni capitolo sulla panchina su cui si è studiato. In questo caso la risposta ovvia è anche quella sbagliata. Se così fosse si ricadrebbe nel classico er- rore di ritenere le mnemotecniche qualcosa di meccanico; in realtà sono in parte “meccaniche”, in parte “formali” e in parte “ermeneutiche”. Se si è studiato bene si è in grado di analizzare il materiale e di sintetizzare i concetti salienti in pochi punti ordi- nati logicamente tra loro, in maniera tale che vi sia un elemento nel primo che richiami il secondo ecc.

La studentessa non deve collegare i concetti da imparare ai luoghi in cui li pensa attraverso legami astratti e forzati: lasci i concetti al pensiero astratto e le immagini dei luoghi all’immagi- nazione. Impari a collegare nell’immaginazione le immagini alle immagini e ad associare (senza creare legami artificiali) i concet- ti alle immagini. Cosa significa tutto questo? Semplicemente che se intendo ricordarmi la teoria economica di Keynes, devo torna- re con l’immaginazione al posto e al momento in cui l’ho studia- ta. Ovvio che un’immagine così generica lascerà pochi ricordi, ma se aumento il numero delle immagini o, come precedente- mente accennato, la definizione dell’immagine e la rievocazione dei suoi particolari aspetti, aumenterò anche il numero dei ricor- di. A questo punto l’associazione tra immagine e concetto deve essere puramente convenzionale, semplicemente perché quando

Capitolo 13

Ancora sul movimento