• Non ci sono risultati.

Lo stato di coscienza allo stato dell’arte

focalizzare l’attenzione su di essa. Negli esercizi che abbiamo e- sposto fino ad ora l’attività consapevole era sì incentrata su un oggetto non però per estraniarsi dall’ambiente ma, al contrario, per considerare nella maniera più attenta possibile l’oggetto in relazione all’ambiente. Quindi, almeno in linea di principio l’at- tenzione o, meglio, la focalizzazione richiesta dalle mnemotecni- che si oppone a quella ipnotica classica. In PNL (programmazio- ne neuro linguistica) la trance ipnotica viene definita come la perdita dei diversi punti di attenzione. Ciò significa che si focaliz- za un punto a esclusione di tutto il resto. Al contrario le mnemo- tecniche richiedono la concentrazione su una cosa non avulsa ma in mezzo, insieme alle altre, in considerazione delle altre. I “di- versi punti di attenzione” vanno mantenuti e rafforzati continua- mente. La pratica ipnotica, in fase di suggestione, tende a far rila- sciare le difese cognitive dell’individuo affinché egli risulti ricet- tivo all’induzione e una volta in trance diventi reattivo alle solle- citazioni, non soltanto a quelle ipnotiche, ma anche a quelle che gli giungono da tutti i canali percettivi e a un livello diverso che non quello della vita cosciente normale.

L’ipnosi non è mai un fatto puramente soggettivo ma sempre un modo di interagire con l’ambiente, una modalità con cui ci contestualizziamo. Lo stesso dicasi per l’arte della memoria, seb- bene le due “pratiche” percorrano strade in parte diverse. Espe- rienze di trance più o meno attenuata ne facciamo tutti e molto più spesso di quanto non crediamo. Ne è un esempio quando leg- giamo un libro e a un certo punto ci imbamboliamo su una pagi- na, restiamo lì assorti nei nostri pensieri, che spesso non sono pensieri ma soltanto assorbimento nel nulla. Dopo alcuni minuti ci riprendiamo e ci accorgiamo di esserci fissati senza aver di fat- to né veramente letto né, soprattutto, capito alcunché. La dispo- sizione psichica del mnemonista non dovrebbe in realtà esser molto diversa, con la sola differenza che alla fase dell’assorbi- mento nella lettura, alla letargia nei confronti di un testo insigni- ficante e un ambiente anestetizzante, facesse da contrappeso la veglia sulle proprie cose da ricordare e il teatro (il contesto di ri- ferimento) in cui porle.

Le conferenze, ad esempio, presentano le condizioni ottimali per mandare in trance la gente senza neppure essere degli ipnoti- sti esperti. Anzi, diciamo le cose come stanno, è la gente stessa che durante le relazioni, nascosta nella selva oscura del pubblico, si spedisce da sola nel mondo dei sogni. In quel frangente si pos- sono notare le operazioni che l’individuo compie su sé stesso per

49

4 . L o s t a t o d i c o s c i e n z a a l l o s t a t o d e l l ’ a r t e

sione della sfera di coscienza, fino al ricalco dell’atteggiamento, all’adozione (spesso sopravvalutata) di metafore, all’opportuno uso di shock e messaggi e/o comportamenti paradossali nelle tec- niche di matrice ericksoniana; sono tutti elementi che rivestono evidentemente un ruolo di primaria importanza anche nell’arte della memoria.

Nel limitarci quindi a esporre le questioni rischiamo di venir fraintesi oppure di cadere in piccole contraddizioni, ribadisco quindi che il nostro faro guida in questo frangente è la direziona- lità dell’attenzione. Il problema è che prima di tutto dovremmo chiarire che l’ipnosi vera è cosa ben diversa da quella da spetta- colo dove le persone precipitano in catalessi pilotate. D’altra parte possiamo considerare tre diverse fenomenologie ipnotiche: una classica e diretta (in cui l’ipnotizzatore sostanzialmente crea una situazione favorevole, fa rilassare il soggetto, gli dice di fissa- re un punto e di focalizzare lì tutta la sua attenzione e poi inizia a impartire comandi ipnotici), una indiretta di matrice ericksonia- na (Milton Erickson infatti utilizzava un sistema molto più ela- borato di induzione, non impartiva direttamente gli ordini al sog- getto, ma instaurava una relazione, un dialogo in cui egli inseriva elementi di induzione, un colloquio che lui guidava e nel quale, studiando il soggetto, arrivava a comprendere la giusta strada per mandarlo in trance tramite comandi indiretti); infine una i- pnosi balorda, torbida, incompleta e “fascinatoria”. Quest’ulti- ma è niente più che un sistema di persuasione e di alienazione degli individui, la nostra realtà sociale è piena di questi demoni: si insinuano negli oggetti elettronici (telefonini, computer), nei vestiti alla moda, nelle auto, nei media (giornali, tv, pubblicità); in situazioni in cui “il fato” ci pone: scuola, file al supermercato, sport, conferenze, mezzi di trasporto ed anche in ciò che sembra innocuo o addirittura liberatorio. In una società corrotta e mala- ta, se le condizioni lo rendono possibile, tutto può trasformarsi in uno strumento di alienazione e dissociazione.

Parlare dell’ipnosi approfonditamente ovviamente ci porte- rebbe fuori tema, limitiamoci quindi soltanto a poche osservazio- ni che possono tornare utili ai nostri fini: innanzi tutto possiamo iniziare facendo dei distinguo: l’attenzione viene spesso confusa con la focalizzazione. Non sempre i due concetti corrispondono. Nell’ipnosi classica si focalizza un punto, un oggetto, lo si fissa non per analizzarlo coscientemente ma per introdursi alla trance, per mutare stato di coscienza. Si punta quell’oggetto ma quasi non lo si vede. D’altra parte essere attenti a qualcosa vuol dire

48

noiarsi, la noia andava a rafforzare la “fatica” di star concentrato su ciò che diceva l’ipnotista. Dopo pochi minuti era il paziente stesso a indursi in trance, ovvio che poi Erickson, osservando i se- gni dell’avvenuta suggestione l’approfondisse e la dirigesse.

A volte, mentre guidiamo l’auto in una strada di campagna do- ve non c’è troppo traffico, ci lasciamo assorbire così tanto dai no- stri pensieri che, a un certo punto arriviamo a destinazione come “telecomandati”, senza che ci si sia resi conto del percorso fatto. In treno il fenomeno è, se possibile, ancor più macroscopico: seduti accanto al finestrino, rilassati e dondolati dal rumore ritmato delle ruote sui binari, fissiamo il paesaggio. Un paesaggio che cambia in continuazione e che continuamente sembra riproporsi, il nostro sguardo si fissa ma subito dopo deve spostarsi. Non ci accorgiamo minimamente del movimento dei nostri occhi, soltanto chi ci os- serva vede come essi seguano un inesistente punto all’orizzonte e, subito dopo che esso sparisce alle nostre spalle ci ridirigiamo subi- to in un altro punto immaginario che si trova sempre all’orizzonte e sempre nel luogo su cui è possibile puntare riportando lo sguar- do nella sua posizione iniziale. Leggeri movimenti della testa, del collo, quasi impercettibili torsioni del busto, seguono il ritmo del nostro sguardo, si adeguano automaticamente e naturalmente al fluire del paesaggio, al tamburellare del treno sulle rotaie. Nel pas- saggio in galleria poi ci incantiamo sul fluire della linea bianca on- dulata dipinta sul muro e ne seguiamo le evoluzioni, i movimenti costanti e sempre uguali a loro stessi. Ci assentiamo. Apriamo una nuova porta sulla nostra coscienza, ci congediamo momentanea- mente da quel contesto per porci in un’altra dimensione percetti- va. Cosa accade in quei frangenti è una cosa tutta nostra, ma fon- damentalmente simili in ognuno sono le sensazioni provate, l’im- mersione, l’assorbimento diffuso che allenta dall’ambiente, il sen- so della realtà che sempre più opacamente ci avvolge.

Nelle mnemotecniche, soprattutto all’inizio, dobbiamo proce- dere necessariamente nella stessa direzione ma con una finalità diversa, così diversa da condizionarne anche le modalità di attua- zione: si deve fissare una cosa, focalizzare su di essa l’attenzione ma, a differenza che in ipnosi, non la si deve estraniare dal conte- sto bensì contestualizzare il più possibile. La focalizzazione ipno- tica classica è parte dell’induzione alla trance e quindi mira all’e- sclusione dell’ambiente dalla coscienza, la focalizzazione mnemo- nica invece punta a diventar ancor più consapevoli della cosa re- lazionandola nel miglior modo possibile con l’ambiente. Una volta fatto ciò, però, dobbiamo fare qualcosa che, nuovamente ci

51

4 . L o s t a t o d i c o s c i e n z a a l l o s t a t o d e l l ’ a r t e

“staccare la spina”: la postura che assume, i gesti che compie, co- me orienta lo sguardo, il fissare gli occhi nel nulla, i piccoli movi- menti automatici che attua inconsapevolmente, le tensioni del corpo, se è destro o mancino, i canali percettivi che predilige, la tempistica e le modalità con cui si rilassa e si dispone all’ascolto. Se l’oratore affronta tematiche noiose e le espone con voce mo- notona – il gioco è fatto – termine pochi minuti e la “gente vola”. In tali condizioni ci si potrebbe concentrare proprio sulla voce del relatore, recepire e rielaborare mentalmente tutto ciò che egli di- ce anche stando apparentemente dormendo o, meglio, dormendo davvero. Tra quelli che durante le conferenze dormono ve ne so- no molti che in realtà vivono un sonno ipnotico, sono in trance ma poi, alla fine della giornata di studi riescono a ricordare gli inter- venti molto meglio di coloro che invece sono rimasti vigili e atten- ti. È una questione di disposizione personale nei confronti del- l’ambiente, qui è impossibile approfondire il discorso, limitiamoci quindi a dire che se si è padroni degli stadi di trance leggera, come quello durante la lettura o le conferenze, l’attenzione può (ma non è detto che necessariamente debba) porsi ad altro livello e, a quel livello, essere altrettanto se non più reattiva.

Per inverso, soggetti apparentemente attenti, si isolano spesso e volentieri in situazioni in cui dovrebbero esser maggiormente vigili. Un esempio simile per circostanze, ma contrario per dina- miche, a quello della conferenza ce lo forniscono le riunioni di la- voro. Se non si è costretti dal ruolo (chi presiede, chi ha funzioni di segreteria ecc.) ci si “allenta” più spesso di quanto non si creda. Pensiamo alla fine, quando ci si “aggiorna” e si fissa data e luogo del prossimo incontro: nonostante tutti siano attenti, perché forse quella è l’unica notizia veramente importante di tutta la “seduta” (se non altro per perdere un’altra giornata di lavoro!), c’è sempre chi chiede «Scusa, a che ora ha detto?», «Dove è il prossimo in- contro? In quale sala?», «Dobbiamo andarci tutti?» e domande simili. Informazione date pochi secondi prima e noi per primi era- vamo convinti di esser “presenti”, attenti e ricettivi alla riunione. Cos’è successo? Ci siamo spediti da soli in un mondo parallelo, tutto nostro. Erickson con alcune tipologie di soggetti usava la strategia della “fatica all’attenzione” per indurre la trance ipnoti- ca. Egli, in determinati casi, non diceva al suo paziente «fissa l’o- rologio, concentrati su di esso, chiudi gli occhi, rilassati...», al con- trario si metteva a spiegare problemi di matematica o altre que- stioni che sapeva benissimo essere di nessun interesse per il sog- getto; questi annuiva per cortesia ma, intanto, iniziava ad an-

50

i connotati del nostro amore, costringiamo il nostro programma di scuola a entrare nelle nostre fantasie, a renderlo parte inte- grante dei nostri sogni e, ai nostri scopi, il fatto che lo si sia so- gnato oppure semplicemente studiato pensando a quello e basta non fa nessuna differenza. Anzi quasi sicuramente resterà con più forza nella nostra memoria ciò che abbiamo fantasticato di fare con il nostro amore. Infatti perché ci assorbiamo nella lettu- ra dimenticando ogni parola letta? Perché la nostra mente ci atti- ra altrove, verso il pensiero del nostro amore, del nostro deside- rio sessuale, delle nostre preoccupazioni, del nostra intima voglia di evadere, di andare via a fare tutt’altro e non incontrare più nessuno di quelli che invece ci tocca vedere tutti i giorni. Se la fantasia vuole andare in una direzione è sciocco bloccarla, de- viarla o negarla. «Vuoi andare laggiù, bene già che ci sei portami anche questo, e quest’altro e quest’altro ancora»: ecco come dobbiamo parlare alla nostra immaginazione.

La fantasia è forte, è un mulo di montagna, la si può caricare di legna molto più di quanto non pensiamo e ce la porta via sen- za lasciare indietro niente. Siamo noi però a doverla caricare e se non lo facciamo coscientemente, se ne incaricheranno subito le nostre emozioni e le più basse passioni; continueremo così a batterci nell’inconcludenza e a non giungere mai a niente. In questo caso è richiesto un grande sforzo, un enorme lavoro di a- nalisi, quella vera: si deve infatti avere la perfetta cognizione dei propri voli di fantasia, se ne devono studiare le traiettorie; il per- ché facciamo certi sogni lucidi piuttosto che altri; analizzare la nostra ricostruzione fittizia degli eventi trascorsi ecc. Questo la- voro, che richiede veramente una grande capacità di indagine su sé stessi, non va confuso con l’autoanalisi psicologica. Non devo infatti arrivare a comprendere chi sono io, quali complessi mi af- fliggono, la ragione delle mie paure, dei miei comportamenti; bensì le dinamiche e le regole di associazione seguite dalla mia immaginazione nel far seguire le rappresentazioni le une alle al- tre. È soltanto dopo che si sono compresi i percorsi seguiti dalla nostra immaginazione nel costruire le fantasie che possiamo in- tegrarle con contenuti che altrimenti andrebbero a opporsi a lo- ro. Qui non esiste una regola, un precetto valido universalmente in quanto ognuno ha una propria immaginazione che genera fantasie specifiche alla sua persona, alla sua mente, al suo passa- to e alle sue aspettative. L’esempio dell’innamorato che deve dare l’esame e che farebbe bene a fingersi di venir interrogato dalla sua amata credo renda sufficientemente bene l’idea di ciò

53

4 . L o s t a t o d i c o s c i e n z a a l l o s t a t o d e l l ’ a r t e

riavvicina all’ipnosi: dobbiamo “mettere da parte” l’ambiente in cui ci troviamo fisicamente e sostituirlo con il nostro teatro della memoria. A quel punto è il teatro ad essere il nostro ambiente, la nostra realtà esperita, lì dobbiamo ricollocare la cosa e vedere in che rapporti sta con tutto il resto. Quando pensiamo a un nostro teatro della memoria in verità è come se esso fosse il nostro am- biente reale.

Se invece di invitare Barbara a prendere un caffè avessimo semplice- mente pensato di farlo e pensato al suo nome, avremmo ottenuto il medesimo risultato ai fini del ricordo. In altri termini, il cervello non opera una chiara distinzione (da un punto di vista neurologico) tra la realtà e l’immaginazione1.

Volendo possiamo aggiungere altro, se avessimo – ad esempio – pensato non solo al nome di Barbara e al fatto di invitarla a pren- dere un caffè, ma anche in quale bar, se ci saremmo messi a sede- re a un tavolino e via dicendo. Ciò, come precisa Golfera nelle ri- ghe subito precedenti alla citazione or ora fatta, ha lo stesso valo- re mnemonico che se fosse avvenuto attraverso un utilizzo co- sciente dell’informazione. Uno studente o una studentessa che devono superare un esame e, nello stesso periodo di tempo si so- no innamorati, trovano spesso difficoltà ad andare avanti negli studi. Ora se l’oggetto dei loro desideri deve dare lo stesso esame è sufficiente che studino insieme, il resto lo farà la voglia di appa- rire bravi e intelligenti ma, soprattutto, il fatto che passare quelle ore insieme rafforza le cose studiate collegandole a una situazio- ne emotivamente connotata. Il tutto ovviamente funziona fin quando i due si limitano a studiare e basta, se passano dal deside- rio all’azione... addio esame! Se invece la persona amata si occu- pa di tutt’altre faccende e quindi non può studiare insieme a noi si può benissimo studiare da soli ma facendo finta, immaginan- dosi, di studiare insieme a lei.

Questa seconda fattispecie è addirittura migliore della prima, in quanto è la nostra mente a doversi costruire tutta la scena, ad architettarla, a darle una trama e dei contenuti. All’inizio la fan- tasia porta verso i mari tropicali o verso situazioni erotiche o chissà dove, ognuno del resto ha divagazioni proprie ed è giusto così. Se però proviamo a crearci una situazione in cui la persona che studia con noi, o il professore che ci deve esaminare, assume

52

I l c e r c h i o d e l l e i l l u s i o n i

fissazione dell’attenzione”, e rinforzerà il vostro dirigere la coscienza in concentrazione diretta. Praticate questo esercizio più volte, utiliz- zando una differente immagine ogni volta. La fissazione dell’atten- zione è l’elemento più importante per impiantare una suggestione nel subconscio3.

Come potete facilmente notare esistono molti punti in comune con l’esercizio proposto da Dominic O’Brien; vi è però una diffe- renza sostanziale: la direzione della concentrazione. In un caso l’attenzione è mirata a considerare nel modo più particolareggia- to possibile l’oggetto, nell’altro tende invece ad “annullarsi” nel- la concentrazione dell’oggetto. In definitiva nell’ipnosi l’oggetto di osservazione è soltanto un mezzo, quasi un pretesto o, più cor- rettamente, un punto d’appoggio per mutare stato di coscienza; nelle mnemotecniche invece si mira a definire nel miglior modo possibile il proprio stato di coscienza, di elevarlo e di considerare tutti gli elementi che lo compongono. Molte ricerche in campo neurologico convergono sull’ipotesi che non esiste un unico pro- cesso di attenzione, ma differenti sistemi cognitivi con peculiari funzioni: orientamento, allerta, concentrazione, selezione e foca- lizzazione (Raz, 2005). Gli stati mentali «comunemente definiti stati alterati di coscienza, fra cui l’ipnosi, sono determinati prin- cipalmente, ma non solo, da una “dis-regolazione transitoria” dell’attività della corteccia prefrontale. Durante l’ipnosi si assiste a un’alterazione delle funzioni cerebrali, ovvero, depotenzia- mento [...] dei processi di concentrazione e orientamento, foca-

lizzazione dell’attenzione e abitudine sensoriale»4. Il problema

della dissociazione verrà affrontato nel prossimo capitolo. Per o- ra fermiamoci a considerare che l’attenzione è un fenomeno psi- chico complesso e composito.

L’ipnosi (soprattutto nella sua versione classica) tende, alme- no nella fase di induzione, alla disgregazione dell’attenzione, alla dissociazione della coscienza. L’attenzione mnemonica è estra- neazione “nel” teatro; quella ipnotica estraneazione “dal” tea- tro. L’immagine mnemonica è soggetto di conoscenza, rappre- senta nella sua piena realizzazione uno schema dinamico di natu-

55

4 . L o s t a t o d i c o s c i e n z a a l l o s t a t o d e l l ’ a r t e

che vado qui sostenendo; ma è soltanto un esempio, ognuno de- ve lavorare su sé stesso, sfruttare le fantasie e le immagini che già possiede.

L’ipnotista medio dice: «Guarda questo punto» e cerca di focalizzare su di esso l’attenzione del paziente, ma è più facile trattare con le im- magini che la persona ha in mente. Nella sua mente infatti c’è una grande varietà di immagini e il soggetto può facilmente passare dall’u- na all’altra senza abbandonare la situazione2.

L’ipnosi indiretta di matrice ericksoniana ha ovviamente molti a- spetti in comune con l’immedesimazione nel proprio teatro di memoria, similarità e differenze si rincorrono e sovrappongono così frequentemente che ci vorrebbe un libro soltanto per definir- le e spiegarle a chi non ha esperienze in nessuno dei due settori.

Fatto sta che, comunque, tanto in ipnosi quanto nelle mne- motecniche l’attenzione deve essere finalizzata a focalizzare ciò che si intende realizzare. Ora, più concentriamo la nostra atten- zione su una cosa più escludiamo dalla nostra sfera cognitiva il resto, più ci concentriamo su un punto meno siamo ricettivi nei confronti delle nostre stesse sensazioni. Nell’ipnosi ciò permette di realizzare uno stato di dissociazione (mi trovo qui, però men- talmente è come se fossi da un’altra parte; sono presente a me stesso ma è come se mi vedessi da fuori, se mi trovassi in un altro posto, come se fossi un’altra persona in un altro luogo); la con- centrazione richiesta dalle mnemotecniche invece deve mirare subito all’associazione, quindi percorre la stessa strada dell’at- tenzione ipnotica, ma nel senso opposto. Ecco un esercizio di fis- sazione dell’attenzione a finalità ipnotiche:

Per questo esercizio, oscurate la vostra stanza e focalizzate una luce su di un quadro alla parete. Sedetevi confortevolmente di fronte al quadro, e osservatelo. Osservate attentamente ogni dettaglio dell’im- magine. Studiate ogni linea, ogni ombra, ogni colore, ogni minuto dettaglio; è stupefacente la quantità di dettagli che possono essere in- dividuati in una semplice immagine quando uno la osserva. Concen- tratevi e assorbitevi nell’immagine così intensamente che ogni cosa at-