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Manipolazione delle rappresentazion

determinano la curvatura della deformazione delle cose nei no- stri ricordi. Inconsapevolmente modifichiamo le nostre rappre- sentazioni tanto che alcune di esse sono vividissime anche ad an- ni di distanza dalle percezioni che le hanno originate. Ognuno di noi ha ricordi ben definiti di fatti avvenuti molti anni fa, a volte tali fatti non sono legati a nessun elemento di apparente impor- tanza, ma in qualche modo tali ricordi sono andati a inserirsi nel fiume delle dinamiche dei ricordi di lungo corso. In ognuno di es- si c’è o ci deve essere qualche aspetto che lo accomuna con ricor- di suscitati da esperienze fortissime. Queste ultime a loro volta non sono in niente differenti da tutti gli altri ricordi se non per il fatto che persistono nella coscienza a opera dei forti sentimenti che le hanno alimentate.

La differenza tra gli automatismi della coscienza che rispon- dono a pulsioni naturali o esistenziali dell’uomo e le mnemotecni- che consiste essenzialmente nella direzione inversa che i processi di rappresentazione hanno. Mentre nel ricordo “naturale” è lo stato emotivo a determinare la caratura del pensiero, della rap- presentazione da ricordare e, quindi, da rielaborare; nelle mne- motecniche è lo sforzo volitivo del mnemonista a determinare la struttura del rappresentato. Nel quotidiano l’uomo è guidato dai propri stati d’animo; sono questi che determinano contorni e co- lori delle rappresentazioni: se siamo arrabbiati, depressi, confusi ecc. siamo portati a “ingigantire” i problemi, le situazioni, quello che gli altri ci dicono. Cosa significa però “ingigantire”? Sempli- cemente che ci rappresentiamo la realtà modificando le propor- zioni (che non sono soltanto né soprattutto spaziali ma sempre proporzioni esistenziali) di ciò che ci accade con lo sfondo in cui accade. Ad esempio, se una persona per noi antipatica ci fa a ra- gione un appunto: saremo portati a ritenere offensivo ciò che egli in realtà ci ha detto in buona fede, mentre se la stessa cosa ci vie- ne detta da un amico senza dubbio riterremo che ci è stata detta per il nostro bene e che poi, in fin dei conti, si tratta di un piccolo appunto a cui non merita dare molta importanza. La stessa situa- zione con attori differenti assume nella nostra immaginazione contorni, ma anche contenuti, differenti. Ciò risulterà della mas- sima importanza quando affronteremo il tema del come costruir- si le imagines agentes.

È la “tonalità emotiva”, come andava di moda dire tanti anni fa, a determinare forme e proporzioni delle nostre rappresenta- zioni, a stabilire col proprio stampo la profondità dei ricordi nel- la nostra memoria. La mnemotecnica opera alla stessa maniera

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1 7 . M a n i p o l a z i o n e d e l l e r a p p r e s e n t a z i o n i

Questa considerazione è importantissima, infatti aver l’op- portunità di cambiare caratteristiche all’oggetto non significa soltanto rappresentarsi un oggetto diverso ma anche rappresen- tarselo in un diverso spazio. Riuscire a manipolare e trasformare i ricordi permette di poter gestire e trasformare le immagini delle cose; ma ciò consente anche di trasformare l’immagine che ab- biamo del posto dove queste cose si collocano.

L’importanza che diamo alla possibilità di trasformare le no- stre rappresentazioni nell’immaginazione non è mai troppa. Così facendo trasformiamo la realtà nei nostri ricordi, questi nella no- stra esistenza. L’esistenza infatti a livello analitico-fenomenolo- gico dell’esserci (come andava di moda dire qualche decennio fa) è sempre la rappresentazione differenziata della realtà nella co- scienza. Essere in possesso cosciente dei meccanismi e dei pro- cessi di trasformazione delle percezioni nel ricordo è un’arte po- tentissima e un segno certo della forza della mente umana. Infat- ti, normalmente, avviene l’esatto contrario, non è lo sforzo co- sciente della mente a determinare la natura e la forma del rap- presentato ma il libero fluire dei sentimenti e delle passioni a de- cidere corso e coordinate dei nostri pensieri. Le mnemotecniche quindi vanno a toccare un tasto dolente della natura umana, “il dentro” delle debolezze umane. La nostra vita infatti è incentra- ta su desideri, aspirazioni, paure ecc. che prendono forma in im- magini, pensieri, ricordi. Tutto il nostro pensiero è determinato e dominato dalla rappresentazione che ci facciamo della nostra realtà, della nostra esistenza. Riuscire a dominare la capacità im- maginativa di trasformazione delle rappresentazioni significa riuscire in parte a condizionare la coscienza stessa. Faccio un e- sempio di ricorsività rappresentativa. Affrontiamo sempre ogni situazione con una ben precisa disposizione emotiva: se una per- sona ci resta antipatica, quando la incontriamo ci poniamo in una disposizione sentimentale di avversione. Tale atteggiamento de- termina, per tutta una serie di motivazioni in parte ovvie, non so- lo le circostanze dell’incontro e il suo andamento ma anche il successivo ricordo.

L’accaduto viene rivissuto nell’immaginazione attraverso il ricordo. Il ricordo si presenta quindi come una sequenza di im- magini sempre e comunque diverse non soltanto da quello che effettivamente e oggettivamente è successo ma anche da ciò che è stato soggettivamente percepito dalla coscienza. Il ricordo è sempre una rielaborazione alla seconda dell’accaduto. Sono i no- stri sentimenti, le nostre ambizioni, i nostri desideri, le paure che

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ma nella direzione opposta, è la volontà del praticante a stabilire forma e contenuto delle rappresentazioni (e quindi dei ricordi). È per tramite dell’immaginazione, e della carica emotiva che si riesce a dare alle proprie rappresentazioni, che possiamo influire sui nostri stati d’animo. Le mnemotecniche quindi rappresenta- no una forma di autocontrollo, almeno laddove se ne abbia una discreta padronanza. Va precisato però che questi automatismi non sono poi così scontati e che l’emotività di una persona pre- scinde la semplice dipendenza da ciò che si rappresenta e da co- me lo si rappresenta: pur restando fondamentale, il legame non è né monodirezionale né unico. È comunque per noi importante che ciò che si è percepito possa venir rappresentato in maniera volutamente deformata, dilatata ecc. a seconda del ricordo che se ne vuole ottenere e per quanto lo si vuol avere.

In definitiva possiamo dire che l’immaginazione dà forma alle proprie rappresentazioni in considerazione o della percezione, o dei nostri stati d’animo oppure, all’inverso, per sforzo volitivo. Nei primi due casi la mente si trova nella posizione dello spetta- tore passivo che assiste al film della coscienza, nel terzo invece è lei regista e sceneggiatrice dell’immaginazione. Le vere mnemo- tecniche, quelle che servono o possono servire a qualcosa, sono quindi sempre e soprattutto “esercizi spirituali”, rappresentano l’allenamento che la volontà impone all’immaginazione. Usare i teatri della memoria è un ottimo punto di partenza.

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1 8 . L a s t a s i o l t r e i l m o v i m e n t o

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ino ad ora si è affermato che la memoria è facilitata dal movi-

mento, che la fissazione è un male per l’immaginazione, che un’immaginazione flessibile e mobile è necessaria per una cor- retta e ampia ritenzione dei pensieri. Tutto ciò è indubbiamente vero e difficilmente si potrà dimostrare il contrario; ciò non di meno se la mente fosse un perpetuo vagare, un rimbalzare di rappresentazione in rappresentazione, un cambiare direzione al- l’attenzione continuamente, non soltanto la memorizzazione non ne verrebbe facilitata ma diverrebbe quasi del tutto impossi- bile. Ovviamente si tratta di chiarire sia il concetto di “mobilità” quanto quello di “staticità”. Vi sono quindi una mobilità e una stasi cattive e una mobilità e una stasi del pensiero buone. Come distinguerle? Innanzi tutto mobilità e fissità non sono buone in sé ma sempre all’interno di un processo virtuoso di pensiero.

L’attenzione deve prima esser mobile sulle cose da memoriz- zare e sul teatro che le include, poi deve fissarsi sul concetto da ricordare. Il passaggio dal movimento alla stasi dell’attenzione coincide con il processo di astrazione del concetto dall’immagine che lo rappresenta. Il passaggio dal movimento alla stasi è sem- pre un atto di scelta, la scelta dipende da un processo di attenzio- ne che tanto più è flessibile, quanto più il passaggio dal movi- mento al fissarsi del pensiero sarà immediato e naturale. La scel- ta di per sé trascende l’attenzione ma si manifesta in essa; questo il discrimine tra chi crede nella volontà e chi, per utilizzare una terminologia cara agli studiosi del ’600, fa di ogni atto volitivo u- na “reazione della macchina” o chi, ancora, ritiene ogni atto voli- tivo in fin dei conti un atto intellettivo (come teorizzava Spinoza) o, quanto meno, qualcosa riducibile a un atto volitivo. Ciò però è di interesse marginale per il nostro attuale discorso, fatto sta che, comunque la si voglia mettere, l’attenzione si ferma su ciò che a

Capitolo 18