Questi a loro volta pensiamoli come parte di una sola immagine. Essa rappresenterà il primo luogo complesso del nostro teatro. Anzi il teatro si creerà con essa. Tale immagine, non rappresen- tando un solo pensiero ma più concetti generali, deve a sua volta trasformarsi – in questa specifica fase preliminare – in “teatro”, cioè in un’immagine-teatro con tante caratteristiche appropria- te a rappresentare iconograficamente i diversi “luoghi-cose- concetti” da memorizzare. Ognuno di questi tratti particolari rappresenterà uno dei principi che abbiamo precedentemente desunto. A scalare, da ognuno di essi, si arriverà a ogni partico- lare aspetto del soggetto che intendiamo rammentare, per quan- to vasto esso possa essere. Così la prima immagine compressa ri- manderà, nei suoi particolari aspetti – per analogia, contiguità e contrapposizione – a un tratto di ogni altra immagine che siamo andati via via costruendo nella mente e che rappresenterà un nucleo tematico, un insieme di argomentazioni o, comunque, un tratto omogeneo del soggetto da apprendere. A differenza delle mnemotecniche classiche, qui non è in questione soltanto la col- locazione delle immagini nei luoghi del teatro ma, soprattutto, la creazione di particolari immagini che siano a loro volta anche luoghi. Mentre nelle mnemotecniche classiche era unicamente l’immagine ad adeguarsi al concetto, qui sia l’immagine che il luogo in cui essa viene posta rappresentano simbolicamente il materiale da ricordare. Tutto questo però lo abbiamo già detto nei capitoli precedenti; quel che aggiungiamo adesso è che si de- ve cercare di collegare le immagini e i contenuti per associazio- ne secondo i criteri su menzionati (contiguità, opposizione, ana- logia) ma, e qui sta la nota importante, non a caso – o come tor- na più comodo sul momento – ma secondo uno schema ben pre- ciso. Inoltre tutto ciò comporta che sia fatta un’approfondita a- nalisi di ciò che va memorizzato. Questa fase non può venir tra- lasciata e pensare che le mnemotecniche da sole possano sosti- tuirla è un grave errore.
A questo punto però ognuno deve far da solo: spetta infatti a noi, alle nostre particolari capacità, decidere come. Certo è che non è affatto necessario associare sempre o per analogia, o per contrapposizione o per contiguità; anzi è meglio evitare di ridur- re l’associazionismo a uno solo dei suddetti criteri. Piuttosto sa- rebbe auspicabile determinare il criterio del loro uso in base alle immagini da cui, di volta in volta, si parte. Detto altrimenti, come è l’immagine che precede a “causare” quella che segue, altrettan- to deve dirsi per i criteri di associazione: è l’idea o, meglio, l’im-
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ma (il teatro), poi però si può fare anche il contrario attraverso i criteri dell’associazione d’idee (contiguità, analogia, opposizio- ne), da qui si deve partire per rendere sempre più aderente il tea- tro alla “recita” (la rappresentazione).
Lo schema altro non è che il teatro adattato ai contenuti da memorizzare. La semplicità è un che di raggiunto; la complessità è il dato iniziale, ciò da cui si parte. Si deve riportare la comples- sità disomogenea a una semplicità omogenea, a un’unità com- plessa a livello semantico ma elementare a livello sintattico. L’i- cona dello schema dinamico deve essere una e, per quanto possi- bile, chiara, semplice e afferrabile tutta all’interno di una singola rappresentazione. Ogni segmento che compone l’immagine- schema deve rimandare “semanticamente” a un sottoinsieme complesso di riferimenti.
Uno schema dinamico ben strutturato implica che una volta preso e tirato un capo del filo dei ricordi esso si porti dietro tutti i ricordi che sono ad esso collegati. Uno schema è una collana di ricordi: si deve alla fine fissare nella memoria soltanto il capo di tale filo poi, tirandolo, riuscire a portarsi dietro tutti gli altri ri- cordi. Ogni ricordo ne deve causare un altro, lo deve in un certo senso “provocare”. Come il precedente causi il seguente lo ab- biamo già detto, i criteri associativi già specificati; ciò che ancora va argomentato è invece il criterio d’uso dei criteri su menziona- ti. Ovvero: presupponiamo di dover ricordare tantissime cose su un determinato argomento o su un ben definito campo del sape- re (un insieme di leggi ad esempio). Il tutto va letto in maniera a- nalitica. Già, ma come? Analizzando gli argomenti non tanto in ordine cronologico o in ordine di esposizione ma in ordine “mne- mo-logico”. La logica in questione, e questo è veramente impor- tante, deve essere la logica delle immagini, la strategia dell’im- maginazione. Infatti ogni concetto, idea, principio che compren- diamo leggendo una qual si voglia opera evoca nella nostra co- scienza un’immagine o un insieme di immagini. Se ciò non acca- de non ricordiamo niente. Ecco: saper dare una gerarchia alle immagini che via via si vanno formando e succedendo nella men- te è il segreto dell’arte della memoria. Infatti già diventar consa- pevoli dell’ordine con cui le immagini si susseguono nella nostra coscienza non è cosa da poco, implica quanto meno che si sia pie- namente coscienti delle immagini che si pensano. Normalmente neppure questo accade.
Per quanto complesso sia il materiale che dobbiamo “tratta- re” cerchiamo sempre di riportarlo a pochi principi generali.
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siamo collegare tanti ricordi su un ben definito soggetto da me- morizzare: una legge, una poesia o quel che vi pare. Fatto sta che alla serie di immagini su esposta possiamo collegare concet- ti in maniera anche completamente convenzionale, un po’ come accadeva con la prima pratica di Bruno (nella mia variante as- sai poco conforme, tanto all’originale, quanto alle tante inter- pretazioni degne di nota accumulatesi nella storiografia brunia- na), l’importante è che l’immagine precedente “causi”, “provo- chi” la successiva.
In verità vi sono due piani differenti che devono venir tenuti distinti (concettualmente se non operativamente): il livello delle immagini e il piano dei concetti. Fin tanto che il pensiero proce- de per orizzontale tutto fila liscio; lo sforzo e i problemi di me- morizzazione si manifestano allorquando da un livello si intenda passare a un altro. Si può senza dubbio associare a un’immagine un significato metaforico, simbolico (anche di un simbolismo a- stratto al limite della rappresentatività), insomma è normale at- tribuire a una rappresentazione un concetto, così è ed è bene che resti. Il limite della memorizzazione non trova però lì un ostacolo e se le persone studiassero limitandosi a questo forse non avreb- bero così tanti problemi di apprendimento come di fatto dimo- strano di avere. Il fatto è che si vuol sempre andare oltre e, non sapendo come fare, si finisce inesorabilmente per seguire i cattivi esempi.
Il collegamento tra concetti astratti sarebbe meglio che non avvenisse o, quanto meno, avvenisse esclusivamente quando ve- ramente necessario e per determinazioni mentali “occorrenti” e concorrenziali specifiche, mi verrebbe da aggiungere. Il collega- mento deve essere sempre fra le immagini, l’arte della memoria si deve disporre essenzialmente sul piano delle rappresentazioni, i collegamenti devono essere sempre da immagine a immagine e tra l’immagine e il concetto ad essa attribuito; mai, o quasi mai, tra immagine e concetto di un’altra immagine o tra concetti a- stratti. Dato che l’inferenza per “cause naturali” è propria del pensiero immaginativo e superstizioso, deve esserlo anche delle mnemotecniche perché è su quel livello cognitivo che esse si di- spongono. L’importanza dello schema dinamico come riferimen- to cognitivo per il mnemonista viene spesso disatteso dagli storici e, colpevolmente, quasi sempre dagli psicologi. Per questi ultimi sembra che una memoria prodigiosa debba necessariamente ac- compagnarsi a qualche “carenza” nel giudizio o nell’analisi. Le menti dalla memoria prodigiosa secondo gli psicologi sono She-
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magine che precede a determinare in che modo essa debba venir poi collegata a quella che segue. Anche in questo caso, anzi più qui che altrove, vale il precetto che l’associazione deve avvenire “tra pari”, ovvero tra immagini e mai tra un’immagine e il con- cetto di un’altra immagine. Nei manuali di mnemotecniche si tro- vano spesso esposte tecniche sull’associazione di idee e come queste servano per “incatenare” i pensieri. Qui abbiamo però fatto un passo ulteriore (scusate l’immodestia) di non poco con- to: i criteri di associazione di idee e immagini non vanno applica- ti a casaccio, o secondo il gusto o l’abitudine del mnemonista, ma in base a un “meta-criterio”. Quest’ultimo è dettato dalla natura dell’immagine che precede. L’immagine che segue generalmente dovrebbe essere un elemento che “contraddice”, si “contrappo- ne” a ciò che precede se la cosa che vuol significare contraddice la cosa che significa l’immagine che precede. Se la cosa che segue è la naturale conseguenza di quella che precede, allora è meglio metterle in relazione per contiguità e via dicendo. Dei tre, però, il gran lunga più utilizzato è il criterio dell’analogia. Esso è in- dubbiamente il più versatile e quello che più spesso “contamina” gli altri due; di esso è anche un’esemplificazione il principio del «post hoc propter hoc», «il precedente causa il successivo». Non esistono comunque ferree regole generali, dato che ognuno ha u- na sua immaginazione che è differente sempre da quella di tutti gli altri.
Se la mattina apriamo la finestra di camera nostra e vedia- mo sotto, per la strada, passare un autobus, non riteniamo che questa sia la causa del passaggio di tale mezzo, però nelle mne- motecniche dobbiamo ragionare proprio così. Alla fine non dobbiamo ricordarci tutta la storia… ma soltanto di aprire (me- taforicamente ovviamente) la finestra della nostra camera. Il resto verrà da sé, sempre che ci si sia esercitati un po’. Dove sta il vantaggio di fare così? Nel fatto che così operando assecon- diamo una naturale inclinazione della nostra mente, che la con- duce spontaneamente a instaurare un rapporto di causalità fra le proprie rappresentazioni. L’apertura della finestra “causa” il passaggio dell’autobus che crea la fermata dell’autobus; questa “crea” il pendolare che deve prendere l’autobus per andare a lavorare, questo deve poi creare la porta dell’autobus che si de- ve aprire per farlo salire e una volta salito creerà con il suo met- tersi a sedere il sedile dell’autobus e infine, una volta seduto, sarà il suo guardar fuori a produrre il finestrino dal quale può vederci mentre apriamo la finestra. A questa piccola scena pos-
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Il fatto è che, se effettivamente Metrodoro si era costruito un teatro sullo zodiaco, non lo aveva fatto semplicemente collegan- do alle immagini dei segni e dei decani un certo numero di luoghi mnemonici. Così la cosa sarebbe stata artificiale e tali immagini ben poco si sarebbero andate a integrare con le cose da ricordare e con la memoria personale del loro autore. Più che di memoria artificiale, si sarebbe dovuto parlare di memoria artificiosa, e quindi di un sistema mal funzionante, concettoso e per niente versatile. In verità per un mago lo zodiaco non è soltanto un in- sieme di immagini, ma rappresenta l’interpretazione complessi- va di tutta la realtà, l’unica chiave di lettura del mondo celeste, terreno e infero. Quindi costruire un teatro fondandosi sullo zo- diaco è molto di più che una semplice mnemotecnica, significa far appello a tutto il proprio universo di sentimenti e basarsi sul- lo schema cognitivo che si sente o si è fatto proprio. Inoltre tale teatro non è una mera finzione astratta, neutra sotto il profilo e- mozionale, ma il modo stesso con cui si guarda al mondo: al pari di un teatro di figure è un teatro di emozioni e ogni segno, ogni stenogramma, prima di richiamare un significato e un’immagine, evoca una passione.
Il vero teatro della memoria quindi deve essere uno schema dinamico, così come lo era lo zodiaco per Metrodoro; dinamico perché versatile e, in definitiva, adattabile a ogni conoscenza che si vuol ricordare, e preposto ad adattare ogni cosa in esso includi-
bile5.
Nel caso di Metrodoro si procede da un piano semplice (o re- lativamente tale), stabile, fissato e rigido, per procedere a co- struire su di esso (ma a un altro livello) il teatro dei ricordi. Nel suo caso si trattava dello zodiaco perché, essendo lui un mago, questo rappresentava un sistema complesso di riferimenti se- mantici rigido seppur contestualmente vivo nell’immaginazione, solido ma al contempo dalla rievocazione intuitiva immediata.
Le mnemotecniche moderne però consentono di fare qualco- sa di simile, almeno per la semplice procedura mnemonica; dob-
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reshevskij1e Rajan Mahadevan2, personaggi che a fronte di una
memoria eccezionale sono risultati ai loro test sotto la media, da altri punti di vista. Non si comprende però perché a fianco di per- sonaggi “scarsi” sotto alcuni profili non tengano ugualmente in considerazione altri mnemonisti che di “manchevolezze” non ne hanno palesate e ce ne sono tanti che si sono anche lasciati stu- diare da importanti équipes di psicologi. Senza contare che la storia ci fornisce esempi di personaggi dalle note capacità mne- moniche eppure “brillanti” anche in altri settori. Certo è pur ve- ro che non si possono più fare test psicoattitudinali a Cicerone o a Bruno ma, in verità, chi può dubitare che questi “soggetti” non abbiano veramente avuto una memoria eccezionale? Forse non nel modo, né nella vastità, che danno a credere i libri ma, sicura- mente, “superiore alla norma”. Gli storici da questo punto di vi- sta sono meno superficiali dei cugini psicologi avvicinandosi maggiormente al vero punto della questione. Un esempio signifi- cativo ce lo fornisce la Yates che giustamente si interroga sulle “presunte” capacità mnemoniche di Metrodoro di Scepsi il quale secondo l’affermazione di Quintiliano, «trovò 360 luoghi nei 12
segni per cui procede il sole». Seguendo l’esempio di L.A. Post3,
la Yates è portata a ritenere che Metrodoro si fosse costruito un teatro della memoria basato sullo zodiaco, quindi diviso in 12 se- gni, e avesse a loro volta suddivisi tutti i segni in 3 “decani”, cor- rispondenti a 10 gradi. Sotto l’immagine di ogni decano egli, pre- sumibilmente, inseriva 10 loci, così da arrivava a ottenere 360 luoghi. Ecco le sue conclusioni: «Evidentemente Metrodoro, co- me Simonide, fece fare un passo avanti a quest’arte. Ebbe a che fare con la “memoria per le parole”, probabilmente attraverso un processo di fissazione mnemonica di notae o simboli o steno- grammi, collegato con lo zodiaco. Questo è in realtà tutto ciò che sappiamo. Non è detto che la mnemotecnica di Metrodoro do-
vesse essere senz’altro irrazionale...»4. E infatti l’arte di Metro-
doro non era irrazionale; era certo magica, come è facile dedur- re, ma non irrazionale.
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I l c e r c h i o d e l l e i l l u s i o n i
1 A.R. Lurija, Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla, Roma
Armando, 2004.
2 R. De Beni, G. Piccione, Abilità eccezionali di memoria e calcolo, in «Giornale
Italiano di psicologia» 1995; C. Cornoldi, R. De Beni, Vizi e virtù della memoria, Firenze, Giunti, 2005, pp. 186-188.
3L.A. Post, Ancient memory system, in «Classical Weekly», XV, New York 1932,
p. 109.
4F.A. Yates, L’arte della memoria cit., p. 40.
5 F.A. Yates, sebbene non avesse mai usato questi termini, ben sapeva che lo zo-
diaco poteva diventare una mappa di riferimento onnicomprensiva per un mne- monista, come si può verificare leggendo il suo capitolo sul segreto delle ombre (pp. 197, 198, 199 de L’arte della memoria); ciò che lei forse non ha adeguatamen- te compreso, non essendo una praticante delle mnemotecniche, era il valore che uno schema dinamico ha per il mnemonista, come dire che se non le sfuggiva tut- to, sicuramente non si rendeva conto del più.
bia legato non soltanto i luoghi a ben precisi elementi dello zo- diaco ma abbia rafforzato la struttura del teatro con un’ulteriore logica di ordinamento e reperibilità (probabilmente anch’essa a carattere magico e non semplicemente fonetico) delle cose nei luoghi. Insomma le regole di strutturazione dei luoghi rispec- chiano anche una ben precisa logica di archiviazione e reperibi- lità delle informazioni. La forza di un teatro è quindi in buona parte nelle regole di strutturazione dello stesso: più regole si dan- no, più semplici e coerenti l’un l’altre sono, maggior potenza a- vrà la memoria, perché le regole di strutturazione del teatro sono la logica della memoria.
Per noi che abbiamo un altro approccio cognitivo alla realtà e una differente visione del mondo (l’astrologia ci serve, in defini- tiva, soltanto per sapere quale oroscopo del giorno andare a leg- gere la mattina sul giornale), lo zodiaco come teatro della memo- ria non può significare né, tanto meno, funzionare così com’era significativo e funzionante per Metrodoro. Dobbiamo trovarci altri schemi e altri teatri. Le tecniche fonetiche in questo rappre- sentano una soluzione; la differenza e la difficoltà (per noi) è che, a differenza dei maghi antichi e rinascimentali, non abbiamo una visione complessiva del mondo tale per cui il macrocosmo si ri- fletta nel microcosmo: siamo tutti soltanto microcosmi traslucidi che non riflettono un bel niente, comunicanti soltanto per rim- balzi e attriti volventi.
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biamo però introdurre il tema delle mnemotecniche su base fo- netica.
L’idea non è nuova e, forse, qualcosa di simile lo avevano già pensato nell’antichità, come sembrerebbe far supporre il sistema di Metrodoro. Fatto sta che una prima idea di fondare sulla fone- tica le mnemotecniche è, ad oggi, difficile da attribuirsi; se ne tro- vano intuizioni in Leibniz e prima, con modalità ancor più artico- late, in Pierre Hérigon. A dare il maggior contributo sono stati però autori come Paris, Feinaigle, Silvin, Aurelj. Il principio ge- nerale dei loro sistemi è semplice: si devono innanzi tutto colle- gare in maniera arbitraria delle consonanti (ad esser più precisi dei suoni delle consonanti) ai numeri naturali, per cui al numero 1 collegheremo la “T” o la “D”, al 2 la “N” o la “GN”, al 3 la “M” e via dicendo fino allo 0 con la “Z”. Dopo di che dovremo pensa- re una sequenza di parole che contengano i suddetti suoni conso- nantici secondo determinate regole (le doppie valgono per una consonante, le vocali non contano ecc.) per cui alla fine pensere- mo a una bustina di “the” per il numero 1, alla barba di “Noè” per il 2, a un “amo” da pesca per il 3 e così di seguito. Per ricor- darmi una serie di nozioni allora non dovrò far altro che collega- re le immagini delle nozioni che intendo memorizzare, attraver- so una o più imagines agentes, alle immagini delle cose memoriz- zate con il suddetto codice fonetico.
Non possiamo qui esporre dettagliatamente queste tecniche, si intende soltanto porre attenzione al fatto che tali “immagini fo- netiche” potrebbero fungere anche da identificativo del luogo nei teatri classici. Il legame che si instaura tra le lettere (e quindi le parole che le contengono) e la successione dei numeri naturali potrebbero ulteriormente rafforzarsi e a sua volta rafforzare la memoria dei luoghi nel teatro. In un certo senso le immagini co- struite su base fonetica rappresentano come dei segni stenografi- ci, delle note al luogo. So per certo che il luogo in cui ho posto una “tazza” da caffè è il decimo luogo del mio teatro (T = 1, ZZ = 0). Già Quintiliano consigliava di contrassegnare un luogo ogni cin- que con un’ancora, qui si tratta in definitiva di contrassegnare o- gni luogo con un oggetto suo specifico, “specifico” nel senso che rispecchi le regole della tecnica fonetica e segua l’ordine progres- sivo dei numeri naturali. Il passo ulteriore è quello di far entrare tali oggetti nelle imagines agentes delle cose da ricordare. Non lo sappiamo e non lo potremo mai sapere, ma è comunque ipotizza- bile che Metrodoro abbia utilizzato un criterio simile, almeno lo- gicamente simile, nella strutturazione del suo teatro, ovvero ab-
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sono un’infinità eppure, sono convinto, a nessuno di noi, ades- so, ne viene in mente neppure uno. Di cosa stiamo parlando? Riflettendo sui nostri ricordi, ci sembra di collegare immagini a immagini e concetti a concetti, di rispettare sempre questa re- gola apparentemente così semplice. Il trucco c’è ed è così evi- dente che quasi non lo si vede. Ovvio che, se riflettiamo sui no-