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La dissociazione prospettica, a differenza del semplice cam- bio di “posizione”, consente di mantenere il punto di vista ma di mutare la prospettiva sull’oggetto. Si fa muovere l’oggetto al po- sto nostro anche se, va aggiunto, in realtà si tratta di un “effetto ottico” paragonabile al girare del sole intorno alla terra. Non si tratta semplicemente di considerare il lato oscuro della luna guardando dalla terra il lato illuminato (infatti se ruoto l’immagi- ne della luna mi si illumina il lato oscuro e quello illuminato mi si adombra e quindi sono al punto di prima); si deve invece consi- derare il lato oscuro come oscuro ma come se fosse possibile ve- derlo “con la mente” dal punto di vista da cui si vede quello illu- minato. La dissociazione prospettica è un concetto difficile da spiegare, comprendere e applicare. Una volta imparato però non presenta nessun elemento di difficoltà. La dissociazione ipnotica è qualcosa di molto simile: mi trovo qui, sono cosciente del mio punto di vista sull’oggetto ma è come se mi trovassi anche là e riuscissi a vedere la cosa da quel punto di vista. Le due prospetti- ve coesistono in me, riesco a parametrizzarle tra loro pur senza ridurre l’una all’altra. Procederò quindi per semplificazioni. Pen- siamo a un mappamondo e poi pensiamo al planisfero: la disso- ciazione prospettica sta al punto di vista come il planisfero al mappamondo, questo almeno in prima istanza; adesso farò se- guire un altro esempio un po’ più complesso e in cui il valore del- la metafora del “mappamondo” cambia.

Poniamo una stanza, con una finestra, una porta, una scriva- nia, alcune sedie, una libreria vicino al muro ecc.; al centro della stanza, sopra un tavolino immaginiamo un mappamondo. Ponia- mo il nostro punto di vista in un angolo della stanza mentre os- serviamo il mappamondo al centro della stessa. Questa stanza è un teatro della memoria. Procedendo dalla porta verso il muro alla destra di essa per continuare poi sugli altri muri e infine sugli oggetti nel mezzo della stanza, scrivania, sedie, tavolino e map- pamondo: tutti luoghi in successione fisica, logica e cronologica. Poniamo che il mappamondo sia l’ultimo di questi luoghi, la fine del mio percorso mnemonico. Caratteristica del mappamondo è che, come la terra, può ruotare sul proprio asse. Consideriamo a- desso il mappamondo come un teatro e i continenti in esso rap- presentati come altrettanti luoghi. Dal mio punto di vista osservo il mappamondo e vedo che è voltato dalla parte dell’Europa; ciò significa che alla sinistra dell’Europa si trova l’America che si trova davanti alla libreria (se il mio punto di osservazione fosse appunto al posto della libreria); ora se collego un concetto alla

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Chiameremo questo evento “dissociazione prospettica”: è un effetto “secondario” dell’astrazione dalla memoria per le cose, l’astrazione che partendo dalla rappresentazione sensibile tende alla memoria per le parole. Si tratta di una disposizione psicologica molto vicina alla dissociazione ipnotica, ma con ca- ratteristiche che la avvicinano più al sogno lucido che non alla trance vera e propria. Questo fenomeno inizia a manifestarsi quando la mente riesce a gestire abbastanza bene la grandezza della cosa indipendentemente dalla distanza che si ha da essa o, meglio, la variazione della grandezza dell’oggetto che si vuol ri- cordare non direttamente proporzionale alla distanza che si ha da esso. Osservando un oggetto, se cambio punto di vista signi- fica che vedo quell’oggetto da un altro posto, ma facendo ciò cambio i rapporti anche con tutti gli altri oggetti che entrano nella mia sfera percettiva. Cambiando punto di vista, in altri termini, cambio tutto, non soltanto vedo l’oggetto in esame da un altro posto, e quindi da un altro “luogo” ma, in egual misura e in relazione reciproca, cambio prospettiva su tutto il resto. Variando punto di vista sull’oggetto, l’oggetto pur restando nello stesso posto è come se per me fosse in un altro luogo. Il luogo infatti può esser definito come il punto di convergenza fra le coordinate. Le ascisse dell’osservatore devono intersecar- si con le ordinate del teatro: la definizione dei parametri di en- trambe, relazionati tra loro, mi danno il luogo.

Cambiando punto di vista, muto tutte le mie coordinate sul- l’oggetto; l’oggetto non è quindi più nel solito posto ma in un altro luogo, pur restando, sub specie aeternitatis, fermo. Nel tea- tro della memoria se cambio punto di vista, cambio anch’io in quanto osservatore. Se mi trovo in una stanza a pianta rettan- golare in cui sui lati lunghi c’è da una parte la porta e dall’altra la finestra mentre, su quelli corti, da una parte c’è un quadro appeso alla parete e dall’altra si trova una sedia, guardando la stanza da un angolo, ho una prospettiva e un punto di vista spe- cifici, entrambi cambiano se cambio angolo. Cambiando posi- zione mi si “arrovescia” tutto il panorama, cambiando punto di vista non solo mi muta il punto di vista sulla sedia, ad esempio, ma, parallelamente, anche sulla finestra, sulla porta e sul qua- dro. A quel punto posso chiedermi dove mi trovo, come mi ve- drei se fossi nell’angolo opposto. Ecco: è in queste due doman- de e nelle immagini che possiamo utilizzare per rispondervi che si può iniziare ad avere un’idea di cosa intendo per dissociazio- ne prospettica.

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fosse in chiaro, come se la poteste vedere dal lato opposto in cui siete. Rendete trasparenti per un attimo i vostri oggetti mnemo- nici e cambiate mentalmente prospettiva pur mantenendovi co- scientemente nella vostra. Create e valutate rapporti di distan- za, forma e dimensione tra un oggetto e sé stesso, sdoppiatelo: prima consideratelo dal vostro attuale punto di vista, questo è il punto fermo del vostro teatro, poi consideratelo da un’altra pro- spettiva o, meglio, come se voi foste in un altro punto della stan- za e da quel punto consideraste l’oggetto. Confrontate quindi le due prospettive, mantenendo però la prima come fondamenta- le, quale punto fermo.

A cosa serve tutto questo? Presto detto: ammettiamo di avere un teatro con 30 luoghi. Si tratta di un teatro abbastanza piccolo, tuttavia più che sufficiente per le esigenze di ognuno di noi (a meno che non vogliamo diventare dei campioni di mnemotecni- che e imparare gli elenchi telefonici a memoria, ripetere migliaia di parole ascoltate una volta sola e cose del genere); se ho 30 luo- ghi, per ragioni di economia e di chiarezza, conviene porre in essi 30 cose. Ipotizziamo però che dobbiamo memorizzare il pro- gramma di un esame universitario; probabilmente si dovranno ricordare ben più di 30 cose. Come fare allora? Dobbiamo sem- plicemente individuare il criterio adatto (che varia a seconda dei “contenuti”) nella categorizzazione e nella classificazione anali- tica del materiale da memorizzare. Il mio consiglio, ed è qui il punto fondamentale, è certo di suddividere il programma per macro-argomenti non soltanto in base ai concetti da imparare ma in funzione delle immagini con le quali li pensiamo. Questo è già più difficile. Nel momento che ce li abbiamo lì davanti sul li- bro o sul quaderno degli appunti è facile suddividere le questioni in base ai concetti, d’altra parte facciamo sempre così. Ciò che non facciamo mai, e invece è qui l’occasione buona per comincia- re, è riferire ogni cosa a un’immagine o a un insieme di immagini congruenti. È poi in funzione delle immagini evocate, e soltanto in loro funzione e non dei concetti che esse ci rappresentano, che va istituita una gerarchia delle cose da inserire nel teatro. Dob- biamo ridistribuire tutto il “materiale” in base a macroelementi ma questi non si “aggregano”, non si costituiscono su basi logi- che, concettuali e astratte (come sempre purtroppo accade quan- do studiamo) ma in relazioni immaginifiche. È ovvio che quando impariamo cerchiamo di memorizzare concetti, i libri infatti non ci trasmettono figure ma soltanto concetti (ogni tanto conditi con spiegazioni metaforiche vagamente evocanti fantasie); è più faci-

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mia immagine di Europa, posso collegare anche un concetto al- l’immagine dell’America (che dal mio punto di vista attuale non vedo, ma che vedrei se fossi al posto della libreria), concetto che muta in relazione al punto di vista che ho su di esso. Ad esem- pio, se mi trovo davanti all’Europa, posso dare all’America il si- gnificato della relatività ristretta, mentre se lascio fermo il “luo- go-teatro” (ovvero il mappamondo) e sposto il mio punto di vi- sta, ponendomi ipoteticamente al posto della libreria, posso considerare l’America come la teoria della relatività generale, o viceversa. A quel punto il luoghi si moltiplicano semplicemente ponendo ipotetici punti di vista differenti da quello in cui mi tro- vo, ma avendo ben presenti i rapporti in cui tali ipotetici nuovi punti di vista si rapportano con quello in cui adesso mi trovo, che resta quello cardine. Quest’ultima puntualizzazione è fon- damentale in quanto in ogni mnemotecnica, in ogni teatro della memoria e, in fine dei conti, in ogni nostra riflessione si deve pur tenere un punto fermo; senza questo si perdono tutti i rapporti e, anche se non si arriva a questo ultimo disastro, viene quanto meno a mancare la certezza dei rapporti, la sicurezza dei quali è garanzia del corretto, veloce e conseguente o, meglio, conse- quenziale pensare.

La fermezza del pensiero si regge fondamentalmente su tre e- lementi: immaginazione precisa (ovvero sapersi rappresentare immagini ben definite, il più definite possibile nei particolari), fermezza nei rapporti tra cose e cose, tra cose e idee e tra idee e i- dee; infine avere dei punti fermi (nel nostro caso i luoghi del tea- tro) che, sia ben chiaro, non è possibile ottenere se mancano le due precedenti condizioni.

In definitiva si tratta di considerare il luogo e le cose che vi pongo dentro da un altro punto di vista rispetto a quello in cui mi trovo, pur mantenendolo concettualmente inalterato il luogo della cosa e, anzi, intessendo rapporti spaziali tra il mio punto di vista e tutti gli altri possibili punti di vista sulla cosa, ma sempre intorno al luogo. Che confusione, vero? In realtà, e per l’aspetto che voglio adesso evidenziare, la questione è più semplice di quel che riesco a far credere. Mettete un oggetto che ha più fac- ce, un cubo, una scatola ecc., facilmente distinguibili le une dalle altre, al centro di una stanza in casa vostra. Ponetevi in un luogo e osservatelo, iniziate a pensare come vedreste quell’oggetto se voi foste nell’angolo opposto. Fatto questo però cercate di stare ben fissi sull’oggetto osservandolo dal punto in cui vi trovate e al tempo stesso consideratene la parte che vi resta oscura come se

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dendo così però possiamo al massimo suddividere il nostro esa- me universitario su due soli livelli: il nostro teatro composto di 30 luoghi non ci permette di calarci dal generale verso il particolare per più di due livelli. Ecco che a questo punto la dissociazione prospettica può tornarci utile proprio perché avviene a livello dell’immagine e non del concetto. Poniamo di dover studiare i maggiori filosofi moderni, da Cartesio a Hume, e di esser giunti allo studio di Spinoza. Nel luogo del macroelemento possiamo mettere la biografia del filosofo (questo infatti ci consente di comprendere tanto i dati anagrafici, quanto una sua collocazione storica e di poter collegare a questi dati la sua filosofia, la sua morale e così via), nel luogo seguente la sua metafisica, in quello dopo la sua morale e nel seguente la sua teoria politica. Quindi se tutta la metafisica di Spinoza è concentrata soltanto in un luogo e su una cosa... sono spacciato!?! No, se imparo a usare la dissocia- zione prospettica posso considerare l’oggetto “metafisica” maga- ri rappresentato da un libro o da una cassetta di legno contenen- te delle bottiglie di vino, non soltanto per i suoi 6 lati (e quindi posso già suddividere la sua teoria metafisica in 6 parti) e scende- re così di un altro livello ancora nel dettaglio, ma posso conside- rare ognuno di questi sei lati del libro (o della cassetta o di qual- siasi altra cosa) da due o anche da tre punti di vista diversi. Così scendo di un altro livello analitico ancora. L’unità logico-concet- tuale con il livello superiore è garantita dal fatto che delle tre prospettive quella fondamentale è la prima, quella del livello su- periore appunto.

Quello or ora riportato è soltanto un esempio, niente più, o- gnuno è bene adatti il sistema a ciò che intende memorizzare, in- fatti la differenza tra la filosofia e, per fare un altro esempio, la biologia è soltanto apparente, schemi simili possono venir utiliz- zati anche nelle materie cosiddette scientifiche; anzi, a ben consi- derare, la biologia e la fisica forniscono tutta una serie di imma- gini già pronte e una struttura delle conoscenze ben organizzata per cui, alla fine, sono più facili da ricordare di quanto non si cre- da o, almeno, di quanto non credano i “letterati” refrattari alla riflessione rigorosa.

Comunque sia, come è facile intuire, con questo sistema ab- biamo popolato il nostro teatro, all’inizio piuttosto piccolo, di tanti concetti, non soltanto non affaticando troppo la memoria ma risparmiando anche l’immaginazione, ovviamente dopo una prima fase di apprendistato e di “attivazione”. Si devono impara- re quindi a utilizzare queste due facoltà in maniera un po’ diffe-

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le memorizzare ciò che ci viene raccontato perché ciò esime da forzare l’immaginazione. E invece dovremmo imparare a ristrut- turare i contenuti in base alle immagini che creiamo per essi.

Il rovesciamento è cognitivo e non soltanto didattico: normal- mente impariamo concetti e ce li rappresentiamo attraverso im- magini. Adesso dobbiamo fare il contrario: memorizziamo im- magini, e soltanto immagini. Fino ad ora non ho quasi mai spie- gato come collegare le immagini ai concetti e il motivo è lapalis- siano: se costruisco un’immagine per rappresentarmi un concetto il criterio che lega l’una all’altro è immediato, definitivo. Può es- sere stabilito in vari modi ma è comunque una cosa fatta lì per lì. Non c’è bisogno di entrare nei particolari di una cosa che ognuno è bene faccia per proprio conto (comunque nei capitoli che se- guono, soprattutto in quello sulle imagines agentes e in Non, rien

de rien, qualche indicazione verrà fornita). Ora se procediamo

così, e per primo so che all’inizio è faticoso intraprendere questa strada, ricostruiremo tutto ciò che dobbiamo sapere per immagi- ni e daremo alle nostre conoscenze una struttura gerarchica ba- sata unicamente su relazioni tra le immagini e non tra i concetti e le immagini.

Se il nostro programma è composto di 6 macro-argomenti, mi immaginerò 6 immagini complesse (tanto sotto l’aspetto geome- trico, quanto emotivo e sensoriale, meglio infatti figure che oltre ad essere complesse per la forma e l’aspetto, hanno un odore, un sapore e sono rumorose) costituite da “parti” rappresentanti gli argomenti costitutivi (tesi, antitesi, obiezioni, analisi, eccezioni a queste ultime ecc.). Nel riempire il nostro teatro quindi dovrem- mo fare attenzione a porre nel luogo 1 la prima macroimmagine a cui faranno seguito nei luoghi successivi le “figure” degli argo- menti che lo costituiscono e definiscono; sempre per proseguire l’esempio diciamo che nel far ciò si riempiano anche i luoghi 2, 3, 4, mentre nel luogo numero 5 poniamo il secondo macroelemen- to (la cosa, quindi l’immagine) della nostra collezione e così nei luoghi seguenti gli elementi raffigurativi evocanti gli argomenti che lo costituiscono.

Come già consigliavano gli autori classici, conviene contras- segnare ogni luogo che contiene un macroelemento con qualcosa di particolare (qualsiasi oggetto che per convenzione possa ri- chiamarci alla mente che quello è un argomento primario): ciò consente anche di definire per deduzione che gli argomenti deri- vati dalle cose poste nei luoghi che seguono, sono argomenti di secondo livello inclusi nella classe di quello che li precede. Proce-

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se ci si ponesse in quel punto di vista ma restando comunque nel nostro. Ogni cosa del nostro teatro deve esser così tridimensio- nale, venir percepita nella sua “voluminosità”, come un mappa- mondo appunto ma, nello stesso tempo, riportata a una rappre- sentazione bidimensionale, come un planisfero; l’arte sta nel sa- per tessere e incastrare, come fossero ologrammi, queste due dif- ferenti concezioni della cosa.

C’è, per fare un esempio, il punto dal quale io osservo l’ogget- to “sedia” nel lato opposto della stanza, metto sul lato alla mia si- nistra uno specchio (il luogo vuoto), sullo specchio vedo riflessa la sedia: ho così dallo stesso punto di vista due prospettive sulla sedia. Questo esempio però potrebbe risultare forviante e erro- neo perché, se preso alla lettera, pone non una nuova prospettiva sulla sedia ma un nuovo luogo (lo specchio) dentro al quale c’è un nuovo oggetto (l’immagine riflessa della sedia); in verità dob- biamo abituarci a considerare le cose immaginate come immagi- nabili anche in maniera differente da come ce le pone la prospet- tiva dalla quale le consideriamo. Come se la cosa ruotasse su sé stessa, sebbene anche questo sia un esempio in parte forviante dato che frame per frame, volta per volta ci apparirebbe sempre una sola immagine.

Lo sforzo mnemonico deve esser superiore e consiste nel con- fronto contemporaneo delle vari immagini (prodotte da vari punti di vista sulla cosa), delle prospettive che le sono proprie. Una presenza rappresentativa dei vari aspetti e prospettive di o- gni singola cosa che, deve venir pensata come unica ma sotto di- versi punti di vista, e da essi confrontata. Il paragone tra più rap- presentazioni della stessa cosa però presuppone sempre il con- fronto da un solo punto di vista, che è quello in cui siamo. Dob- biamo esercitarsi a mutare le rappresentazioni e i punti di vista dal quale ce le rappresentiamo.

Luoghi e cose quindi sono dimensionabili nella nostra imma- ginazione e si possono adeguare gli uni alle altre tanto che è di fatto possibile considerare una cosa in un luogo come se fosse, ad esempio, 3 cose in 3 luoghi differenti; tanto da ottenere con una sola cosa e un solo luogo di partenza 9 idee da rievocare. Le cose infatti sono sempre legate a concetti, siano essi quelli che ce li rappresentano “direttamente” (la rappresentazione della mela legata al concetto di mela), sia quelli che ce li rappresentano me- taforicamente (la rappresentazione della mela legata al concetto del peccato) sia, infine, semplicemente quei concetti di cui le co- se sono medi strumentali: una mela come rappresentante mate-

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rente dal consueto. Per contro si possono affinare e di molto le nostre capacità analitiche e l’abilità a categorizzare le cose, que- sto però è un’altra questione che tratteremo oltre. Sull’argomen- to presente è interessante ciò che osserva Bergson nell’Effort in-

tellectuel sul prete citato da W. James.

La dissociazione prospettica consente di dimensionare l’og- getto e di ruotarne la prospettiva (pur non ruotando l’oggetto) in maniera tale da renderne visibili e quindi appercettibili tutti i la- ti, consente altresì di dare un ordine ai diversi punti di vista in quanto si tiene come fondamentale il primo di essi e gli altri si considerano appunto per dissociazione prospettica, procedendo magari (per convenzione) in senso orario.

La dissociazione, per altro verso, consente di mutare prospet- tiva sull’oggetto mantenendo il punto di vista originario. È più difficile da spiegare che da capire: si deve in fin dei conti conte- stualizzare il proprio punto di vista ponendo un altro ipotetico punto di vista, che diventa in realtà un altro luogo (vuoto però, che deve “servire” da ponte e non come luogo nel quale porci)