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Sarebbe più appropriato parlare al plurale di alterazioni dell’atten- zione perché in alcune situazioni cliniche l’ipnosi può avere maggiore efficacia stimolando l’attenzione diffusa ed esterna. Ma il discorso ci porterebbe troppo lontano, e inoltre la maggioranza dei pazienti in- tervistati, quando parla del proprio processo di attenzione in ipnosi, descrive esplicitamente la propria attenzione come rivolta all’interno e concentrata piuttosto che vagante4.

Ecco, in quest’ultima fase, mnemotecniche e ipnosi hanno un im- portante punto di convergenza. Una volta percepito e visualizza- to con forza la cosa anche nelle mnemotecniche – così come in i- pnosi – l’attenzione deve rivolgersi all’interno ed essere concen- trata piuttosto che vagante. Per mantenere il parallelismo, seb- bene con un’evidente forzatura, potremmo paragonare la fase di visualizzazione e fissazione della rappresentazione percepita nel- l’immaginazione come a una tecnica di “induzione della memo- ria” parallela appunto all’induzione ipnotica. Riprendendo però le parole di Zeig il discorso ci porterebbe troppo lontano... in una direzione che adesso non possiamo intraprendere.

Esistono molti altri aspetti in cui ipnosi e mnemotecniche si rincorrono, uno qui mi preme rilevare: l’alterazione delle perce- zioni. Già soltanto con gli esempi fatti fino ad ora, risulta eviden- te la centralità di saper dar risalto ad alcuni elementi percettivi dell’esperienza affinché se ne possano memorizzare le immagini. Una stessa cosa infatti può venir percepita in maniera totalmente differente da soggetti diversi. Ma, e questo è l’importante per noi, può venir percepita in maniera differente dalla stessa perso- na in momenti differenti e in diverse situazioni. Dobbiamo alle- narci a percepire meglio e lo possiamo fare anche attraverso la focalizzazione dell’attenzione.

Ci sono due direzioni in cui l’intensità delle percezioni può essere al- terata – si può aumentare o si può diminuire. Pazienti con esperienza d’ipnosi spesso riferiscono percezioni più vivide [...] o altre esperien- ze sensoriali forti, tra cui cambiamenti nella percezione tattile, visiva, uditiva, nei sensi chimici del gusto e dell’olfatto [...] così pure i suoni, la percezione del tempo che passa...5

Non credo vi sia molto da aggiungere, avere di una cosa un’im- magine vivida è fondamentale per poterla memorizzare nel lun-

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5 . A s s o c i a z i o n e e d i s s o c i a z i o n e che pazienti ipnotizzati raccontino: “Ero qui in ufficio, ma in realtà e-

ro altrove, assorto nelle mie fantasie”. L’automaticità di un’esperien- za può essere mentale oltre che fisica: immagini o ricordi possono presentarsi esattamente come può succedere ai movimenti, come nel caso della levitazione di un braccio2.

Come è facile notare da queste brevi citazioni le considerazioni che potremmo fare in merito alle mnemotecniche sono tantissi- me, dobbiamo necessariamente limitarci allo scopo del presente testo, e quindi osservo soltanto due aspetti che ci torneranno uti- li nel prosieguo.

La dissociazione ipnotica di matrice medica ha il fine di allen- tare alcune difese della coscienza che, nel nostro caso, potrebbe- ro essere anche delle cattive abitudini nell’apprendere e, per e- stensione, nel pensare in generale. Fatto questo essa poi permet- te l’emergere di processi, azioni inconsce e automatiche. Nelle mnemotecniche questa fase potrebbe corrispondere alla rievoca- zione. Ciò che quindi i mnemonisti potrebbero fare è utilizzare la dissociazione nei loro esercizi al fine di favorire la rievocazione automatica dei ricordi. Teniamo a mente questo aspetto della dissociazione perché tornerà utile in futuro, quando parleremo dei teatri della memoria e delle cose da porvi dentro, in quei casi infatti accade spesso che si debba pensare una cosa come parte di “ciò di cui fa parte” nella nostra esperienza percettiva ma pure, all’opposto, come parte di un nostro teatro della memoria. È l’automaticità dell’esperienza mentale ciò a cui mirano alcune tecniche come quella di Houdin e di O’Brien. La dissociazione i- noltre è strettamente legata alla direzione dell’attenzione.

Nell’arte della memoria si assiste a fenomeni da una parte assi- milabili ad alcuni stati ipnotici ma dall’altra ad essi contrapposti. «Nell’ipnosi l’attenzione del soggetto si altera solitamente in due

modi: si rivolge verso l’interno e diventa focalizzata»3. Nelle mne-

motecniche invece l’attenzione deve prima rivolgersi all’esterno, lì focalizzarsi sull’oggetto da memorizzare; nel far ciò deve, di que- st’ultimo, definire – nel modo più netto, preciso possibile – l’imma- gine (sia essa di natura visiva, uditiva o cinestesica), poi deve “vol- tarsi”all’interno e visualizzare l’immagine nel suo sistema di riferi- mento mnemonico che, nel prosieguo del libro, chiameremo teatro.

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I l c e r c h i o d e l l e i l l u s i o n i

2J. Zeig, Induzione ipnotica, p. 39 (fa parte di AA.VV., Ipnosi e terapie ipnotiche,

Milano, Ponte alle Grazie, 2006.

3Ivi, p. 38.

4Ibidem.

tunistici compromessi, di soluzioni pronte, di risultati facili. La pubblicità rappresenta certo l’esempio più chiaramente identifi- cabile, ma proprio a ragione del suo obiettivo – che è manifesto e ben circoscrivibile – non risulta essere il pericolo maggiore; molti dei prodotti che essa “evidenzia” sono addirittura peggio- ri del messaggio mediatico che ce li fa conoscere proprio perché inducono forme semiocculte di dissociazione. Prodotti di consu- mo, auto (e tutta la simbologia che si portano appresso), prodot- ti di bellezza, alimenti, videogiochi, trasmissioni populiste in cui è facile immedesimarsi nei protagonisti (non a caso gente come noi, scelti “a caso”, tra il popolino), campagne elettorali in cui a dispetto del continuo richiamo a “concentrarsi” sui problemi “effettivi” si perde ogni reale punto di riferimento alla verità concreta delle preoccupazioni del quotidiano. Potrei continuare a lungo ma, in sintesi, la tecnica gira sempre intorno a pochi

punti noti da tempo. Fissazione sull’immagine

sfocatura del

contesto

dissociazione del pensiero

ristrutturazione indot-

ta del pensiero ad altro livello

persuasione! L’arte della me-

moria deve poter andare nel senso opposto: fissazione dell’im-

magine

rafforzamento del pensiero tramite la migliore defini-

zione possibile del percepito

maggiore “comprensione” del

contesto

associazione delle immagini

associazione dei le-

gami che legano le immagini

ristrutturazione del ricordo a li-

vello simbolico.

La coscienza è un cerchio di illusioni, è la bacheca dell’anima su cui vengono affissi tanti fogli di carta con immagini e parole che, a loro volta, sono rappresentazioni. Tale spazio mentale può esser caotico, può venir frazionato accatastando tanti fogli in un angolo e lasciando vuoto il resto del pannello espositivo, oppure può venir organizzato in una qualunque altra maniera. Si posso- no disporre i messaggi in ordine cronologico, in relazione al loro “contenuto”, alla dimensione dei fogli o affidarsi ad altri criteri, ogni persona – del resto – ne ha di propri. Infine si può fare una cosa differente, molto differente: si può organizzare “il cerchio” della bacheca indipendentemente dai messaggi, dai fogli di carta che poi ci porremo sopra. Il cerchio della coscienza deve avere un ordine, una coerenza sua propria e indipendente dalle rappre- sentazioni che lo popoleranno. È fondamentale fare questa di- stinzione. Fin quando le metodologie didattiche non compiranno questa rivoluzione copernicana saremo sempre “punto e a ca- po”; se i criteri organizzativi delle coscienze dipendono dai con- tenuti rappresentativi che esse si trovano a dover “soffrire”, subi-

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5 . A s s o c i a z i o n e e d i s s o c i a z i o n e

go periodo. Ora, l’ipnosi, a differenza delle mnemotecniche, può però andare anche nel senso inverso, ovvero attenuare, fin anche annullare, le percezioni e i ricordi: «D’altra parte i pazienti ipno- tizzati riferiscono a volte una rimarchevole assenza di esperienza

in ogni sfera sensoriale»6. In ambito medico questo è certamente

un bene dato che «l’ipnosi clinica utilizza soltanto per scopi tera- peutici alcuni espedienti legati alla confusione-shock e al rilassa-

mento»7 ma tali modalità di influenza sulla coscienza avvengono

ancor più e senza nessun controllo e, quasi sempre, senza nessu- na consapevolezza da parte di chi li subisce, in ambiti del sociale ben più ampi. Se l’arte della memoria fosse parte del programma di studi nelle scuole così come lo era nell’antichità, avremmo cer- to un’arma in più per difendere la libertà di pensiero di ognuno. L’ipnosi, nella sua più generica accezione, si trova quindi in una “terra di mezzo” e, a seconda da quale parte gli si tiri la giacca, può essere strumento di cura (in psicologia e medicina), mezzo di emancipazione (se applicata all’apprendimento) ma, per contro, strumento di coercizione (riti collettivi, pubblicità, raggiro, per- suasione occulta ecc.) e, altrimenti detto, di rintontimento, di a- lienazione diffusa delle coscienze.

La perdita della memoria fa il coro con la dissociazione delle coscienze. La nostra realtà è piena di oggetti su cui siamo indotti a concentrare l’attenzione, non per metterli bene a fuoco, né tan- to meno per valutarli quali componenti dell’ambiente, per indivi- duarne le cause, comprenderne le relazioni e isolarne le finalità, ma per concentrare il nulla del nostro pensiero su di essi, affin- ché sfumi il contesto e si perda ogni punto di riferimento. Là do- ve l’ipnoterapia è un bene e un reale percorso di apprendimento, l’ipnotizzazione nascosta di tanti impulsi comunicativi e sociali che ci giungono rappresenta un serio pericolo. Gli psicologi, non senza ragioni, sostengono che non è corretto parlare di “induzio- ne” nel caso dell’ipnoterapia preferendo il termine “stimolazio-

ne”8; relativamente alla comunicazione nell’età della globalizza-

zione invece difficilmente potremmo trovare parola più appro- priata di “induzione”. Anzi aggiungo anche un aggettivo: “dissi- mulata”, e lì sta il pericolo maggiore.

Il nostro universo comunicativo è disseminato di trappole i- pnotiche, di coercizioni mascherate da inviti allettanti, di oppor-

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I l c e r c h i o d e l l e i l l u s i o n i

6Ibidem.

7E. Del Castello, C. Casilli, L’induzione ipnotica cit., p. 93. 8J. Zeig, Induzione ipnotica cit., p. 35.

sempre di elementi che distraggono da sé, là dove l’ipnosi parte dalla destrutturazione dell’io per poter ricostruire ad altro livello l’orizzonte percettivo dell’individuo, le mnemotecniche proce- dono da un contesto cognitivo da far evolvere, affinché il sogget- to sia maggiormente cosciente del mondo che lo circonda, delle relazioni che le sue percezioni hanno tra loro stesse, poi con lui, e infine lui con sé stesso.

L’arte della memoria non è, sia ben chiaro, una psicoterapia ma una vera arte dell’immaginazione e anche un’arte della “ra- gione”, e inizia ad essere l’una quando è già diventata l’altra. Se penso a una stanza, ad esempio al mio ufficio, e riesco a evocarne l’immagine in maniera per quanto possibile definita, seguo la strada della semplice immaginazione; se invece considero come è cambiato il mio ufficio nel corso dell’ultimo anno, allora all’arte dell’immaginazione aggiungo l’arte della relazione e, con questa, saggio la fecondità, le possibilità e la profondità della mia arte della memoria. Ciò è possibile in quanto sono capace di confron- tare immagini diverse della stessa cosa, ne riesco a evocare i par- ticolari, a ponderarli tra loro, a comprendere là dove differiscano o, al contrario, permangano le caratteristiche originali e così via. Non mi annullo nell’osservazione della cosa, annullo la cosa nel- le relazioni che instauro tra essa e l’orizzonte di riferimento in cui, coscientemente quanto volontariamente, la pongo.

La didattica superficiale e strumentalizzata degli ultimi secoli ha negato il valore della memoria a favore dell’apprendimento di principi e metodi ritenuti all’avanguardia nell’educazione, tutti alternativi alla fatica ma, soprattutto, alla creatività della memo- rizzazione. Il problema invece, a mio modesto avviso, andava co- sì posto: «Come faccio ad avere una metodologia attenta a in- staurare relazioni, a identificare i principi, a “estrarre il succo”, se prima non ho spremuto le arance? Con “cosa” metto in rela- zione “cosa” se prima non ho memorizzato niente?» È proprio la negazione del nozionismo a favorire un apprendimento nozioni- stico. Prima conosci “ciò di cui si parla” e soltanto dopo, discutia- mone. Invece oggi così non accade quasi mai. Si parla delle cose e poi non le si sanno descrivere, si è furbi, abili nel polemizzare, magari anche difficili da confutare ma tutto ciò avviene fin quan- do la discussione “vola alto”, fin quando si parla di tutto e in defi- nitiva di niente, fin dove si espone un’opinione. Ecco, in questo, l’arte della memoria assomiglia alla matematica, né l’una né l’a- tra dovrebbero mai essere un’opinione. Alla fine se le sai usare si vede e i conti tornano.

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5 . A s s o c i a z i o n e e d i s s o c i a z i o n e

re, percepire, allora saremo sempre in balia degli “elementi”, in- fluenzabili e facilmente aggirabili.

La mente dovrebbe darsi un ordine suo proprio tale da poter prescindere dalla natura del percepito. Tale ordine, che chiamere- mo “teatro” deve porsi a un livello sottostante le conoscenze, deve essere la loro base stabile d’appoggio. Esso rappresenta le fonda- menta su cui erigere la “propria” conoscenza, si deve imparare a strutturarlo, ad adattarlo ai propri fini e alla nostre particolari di- sposizioni, ma va saldamente “fissato”, reso sempre più forte seb- bene si debba restare flessibili noi nell’utilizzarlo. Le mnemotecni- che hanno appunto questa primaria funzione, quella di render la coscienza quanto più unita possibile (dato che, per sua intima de- bolezza, tende alla dispersione) e ciò si può fare, se si può fare, sol- tanto plasmandola attraverso la coerenza con sé stessa.

L’ipnosi terapeutica, come accennato, è cosa ben diversa dal- l’ipnotismo occulto di tanta parte del nostro contesto sociale. In entrambi i casi però la focalizzazione dell’attenzione in fase di in- duzione è opposta per finalità e fenomenologia all’attenzione dell’arte della memoria, tende alla dispersione cognitiva del con- testo; la responsività minima che il soggetto ipnotizzato ha del proprio ambiente una volta in trance, ha invece molti elementi in comune con le mnemotecniche, come prima rilevato. Si tratta in- fatti di un’attenzione potenziata, focalizzata alla percezione otti- mizzata e definita delle immagini. L’ipnosi in fase di suggestione si oppone all’arte della memoria (facendo da modello, ad ecce- zione dell’uso psichiatrico, a gran parte della persuasione coerci- tiva) mentre se ne avvicina in fase di trance attivata, nei casi in cui il soggetto risulta particolarmente sensibile, percettivo e, se possibile, ancor più “vigile” rispetto allo stato di veglia “norma- lizzata”. L’ipnosi in psicoterapia mina lo stato di coscienza “ordi- nario” proprio perché questo rappresenta la sclerotizzazione di contrasti interiori, problemi psicologici e relazionali, complica- zioni psicosomatiche e via dicendo; mina la sovrastruttura psico- tica per ristrutturare un sano equilibrio o, quanto meno, per co- stituire un argine al dilagare della patologia mentale – se real- mente c’è.

Le mnemotecniche invece non ponendosi direttamente fina- lità curative, non tendono a distruggere la sovrastruttura ma a modificare il funzionamento tramite la ridefinizione dei punti di riferimento della “struttura” cognitiva. Come andiamo sostenen- do fin dall’inizio, influenze con una carica latente ipnotica e pres- sioni persuasive occulte la gente ne deve già subire tante; si tratta

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ducata. Prima impariamo a considerare le persone soltanto come molto educate. L’arte della memoria, al contrario di tanta peda- gogia, non punta a individuare nessun difetto d’apprendimento (e troppo spesso con questo espediente anche a crearlo), non ser- ve a ottenere nessun merito, va bene per tutti; non c’è bisogno di sapere prima a chi si rivolge perché ognuno può trovarvi ciò di cui ha bisogno, sempre che “si associ con sé stesso” e umilmente si ponga a studiarne e applicarne i principi. Lì poi, però, emergo- no le vere differenze: chi sa applicare le conoscenze acquisite al proprio talento, chi è bravo e chi non lo è.

La psicologia allegata alla pedagogia si occupa quasi esclusi- vamente di comprendere le potenzialità di ognuno per poi realiz- zarne le qualità, incline ad analizzare le capacità del singolo indi- viduo per escogitare qualche stratagemma finalizzato a miglio- rarle. Si predispongono batterie di test per capire quanto uno sia intelligente... ma, soprattutto, di quale tipo di deficienza soffra. Si descrive quest’ultima, si mette a punto un protocollo di “inter- vento” psicopedagogico e così il soggetto usufruirà di un pro- gramma di apprendimento su misura. Alla fine resterà sempre il solito imbecille, magari soltanto un po’ più presuntuoso. Cosa abbiamo raggiunto descrivendo il profilo di un singolo individuo: quanto è intelligente? Cosa è in grado di fare o, meglio, cosa sa- rebbe in grado di “poter fare” se si trovasse nelle condizioni otti- mali per farlo? Ma mettere le persone nelle condizioni sociali giuste – adatte per fare come per disfare – non è più compito del- la psicologia né della pedagogia, semmai della politica; e allora tutto quell’elucubrare, tutto quell’affondare il cucchiaino nel bu- dino dello studente, del “soggetto”, a cosa serve? Domanda in- genua: non sarebbe forse meglio se ognuno di noi lo scoprisse da solo quel che è in grado di fare, quanto è intelligente, se ha il ta- lento per qualcosa? E se non lo ha... pazienza.

La differenza tra le metodologie didattiche alla moda e le mne- motecniche risiede in buona parte proprio nella risposta a questa domanda. La psicologia cerca di capire l’individuo, sondarne le capacità e predisporre la giusta soluzione ai suoi problemi, la cu- ra per la sua deficienza (dato che il presupposto, manifesto o la- tente che sia, di ogni analisi psicologica è che ci sia sempre una tara da scoprire e quindi da guarire), la toppa sulla giacca affin- ché il troppo sfregare dei gomiti sulla scrivania non tradisca un grande impegno per un piccolo risultato. Alla fine sondare le ca- pacità di ognuno è soltanto un metodo per recuperare gli idioti benestanti; chi infatti può permettersi una cura e un’educazione

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5 . A s s o c i a z i o n e e d i s s o c i a z i o n e

Qui invece siamo circondati da “ipnotizzati di riflesso” che parlano e hanno ragione su tutto ma, alla fine, non dicono niente. La causa principale è nella visione del mondo corrente che tende alla dissociazione del pensiero. La nostra è necessariamente una società di dissociati: già il fatto che facciamo sempre lavori par- ziali, da specialisti (anche gli operai sono “specializzati” ovvero si occupano solo di determinate operazioni); siamo “settorializ- zati” perché addetti a svolgere attività peculiari e ben circoscrit- te. Ovvio che non potrebbe esser diversamente, ma è altrettanto ovvio che anche “l’ovvio” ha i suoi effetti collaterali. Sfugge il contesto, l’insieme è sempre qualcosa di cui si deve occupare qualcun altro; siamo parte di un tutto ma poi noi ci occupiamo, per l’appunto, soltanto della nostra parte. In questo la tecnica non è la causa, ma uno degli effetti, un effetto però particolare, che va a rafforzare continuamente la causa che lo ha prodotto.

La didattica e le metodologie connesse che adesso vanno per la maggiore seguono l’andazzo generale ma ponendosi su un pia- no molto, ma molto, più superficiale della tecnologia. Si deve va- lutare quanto un ragazzo è intelligente, se ne devono individuare le famose “potenzialità”; e quindi “giù” test per verificare l’intel- ligenza, le attitudini, e tutta quella roba lì. Bisogna mettere l’in- dividuo su un piano cartesiano e prenderne tutte le coordinate. Cosa ne ricostruiamo poi? Soltanto un pagliaccio. Cosa ottenia- mo così? Unicamente uno spaventapasseri da mettere nel campo dell’insegnamento “mirato”. Ma è un campo in cui il contadino non ha seminato niente e i merli non si spaventano perché non vanno là dove non ci sono semi. I difetti del genere umano sono presenti in tutti, sebbene non “ovunque” con la stessa fenomeno- logia, per cui lo strumento “di correzione” deve essere unico; cercare da subito il correttivo specifico di ognuno, volendo igno- rare ciò che tutti accomuna, è un po’ come guidare contromano. Una volta compresi i difetti comuni a tutte le creature e imparato a superarli, ognuno troverà da solo la strada giusta per realizzare la propria natura, e se da solo non ce la fa è giusto che a quel pun- to, ma soltanto da quel momento, intervenga la psicologia, la ria- bilitazione. È importante non creare il malato là dove non si è ancora trovata la malattia: la diagnosi deve sempre seguire il sin- tomo e non viceversa: conosco un signore con problemi neuro- psicologici che, quando entra in una stanza dove ci sono tante