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Capitolo 28

1Non è questo il luogo per esporre le teorie di Giordano Bruno, a titolo puramen-

te esemplificativo (quindi senza attribuirgli nessun valore storiografico) libera-

mente riassumo come segue la prima pratica bruniana per la memoria delle paro- le. La mia interpretazione per quanto approssimativa e semplificata è debitrice di quella di Gianni Golfera a cui rimando per ogni eventuale e maggiormente appro- priato approfondimento. Ciò che comunque caratterizza la mia esposizione è l’ac- cento sulla grammatica e il parallelismo tra la prima pratica e la sintassi di lingue moderne come la nostra. Nell’interpretazione di Golfera (ovviamente molto più ampia e mirata della mia) infatti la prima pratica bruniana è una tecnica essenzial- mente “fonetica”; negli esempi che seguiranno qui invece adotteremo un criterio e un’esposizione di matrice grammaticale, più coerente con i fini di questo libro. Anche un suono, a rigor di termini, è un’immagine, non a carattere visivo certo, ma resta comunque un prodotto della nostra immaginazione – uditiva – e come ta- le andrebbe sempre considerato. Per semplificare e per mantenersi su esempi a ca- rattere visivo ho preferito trasformare “la prima pratica” in un esempio di mne- motecnica a prevalente carattere visivo-grammaticale.

mo luogo, imparare è la nuova parola: l’imagines agentes è per la parola sconosciuta, non per il significato noto. Si deve comunque riconoscere che è opportuno anche un riferimento iconico al si- gnificato, ma ciò a determinate condizioni che affrontate qui ci porterebbero veramente fuori rotta.

Ora, indipendentemente da tali problematiche collaterali, questi esempi sono, per l’appunto, soltanto esempi e come tali vanno presi. In realtà se vogliamo utilizzare questa tecnica dob- biamo fare qualcosa di più che non giustapporre a dei soggetti al- fabeticamente selezionati e disposti dei corrispettivi predicati ver- bali nonché i conseguenti complementi oggetto. Dobbiamo popo- lare il nostro teatro di 90 simboli di cui 60 espressi da immagini di persone o cose e 30 da azioni, quindi da qualcosa di più “astratto” che non la semplice immagine della cosa. Comprendere l’azione giusta da far compiere a tutti e 30 i soggetti non è affatto sempli- ce, dato che dobbiamo trovare 30 azioni che si adattino bene a 30 soggetti: azioni come “allattare” ed “esibire” sono indubbiamen- te azioni che ben si adattano ai soggetti di sesso femminile ma già con questi due esempi possiamo notare che è più coerente il se- condo esempio dato che “esibire” si adatta meglio a ogni tipo di oggetto che non il verbo “allattare”. Certamente l’esempio del- l’allattamento dell’ampolla può ancor più ravvivare il ricordo, da- to che si tratta di un’immagine strana, inusuale e bizzarra, ma non sempre le cose tornano come in questo caso. Ma possiamo sem- pre farle “quadrare”.

Costruirsi un teatro, dei luoghi, delle persone e delle cose sul modello dell’esempio di Bruno non è assolutamente banale; e- sercitarsi però in questo sforzo permette di comprendere molte cose sul funzionamento della nostra immaginazione, della nostra memoria e, in una parola, della nostra mente di cui altrimenti non verremmo mai a conoscenza. Si tratta sempre di consapevo- lezze personali dato che, come tutti dovrebbero riconoscere, in ognuno l’immaginazione e la memoria funzionano in maniera di- versa da tutti gli altri. Ovviamente ciò considerato entro certi li- miti dato che siamo tutti esseri umani e, alla fine dei conti, pen- siamo tutti “generalmente” e genericamente alla stessa maniera. Cosa otteniamo con questa costruzione? Dove andiamo a parare con questo intelligentissimo ed anche utile esercizio di memoria della prima sillaba? Semplicemente con esso abbiamo chiara in- tellezione di cosa sia una imagines agentes. Infatti Bruno altro non fonda la prima pratica che su delle imagines agentes, costrui- te però con ben definiti criteri e con rigide regole che, seppur

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cui l’azione del soggetto è indirizzata. Avremo quindi 30 oggetti che, a nostra scelta, costituiranno la terza lettera. In tutto do- vremmo disporre di 90 elementi.

Io ad esempio mi ero costruito un alfabeto con tutte donne (sono più facili da ricordare) che iniziava con l’immagine della mia amica Alessandra nell’atto di Allattare un’Ampolla (A–A–A). L’immagine è sicuramente bizzarra ma efficace dato che la mia amica ha un bel seno prosperoso e inoltre compiva un’azione e- spressa con un verbo che iniziava anch’esso con A su un oggetto iniziante per A.

È fondamentale comprendere quanto importante sia l’asso- ciazione tra immagini raffiguranti la stessa lettera sotto i suoi tre differenti aspetti (soggetto, verbo, complemento) dato che questo rappresenta il “perno” delle ruote della memoria. La forza del- l’associazione è tra il simbolo della lettera e le tre immagini che la rappresentano sotto i tre diversi aspetti or ora menzionati. Quindi una volta fissate nella mente le associazioni A–A–A, B–B–B e via dicendo, le associazioni “composite” (rappresentanti tutte le sillabe tri-elementari possibili con tutte le lettere dell’alfabeto) evocheranno naturalmente le immagini di riferimento. Se, ad e- sempio, dovessi ricordarmi la parola inglese relay (parola che si- gnifica, a seconda dei contesti: trasmettere, riferire, comunicare, ripetere ecc.) mi raffigurerò una ragazza che si chiama Rachele mentre Esibisce una Livella, la mostra al pubblico magari in pie- di sul banco del negozio in cui lavora: quindi lei espone, riferisce come si usa una livella.

Si osserverà opportunamente che in questa immagine potreb- be anche non esservi niente che costituisca un legame tra la rap- presentazione della scena e il significato della parola; altrimenti detto: cosa lega l’immagine di Rachele che esibisce una livella con il significato di trasmettere e ripetere? Volendo anche poco o niente. A questo punto però si apre un’altra annosa questione che in questo testo introduttivo siamo in parte costretti a sorvolare e in parte affronteremo nel prossimo capitolo con gli esempi delle lingue straniere e dei nomi delle persone. Comunque l’essenziale lo devo pur chiarire: innanzi tutto l’immagine deve servire a evo- care una parola e non un significato; comprendere questo è fon- damentale e richiama direttamente quanto detto sulla teoria di Prendergast. La prima cosa è quindi imparare la nuova parola, dato che il significato lo sappiamo già; non c’è infatti bisogno (an- che se prima io un accenno l’ho fatto) di memorizzare il significa- to di “trasmettere”, “comunicare” ecc. Ciò che dobbiamo, in pri-

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cità creativa, per ciò che concerne il ricordo; non fa nessuna dif- ferenza infatti aver visto un libro sul tavolo o esserselo soltanto immaginato. Fino ad ora ho parlato di immagini di donne, sulla scia di Pietro, semplicemente perché sono un uomo e non so dire come effettivamente funzioni l’immaginazione femminile; una diffusa credenza vuole che le donne immaginino e provino emo- zioni in maniera in parte differente dagli uomini; non essendo u- no psicologo e non possedendo doti divinatorie sospendo ogni giudizio a riguardo; mi limito a dire che, con i dovuti accorgimen- ti che solo le donne sanno, più o meno quel che ho detto sull’im- maginazione valga per gli uni come per le altre.

Le fantasie erotiche al fine dell’arte della memoria quindi non devono seguire direttamente l’istinto sessuale al che in esso si dissolverebbero, ma sfruttare l’emotività che suscita la perso- na che ci rappresentiamo nell’atto di compiere una qualunque a- zione eroticamente connotata. Ne segue che tra le imagines a-

gentes le più vacue sono sicuramente quelle delle pornostar, nel-

l’atto di fare sesso, ovvero di persone sconosciute che sostanzial- mente ci restano indifferenti. Un’inversione di tendenza potreb- be verificarsi se si pensasse all’attrice pornografica non nell’atto di fare l’amore ma da sola; se ne riproducessero mentalmente le fattezze, gli atteggiamenti, le movenze ecc., insomma più che i film porno anche delle attrici hard conviene memorizzarsi le in- terviste televisive. Una volta che si è familiarizzato con l’imma- gine della donna (non in quanto attrice di film erotici, ma in quanto bellezza naturale) allora, e soltanto allora, la si potrebbe “rigettare” nell’universo delle fantasie erotiche e farle fare le cose non per pura cupidigia (come sarebbe normale e ovvio nel- la realtà), e che sicuramente fa di sua iniziativa e senza tanti pro- blemi indipendentemente dalle nostre fantasie, ma adattandole a ciò che dobbiamo memorizzare. In definitiva, non è tanto im- portante l’azione sessuale quanto la familiarità con la persona che la compie. Pietro da Ravenna, non a caso, cita spesso le pro- prie amanti come protagoniste delle sue “scene” mnemoniche. Deve essere l’immagine “dell’agente” a suscitare la nostra at- tenzione, la nostra passionalità e la nostra percettibilità. L’eroti- smo quindi non è fine a sé stesso ma sempre relativo alla nostra

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rendendo più difficoltosa la costruzione iniziale dell’insieme, ne agevolano in seguito l’uso e facilitano di molto la memoria. Bru- no con questo sistema ben esemplifica ciò che intendo dire con “schema dinamico”; sarebbe bello poter approfondire queste te- matiche ma qui, data la natura del presente testo, dobbiamo aste- nercene. Torniamo alle “iconografia del femminile” che forse è anche meglio.

Tali tipi di immagini (quelle delle donne – almeno per un uo- mo) comunque hanno l’enorme vantaggio, come già osservava banalmente Pietro da Ravenna, di restare facilmente impresse nella mente. Egli sosteneva che le immagini a carattere porno- grafico fossero le più forti di tutte e che si ricevessero tanti van- taggi (tutti a livello dell’immaginazione purtroppo!) nell’utiliz- zarle a fini mnemonici. C’è da rilevare che ai suoi tempi (il XV secolo) l’editoria pornografica era sicuramente più rozza di quel- la che c’è adesso, se non altro perché all’epoca mancavano i sup- porti tecnici ora invece disponibili. Ciò significa che adesso sia- mo de facto assuefatti alla pornografia o, quanto meno, all’espo- sizione del corpo femminile con evidenti finalità sensuali – basti pensare, banalmente, alla pubblicità.

Fatto sta che Pietro si creava fantasie pornografiche su donne che conosceva, meglio se le aveva anche “praticate”. Questo è un fatto da rilevare: non è tanto importante la bellezza in sé della donna, quanto il fatto che per noi sia emotivamente rilevante la sua immagine. Detto altrimenti: l’attrice che si conosce soltanto per interposta (e virtuale) persona, per quanto bellissima, per quanto affascinante non sarà per noi mai rilevante come una ra- gazza che ben conosciamo e con cui abbiamo fatto l’amore. Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro dato che si tratta di consi- derazioni del tutto ovvie, semmai possiamo osservare che le don- ne che si conoscono ma con cui non abbiamo trattenuto relazioni sentimentali sono comunque da preferire alle immagini che ci giungono dai media. Infatti, indipendentemente dal sesso, si de- vono scegliere imagines agentes di persone per noi emotivamente rilevanti che si conoscono bene e si trovano attraenti (o repellen- ti – a seconda dei casi), indipendentemente dall’averci fatto l’a- more. Ai fini mnemonici la differenza tra ciò che si è fatto in

realtà e quel che si immagina è minima2, se si ha sufficiente capa-

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2Si tratta di una questione ricorrente: non soltanto nelle mnemotecniche ma an-

che in ipnoterapia immaginare una situazione e immedesimarvisi produce gli stes- si effetti che non viverla realmente. Immaginarsi, immedesimandosi completa-

mente nella situazione, di cadere da un treno in corsa nel mentre ci si affaccia dal finestrino, ad esempio, può provocare la stessa sensazione di precipitare davvero. Lo stesso fatto aveva rilevato Milton Erickson per l’induzione ipnotica nonché i mnemonisti di tutti i tempi.

scena elementi di eccentricità e meraviglia, non necessariamente di natura erotica.

I criteri fondamentali sono quindi progressivamente: immagi- nazione, ordine, coerenza. Su quest’ultimo criterio le teorie con- temporanee tendono a staccarsi, nel senso che l’eccessivo tecnici- smo (a mio avviso ovviamente) delle mnemotecniche contempo- ranee pone l’ordine e l’esagerazione delle immagini come criteri quasi assoluti lasciando in disparte la coerenza tra imagines

agentes e concetto da ricordare. Anzi sembra quasi che tale coe-

renza a volte sia d’ostacolo al ricordo. Io non condivido questa i- potesi: far leva sull’esagerazione dell’immaginazione e sull’ordine significa che in definitiva non ci si fida della propria immaginazio- ne e, per la precisione, che non ci si fida poi tanto della capacità di fissare immagini nella nostra memoria. Invece esercitare realmen- te l’immaginazione significa arrivare a immaginare cose coerenti con i concetti da ricordare, esagerando le rappresentazioni per quel tanto che è necessario ma senza strafare. Alla fine le mnemo- tecniche contemporanee, poggiando buona parte del loro vigore sull’ordine e l’esagerazione, tendono a “intorpidire” la capacità rappresentativa della mente. Invece un bravo mnemonista do- vrebbe esser in grado di fissare nella propria mente anche imma- gini non particolarmente esagerate ma coerenti con ciò che deve venir ricordato in un teatro di tipo classico. Coerenza, in questo caso, significa semplicemente instaurare un rapporto naturale tra immagine raffigurata e concetto ricordato.

Inserire in un teatro immagini esagerate, così come struttu- rarlo con criteri troppo formali che certo pongono il tutto in un ordine facilissimo da memorizzare, ma anche su un piano ecces- sivamente astratto, può portare ad assopire l’immaginazione. Sviluppare l’immaginazione non significa semplicemente imma- ginarsi cose bizzarre, eccessive o strane ma, anche e soprattutto, sapersi concentrare su immagini precise nei contorni e nei detta- gli e su cui portare velocemente l’attenzione. Insomma, la “fer- mezza” dell’immaginazione è più importante dell’esagerazione ed è quindi inutile, a mio avviso, caricare il nostro schema dina- mico di riferimento di immagini bizzarre come quelle pornogra- fiche, o costringerlo entro ordini formali e astratti che, pur nella loro semplicità, obbligano la mente a creare legami astratti tra la cosa rappresentata e il concetto che ci deve significare. In questo prendo le distanze dai mnemonisti contemporanei più che da Pietro. È sulla capacità di immaginare, di dare forma e sostanza (cioè che entrino nella nostra esperienza come cose vere e pro-

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sfera personale e reale dei rapporti umani. L’erotismo e la por- nografia quindi non hanno un effetto propulsivo in sé ma soltan- to accelerativo: la spinta deve essere precedente e indipendente da questi due elementi. Essi possono essere soltanto il combusti- bile che si infiamma se, e solo se, è presente il comburente della passionalità, dei sentimenti che soltanto un’esperienza reale ga- rantisce.

Quando faccio esercizi di memorizzazione “per le cose” (con- testo differente da quello della prima pratica bruniana come su riportato) comunque non uso quasi mai imagines agentes a carat- tere pornografico, semplicemente perché non ce n’è bisogno. Generalmente mi immagino la cosa che devo ricordare in un’a- zione dove essa costituisce uno degli elementi principali, se non il centrale in assoluto. Quindi inserisco elementi “sessuali” soltan- to se hanno una qualche relazione con ciò che devo ricordare, oppure se devo rafforzare catene deboli di pensieri ponendo quindi gli elementi erotici in un ordine prefissato, stabilendo una sequenza degli atti da far compiere alle mie “eroine”. Tale se- quenza però non deve avere un ordine dipendente dal mero sus- seguirsi degli atti erotici, come verrebbe spontaneo stabilire, ma trovando un nesso tra l’immagine sensuale e il significato me- taforico del significato astratto di ciò che dobbiamo ricordare. Ciò comporta nella mente dei mnemonisti inesperti un notevole appesantimento, anche perché la strada qui consigliata “circola” a un livello differente dal percorso che verrebbe naturale traccia- re leggendo i trattati rinascimentali.

Ripeto quindi che le immagini agenti a carattere pornografi- co non sono la panacea che tentava di spacciare Pietro; possono esaltare pensieri di per sé un po’ anonimi e irrilevanti ma la stra- da da seguire è, a mio avviso, un’altra. A ben pensarci, anche nell’esempio di crearsi un teatro pornografico la cui base è costi- tuita da pochi e ben definiti atti sessuali interpretati ciclicamen- te da attrici differenti, l’elemento essenziale non è il sesso ma l’ordine.

L’immagine deve esser coerente con il ricordo, quindi se un ricordo non ha elementi erotici, e in situazioni in cui c’è poco e- rotismo, inserirne alcuni in maniera del tutto avulsa dal conteso affatica il ricordo e basta. Importante è soltanto esercitarsi a svi- luppare l’immaginazione, a crearsi rappresentazioni delle cose. Se devo ricordarmi un “cavolo a merenda” posso immaginarmi un cavolo vero e proprio o, meglio, rappresentare me stesso mentre mangio il cavolo a merenda e inserire, magari, in questa

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maginazione, al contrario è la dimostrazione (o può diventarlo) che con la mente ci si può – non opporre – ma imporre anche ai più naturali istinti, darsi una finalità “meditata” ed “eterogesti- ta”, ovvero gestita dalla mente.

Si sfrutta quindi la libidine a fini non libidinosi, magari per memorizzare una legge che ci è utile conoscere al lavoro e che tratta di tutt’altro, ad esempio sugli appalti negli enti pubblici. Ha qualcosa a che spartire con il consiglio che si dà a chi deve so- stenere un esame e ha paura degli esaminatori: se li deve imma- ginare con qualcosa di buffo addosso oppure nell’atto di compie- re un’azione ridicola. Ciò direziona, incanala la tensione non ver- so un sentimento immobilizzante come la paura, ma in un atto li- beratorio, il riso. C’è da dire che tali consigli non vengono quasi mai seguiti ed anche là dove vengano applicati riscuotono scarsi successi. I motivi sono tanti, per ciò che ci riguarda è da osserva- re che tali consigli non funzionano perché vengono rivolti a per- sone che non si sono esercitate nell’immaginare cose diverse da come effettivamente sono e nel momento in cui le si vedono, procedura che invece l’arte della memoria insegna fin da subito, e poi perché tali persone non sono “soggetti” adatti alla memo- rizzazione, sono soggetti che incutono timore non per loro stessi, ma per la funzione che svolgono in un ben preciso e determinato contesto. Invece una bella donna è bella sempre e in sé stessa.

Questo, lo ripeto, devono essere le imagines agentes all’inizio dello studio delle mnemotecniche: persone che compiono un’a- zione su o con un oggetto, o un’altra persona che, nella scena, ha funzione di oggetto.

L’argomento dell’erotismo ci dà lo spunto per introdurre il tema più vasto entro cui collocarlo: l’emotività collegata alla me- moria.

Nei manuali di mnemotecniche si fa un gran parlare di coin- volgimento emotivo, di carica passionale dei ricordi ecc. Cosa si intende però dire veramente con tutte queste belle parole? È in- dubbio che se riusciamo a dare una connotazione emotiva alle nostre immagini ce le ricorderemo più facilmente. È ovvio con- siderare che i ricordi più forti della nostra vita sono associati a situazioni fortemente connotate dalle emozioni, fatti belli oppu- re tristi, paure, gioie, timori, lutti, piaceri ecc. si fissano nella no- stra mente con estrema facilità e con tenacia ci restano. Essi co- stituiscono la nostra storia e, in estrema sintesi, la nostra moda- lità dell’esistenza, il nostro stesso essere di enti storicamente de- terminati. Il nostro problema adesso però è un altro: dato che ri-

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prie) ai pensieri che si gioca buona parte dell’arte della memoria, e quello della “coerenza” tra segno e significato non è un criterio da imporre aprioristicamente ma un risultato da raggiungere.

Anche la regola della “pornografia” di Pietro ha le sue buone eccezioni; per quel che mi riguarda non è neppure una regola, bensì l’applicazione di un altro principio, quello or ora accennato e che prescrive di creare immagini “coerenti” con ciò che si deve ricordare. Se quindi devo memorizzare il primo articolo della Costituzione «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul

lavoro» non avrò bisogno di inventarmi una scena hard, sempli-

cemente immaginerò, nel primo luogo del mio teatro, una donna (Miss Italia o, meglio, una persona di nostra conoscenza che si chiami Italia) con la corona d’alloro (a simboleggiarmi la repub-

blica) con addosso la maglina del partito democratico (democra-