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DALLE ANDE AL CIELO

IL GRANDE SANTO PROTETTORE DI CANNALONGA: TORIBIO MOGROVEJO

DALLE ANDE AL CIELO

Nel 1598 il santo scrive al nuovo papa Clemente Vili: “Ho cresimato più di seicentomila anime delle quali ho avuto molta cura”. Da questa data, nelle relazioni successive, non sorpassa questa cifra, nonostante andasse ancora ad amministrare il Sacramento, sebbene in minor numero, poiché delle popolazioni già cresimate restavano solo i bambini piccoli. Così, nel 1602 scrive al re Filippo III confermando questa cifra e lo stesso fa nel 1603 “A quel che sento, avrei cresimato più di seicentomila persone.” Delle visite fatte dopo il 1603 e della terza visita generale non sussiste una relazione ufficiale. Unicamente, suo nipote, don Luis de Quinones, chierico, scrive nel 1608 - due anni dopo la morte dello zio - che “cresimò più di ottocentomila anime “ E questa sembra essere la cifra totale, non inventata dall’affetto, ma registrata nei corrispondenti libri ecclesiastici, come da precetto..

Tutti i bambini della sua immensa diocesi passarono per le sue mani consacrate e consacranti, e quelle mani erano tanto sante.che una bambina, nativa di Lima e residente a Quivi, Isabel Flores Oliva, appena undicenne, al loro santo contatto, cambiò di nome e perfino di colore. Non sfuggì la purezza della sua anima a chi era assuefatto da sempre a riconoscerla subito e le cambiò il nome in Rosa, senza dubbio per suggerimento divino. E il nome del fiore le rimase per sempre. Fu santa fin da bambina; entrò nelle suore domenicane ed è la patrona di Lima, del Perù, dell’America. A Quivi s’innalza oggi il suo eremo, piccolo come era lei, circondato dai candelabri dei cactus, nel dolce paesaggio tropicale.

Altri tre santi cresimò il nostro arcivescovo: San Francesco Solano, il meticcio San Martino de Porres e il beato Giovanni Macias.

Aveva appena finito, nel novembre del 1604 l’ultima minuziosa visita alla sua cattedrale di Lima, inventariandone al dettaglio tutti i beni. Da poco era ritornato da due lunghe visite epiche dai massicci di Jauja ed ora stava per iniziare la terza visita, che sarebbe stata l’ultima. Ormai non era più giovane come quando era arrivato; aveva sessantasei anni e molte ferite nel corpo e nell’anima. Nonostante ciò, percorse per la costa le immense province di Chancay, Cajatambo, Santa, Trujillo, Lambayeque....Nell’aprile del 1605 scrisse al re Filippo III da Mato, provincia di Huaylas e, in maggio, da Huaras.

Per la Settimana Santa del 1606 lo troviamo a Trujillo. Il suo scopo era quello di consacrare l’olio santo nella città di Miraflores, chiamata anche Sana. Glielo sconsigliò il sacerdote che lo accompagnava, don Alonso de Huerta, giovane molto deciso, cattedratico di lingua indigena a Lima. La stessa cosa fece il vicario di Trujillo, che conosceva bene il territorio per esservi nato. Le ragioni non avrebbero

potuto essere di maggior peso: “E’ una terra molto calda e potreste morire d’insolazione per il calore che in quella stagione fa....” Egli, però, secondo la sua abitudine, non ascoltò nessuno e volle intraprendere il viaggio verso Sana. Nella città di Pacasmayo si fermò per visitare il monastero di Guadalupe, retto dai padri Agostiniani e trovò il tempo per pregare la Vergine scura, una delle espressioni d’amore che, con questo nome dolcissimo portò lì la Spagna, poiché era la Vergine dei suoi conquistatori. Lì, però, non si sentì bene ma, ciò nonostante, volle continuare il viaggio, di fretta, verso i paesi di Cherrepe e Reque.

Arrivò a Sana ferito a morte. Alloggiò in casa del curato, il dottor don Juan Herrera Sarmento, dove morì dopo due giorni, nel pomeriggio del Giovedì Santo. (Che bel giorno per morire, il grande giorno dell’Amore per un uomo che di amore ne aveva sparso tanto!) Era il 23 marzo del 1606. Era andato a morire nelle braccia della Vergine di Guadalupe, che gli restituiva così, nel cielo, la visita che le aveva appena fatto nel suo vicino santuario.

Nei suoi ultimi istanti, sentendo vicina la chiamata del Signore, supplicò fra Jerónimo Ramfrez di accompagnarlo con Tarpa nel canto dei salmi Credidi e In

Te, Domine, speravi e, al suono di essi, chiuse melodiosamente le labbra e gli

occhi a questo mondo. In quel momento le campane della sua amata cattedrale di Lima stavano chiamando i fedeli agli uffici solenni. Morì nel pieno compimento del suo dovere, come sempre aveva vissuto, circondato dai suoi indios, i suoi grandi amori in quella terra di amore. Doveva morire fra i poveri, gli emarginati, i vinti, i quechuas e i cholos. Essi incominciarono a pregare per lui ed egli a pregare per essi. Furono la sua miglior gloria ed egli la gloria dell’intero Perù, deH’America, della Spagna - e come no? - della sua lontana Mayorga. Chissà quante volte, mentre era in vita, sarà tornato col pensiero alla sua piccola città ed ora, dall’alto dei cieli, può benedirla ogni momento. E’ bello immaginarlo far ritorno, di quando in quando, alla sua Mayorga, nel giorno della sua festa, la festa della reliquia, il 27 settembre, per la processione del “Vitor” (dell’Evviva!) e sorridere, nella notte castigliana, nel vedere le fiamme gioiose, i fuochi di artificio e i razzi quasi fossero il mezzo per la popolazione di arrivare fino a lui. O, emozionato, ascoltare il canto dei suoi paesani entrare ed uscire dal suo eremo - santuario.

Nelle sue ultime e sacre volontà il nostro santo si fece sotterrare con tre abiti, l’uno sull’altro: il domenicano, il francescano e Tagostiniano. Secondo la testimonianza di tutti i suoi biografi di Lima, il suo corpo santo rimase esposto per tre giorni in quell’ambiente caldo senza decomporsi e, quando un anno dopo, fu traslato in processione a Lima, il nuovo arcivescovo, don Mateo Godfnez de Paz non potè occultare la sua sorpresa nel vedere ancora incorrotto il corpo del suo santo predecessore. Solo gl’intestini furono trovati atrofizzati a causa dei grandi digiuni, secondo il rigoroso giudizio del medico, dottor Vaca, che lo ispezionò ed estrasse quel cuore di oro purissimo di carità per inviarlo a Santa Chiara, il

monastero da lui fondato, nella solenne traslazione dei resti nel 1607, reliquia che ancora lì si conserva, prezioso legato d’amore.

I suoi santi resti, reclamati dalla sorella Grimanesa, per farli tumulare in cattedrale, impiegarono un anno ad arrivare a Lima perché ogni città volle venerare il santo, nel passaggio, trattenendolo un mese ognuna nella sua chiesa madre. Mayorga conservò come una preziosa reliquia la nobile casa in cui nacque, sebbene pensasse di erigere in quel posto un grandioso tempio grazie alla concessione del privilegio reale concesso da Carlo II. All’ultima ora tutto si complicò e la somma destinata dal re bastò solo a restaurare la chiesa delle domenicane di Mayorga, dedicando al santo un altare laterale, accanto al vangelo. Ma questo era molto poco per la grande devozione della sua città e il popolo si rasserenò solo quando convertì in tempio la casa nobile di don Luis de Mogrovejo, nella quale era nato il santo, con il contributo dei cittadini.

La città di Lima, da grande Città dei Re, inviò a Mayorga due preziose reliquie del santo arcivescovo: una costola dei sacri resti in un bellissimo e massiccio reliquario scolpito, per il primo tempio delle domenicane e, per il nuovo tempio, un perone in un reliquario piramidale di cristallo con modanature d’argento col bagno d’oro.

Don Gonzalo de Mogrovejo, dei signori di Villahamete o Villagómez, arcivescovo di Lima e nipote del santo per linea collaterale, fu il principale promotore della beatificazione del suo glorioso zio, avvenuta il 13 giugno del 1679, sotto il pontificato di Innocenzo XI, che volle celebrarla personalmente nelle basilica di San Pietro e Benedetto XIII lo canonizzò il 5 aprile del 1726.

Nel 1983 Giovanni Paolo II lo dichiarò “patrono del clero latinoamericano”. Il 23 marzo del 2006, in occasione del quarto centenario della sua morte, Anno Giubilare, il Santo Padre, Benedetto XVI ha voluto concedere l’indulgenza plenaria alla Chiesa di Lima.

Ora, dopo molti secoli, si continua a vivere di quella luce che il nostro santo accese. Lo riconoscono tutti i protagonisti diretti della sua propaganda: i vescovi americani che camminano ancora nel suo splendore. Il seme sparso da lui è germogliato e ancora oggi le diocesi dell’America del Sud e del Centroamerica vivono della linfa canonica e pastorale del III Concilio di Lima del santo. Fu come un fiume in piena che inondò l’America e non c’è da meravigliarsi che tutti, vescovi e storiografi, lo ritengano “la più grande figura missionaria del Continente Americano” e che, portando il suo nome, giri oggi, nel Consiglio Superiore di Ricerche Scientifiche (CSIC) tutto un complesso giuridico missionario di ricerca con un Patronato in esclusiva sotto la sua celeste tutela.

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