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STUDI UMANISTICI A VALLADOLID

IL GRANDE SANTO PROTETTORE DI CANNALONGA: TORIBIO MOGROVEJO

STUDI UMANISTICI A VALLADOLID

Sui contrafforti dei Picos de Europa, nella Cantabria spagnola, in territorio di Santander, si trova il borgo medievale di Mogrovejo, nelle giurisdizione di Potes, dichiarato d’interesse storico rurale nel 1975.

La merlata torre, ristrutturata nel 1872, che svetta sulla casa nobiliare e sul borgo, conserva ancora sulla porta principale lo scudo d’alabastro con lo stemma dei Mogrovejo - i tre gigli sormontanti un leone rampante e una torre - unitamente a quelli delle famiglie Lasso de la Vega y Teràn e Velasco, collegate ai Mogrovejo per vincoli matrimoniali. Lo stemma con i tre gigli, ripetuto sul portale della chiesa e su altre nobili case, attesta il dominio signorile di quel casato sul borgo ed è quello che venne adottato da San Toribio.

La riconquista della regione nella guerra contro i mori aveva attirato in quelle vallate molti cavalieri che in Spagna si chiamavano “de Pendón e Caldera1. Da uno di essi, don Pedro Ruiz de Mogrovejo, che sconfissero e ricacciarono i mori dalla regione nella battaglia di Cavadonga, nel 772, proviene il casato di San Toribio de Mogrovejo.

Un membro di questa nobile famiglia, don Juan Alfonso, trisavolo del nostro santo, nel secolo XV, sposando donna Beatriz Munoz Cerón, figlia del governatore di Mayorga, allora diocesi di Leon ed oggi provincia di Valladolid, trasferì in questa città la nuova casa e la signoria dei Mogrovejo. E qui, a Mayorga de Campos, nacque il nostro santo P II novembre 1538 da don Luis Alfonso e da donna Ana de Robledo, di Villaquejida (città poco distante da Mayorga) di non minore nobiltà di sangue e di virtù. Prese il primo nome da un altro santo, Toribio, che, nel V secolo, essendo allora vescovo di Astorga, aveva fondato a due chilometri da Potes il monastero, che portava il suo nome, nell’amena valle di Liébana, famoso per contenere, in un prezioso reliquario d’argento, il frammento più grande che si conosca della Croce, portato dal santo.

Quando Toribio nasce, sono trascorsi appena quarantasei anni dalla scoperta del Nuovo Mondo, la Scoperta per antonomasia, ed anche qui, nelle vecchie terre di Campos, non si parla d’altro. E’ questa una terra dove i secoli sono trascorsi con lo stesso ritmo antico e alla stessa maniera, seminando e raccogliendo, piantando e sognando, vivendo e morendo in pace. Una terra coperta dalle rovine dei secoli

1 “D e Pendón y Caldera”: letteralmente: ”Di vessillo e paiolo”. Privilegio di arruolare gente a proprie spese (concesso dai re di Castiglia ai signori che accorrevano in loro aiuto).

passati, che non nasconde, né desidera farlo, le sue gloriose cicatrici. Terra-madre di uomini e donne tagliati nel bronzo, schietti, lavoratori, fedeli, sognatori di leggende, divulgatori di storie romanzate, orgogliosi, come la loro terra, conficcata come una lancia nei fianchi di Leon e Castiglia, ambita da tutti e marcata da tutti gli invasori e, in special modo dai Goti che qui si fermarono e morirono lasciandole il nome di Campos Góticos.

La meravigliosa scoperta del Nuovo Mondo, che sembra ogni volta più nuovo, tanto sono incredibili le cose che si raccontano su di esso e sulle favolose ricchezze del suo sottosuolo, hanno scatenato una vera febbre dell’oro e fatto sì che anche da queste terre di Campos eroici lavoratori si siano affrettati e continuamente si affrettino ad attraversare i mari con la stessa serietà e voglia di lavorare con la quale hanno vangato la loro terra.

E’ in questo contesto che nasce il nostro santo.

Delineare la gigantesca figura di San Toribio de Mogrovejo significa ricordare la migliore opera svolta dalla Spagna nell’America del Sud: l’evangelizzazione di quelle terre selvagge ed ignote. La Spagna aveva aperto, quasi cinquant’anni prima, un cammino meraviglioso sul mare e la Spagna era stato il primo nome pronunciato, consultato ed annotato in tutte le Cancellerie più importanti.

Dopo gli scopritori, i conquistatori e, dopo di essi, gli evangelizzatori, i missionari, i maestri, i colonizzatori e San Toribio può rappresentarli tutti, anzi è stato il più grande di tutti. Egli si dedicò anima e corpo a diffondere il Verbo di Cristo, a volte nel disconoscimento più assoluto, incluso quello della stessa Spagna.

Fin da piccolo si avvertiva in lui quel profumo di santità che presto si diffuse in tutta Mayorga e dintorni. Si parlava di lui come di un bimbo miracoloso che ai comuni giochi infantili preferiva quello di salire su una specie di pulpito improvvisato e “predicare”, in un primo momento, ai suoi coetanei e agli attoniti parenti e, ben presto, ai buoni mayorgani e ai contadini dei paesi limitrofi che stavano lì ad ascoltare a bocca aperta quel santo bimbo predicatore, il viso e gli occhi inondati da una luce divina.

Ha fra i dodici, tredici anni quando lascia la casa patema, alla ricerca dell’ideale della sua vita, perché già si sente incline a realizzare i più bei disegni divini. In Valladolid, a settantacinque chilometri dalla sua Mayorga, s’iscrive nel Collegio di Santa Cruz, una specie di seminario dell’Università, per frequentare i corsi di Belle Lettere e accedere, poi, agli studi superiori.. E in questa città, allora capitale del regno e sede e lustro della corte spagnola, si scontra non solo con un giovane Filippo II, di appena venticinque anni, ma anche con tutto il Consiglio dèlie Indie, rigurgitato dall’America (fino al suo trasferimento definitivo, più tardi, nell’Alcàzar Reale di Madrid ): un mondo più giovane del suo giovane re.

Tutta Valladolid era entusiasta e palpitante per l’organizzazione delle spedizioni da inviare nelle Indie perché se Siviglia le imbarcava, Valladolid le

preparava ed equipaggiava sin nei minimi dettagli. Nessun luogo era più adatto a stimolare la volontà di andare nelle Indie, le più grandi e generose terre di quei tempi, l’Eldorado per molti. Inoltre non erano trascorsi neanche cinquantanni dall’inumazione, in San Francesco (oggi teatro Zorilla) dei resti di Colombo, che in Valladolid aveva avuto la sua casa. Dio già lo stava preparando per le Indie, sebbene il giovane Toribio fosse molto lontano dal pensarvi in quegli anni giovanili.

In questa città s’incontra molto spesso con un messaggero divino nelle vesti di un famoso porporato che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita: il vescovo don Pedro La Gasca, appena arrivato dal Perù, da lui governato con l’aureola di grande pacificatore. Un altro angelo annunciatore per Toribio è fra Jerónimo de Loaysa, primo arcivescovo di Lima e immediato predecessore del nostro.

Quei dieci anni trascorsi nell’ambiente cortigiano ed accademico servono ad elaborare e a formare la sua personalità. Nel ritratto che gli fa Villafranca, il miglior ritrattista di quei tempi, in occasione dei suoi venti anni, non si nota quella molesta protuberanza della mano sinistra che tanto affligge il nostro santo e per la quale tutti i migliori medici di Valladolid avevano decretato l’asportazione. Questa, però, era considerata nei Decretales un impedimento a ricevere il sacerdozio: non restava al giovane Toribio che appellarsi alla Madre Celeste che tante volte aveva implorato. Si recò un giorno nella chiesa di San Benito e si prostrò, singhiozzando, davanti alla Vergine del Sacrario, ascoltò la messa e, al momento della benedizione, fece il segno di croce sulla molesta escrescenza e questa sparì in un batter d’occhi davanti agli attoniti astanti II santo avrebbe portato con sé, al di là dei mari la venerata immagine della Vergine, regalata alla chiesa nel 1420 dal re Juan II di Castiglia insieme ad una statuetta della francese Vergine della Pena, di tanta profonda devozione in tutta Salamanca e provincia.

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