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A SN , Pandetta Seconda o Generale, F 343, n doc 746, a 173.

ALLA RICERCA DEL PATRIZIATO “RURALE" NEL REGNO DI NAPOLI: ALCUNI CASI DI STUDIO.

5 A SN , Pandetta Seconda o Generale, F 343, n doc 746, a 173.

Nel 1640 vi è l’estinzione dei baroni Galeota. Gioi viene inserita nel demanio regio.6 Ma occorre fare una breve parentesi, utile per sapere qualcosa in più sui demani. Si definiscono tali tutti i territori aperti, comunali o dello Stato, anche ecclesiastici o universali, su cui si esercitavano usi civici. Quindi vi era il demanio regio costituito da fiumi, da alcuni grandi boschi come la Sila, spiagge; vi era il demanio comunale, che si estendeva in genere a valle, e soprattutto a monte dei contigui agglomerati urbani ed era aperto per i soli cittadini di quel determinato comune agli usi civici. Tuttavia tutti i territori conferiti dal sovrano ai singoli feudatari erano altrettanti demani. Si presumeva che il re fosse titolare di un territorio collettivo che a solo titolo precario poteva essere concesso ad altrettanti feudatari. Perciò i baroni non erano proprietari, ma solo possessori di una porzione di demanio. Segno della precarietà del possesso era il fatto che ogni volta che cambiasse il titolare e cambiasse il sovrano, dovevano ottenere la reinvestitura. Poiché gli usi civici sono imprescrittibili, ogni tentativo del feudatario di impedirli veniva considerato un’ offesa al demanio, al popolo e al re.

C’è da dire inoltre che, nei catasti antichi e nell’ onciario, i demani non erano censiti, in quanto non sottoposti a tassazione7.

Ritornando a Gioi, l’inserimento nel demanio dura davvero poco. Nella seconda metà del ‘600 le urgenze finanziarie della Spagna fanno sì che molte terre appartenenti al demanio regio vengano vendute. Nel 1682 Gioi e Magliano passano alla famiglia Pasca.

Cominciano duri contenziosi fra la terra e i casali di Gioi che optano per la demanialità, e il barone Pasca. Da una parte quindi i sindaci ed eletti del patriziato, appartenenti alle famiglie Salati, de Marco, Bianco e Santomauro, come si evince da un’ istanza presentata alla Sommaria nel 1753. Costoro, in sintonia coi casali “Chiedono la prelazione per questa terra per essere ammessa al Regio Demanio”.

La solidarietà dei casali viene meno a causa del Pasca che lusinga i casali con promesse.

Inizia una lotta senza esclusione di colpi.

Il patriziato e gli eletti di Gioi vorrebbero addirittura farsi carico della cifra di 7911 ducati necessari per essere ammessi al Regio Demanio come dai calcoli venuti fuori dall’ istanza fiscale di Battista Ottavio Caropresa. E ancora si fanno presenti i vantaggi che verrebbero al Regio Fisco con lo smembramento dei casali da Gioi: Gioi verrebbe “intestata nel cedolario in persona di qualche cittadino, cosicché come fu dato al dismembrato casale di Moio”.

Ma il barone non ha paura di usare mezzi anche poco leciti come denunciano i governanti di Gioi in una lettera alla Regia Camera datata 19 Agosto 1755: il possessore avrebbe tentato “di stroncare il prosieguo del giudizio di prelazione di detta università per essere ammessa nel Regio Demanio, anche con l’opera del

6 G. CIRILLO, Il processo di aristocratizzazine, op. cit., pp.8 - 10. 7 G. CIRILLO, Il barone assediato, Cava d e’ Tirreni (SA ), 1997, p. 14.

vescovo di Capaccio, suo parente, di far eleggere nelle nuove elezioni come governante Anicio Probo, suo procuratore e Pantaleone, suo amico stretto, il quale, aiutato dal barone nei mesi passati con falso mandato di procuratore era intervenuto per la causa dell’ elezione degli ufficiali della Cappella del SS. Rosario e anche della chiesa della Vicaria”.

Ma il Pasca propone, contro la demanialità, delle tesi che sembrano inattaccabili. Egli rivendica la natura “individua” del giudizio del Demanio (nel 1727, data del passaggio dell’ intero feudo a Giovan Battista Pasca, reclamato per tutto il feudo), che non si adatta alla richiesta dell’ università di Gioì che pretende di rompere “Parmonia dell’intero corpo feudale”. Lo smembramento del feudo potrebbe provocare problemi di natura istituzionale. “La terra di Gioi e Casali formano una società perfettamente integrata”. Il barone Pasca è molto abile quando mette sul piatto i diritti dei Casali: “Nelle elezioni un anno si elegge come eletto dei nobili un cittadino di Gioi, un altro anno uno dei Casali. Non può sciogliersi questa perfetta società”. “La maggior parte delle comuni rendite sono indivisibili, come pure il bosco dei Santi e l’altro detto Communicchio. La rendita di questi consiste nella fida dell’ erba, nel legnare e nel ripartimento del prezzo del frutto: due parti di questo spettano ai Casali e una parte all’ università di detta terra”. Inoltre il progetto, sempre secondo il Pasca, non è portato avanti unanimemente da terra e Casali, ma anzi nella stessa Gioi è solo un gruppo di cittadini guidati dalle famiglie Salati e de Marco. Inoltre il Pasca fa osservare: “non era conveniente si introducesse tale giudizio di demanio né al Regio Fisco né all’università di Gioi composta di pochi fuochi (non oltre 77), poi la gente è miserabile, non è in grado di pagare la provvisione di 220 ducati al capitano, né hanno il prezzo da restituirsi al compratore, cosicché avrebbe impegnato o distratto tutti i corpi demaniali”. Si giustificava il Pasca che se è “caduto in qualche eccesso è per le azioni ardite ed indecenti del de Marco. Quindi prega Sua Maestà di non far intervenire più il de Marco nelle cause della sua terra, dichiarandosi disposto a comprare tutte le robe dei de Marco se essi abbandonassero la terra”.

D’altra parte la terra di Gioi fa valere le tesi opposte sempre in Regia Camera. Gioi vuole riprendere la causa per l’ammissione al Regio Demanio a causa delle angherie del barone Pasca. Questi “ha estorto una procura a sei Casali della terra per far ritrarre le spese processuali all’università di Gioi, avvantaggiato dal fatto che l’esecuzioni delle provvisioni riguardo alle accensioni di candela vengono affidate al governatore di Monteforte Bambanaro, legato al Pasca”. Costui avrebbe invalidato la vendita dei frutti dei demaniali e con “reiterate minacce vuole intromettersi nella vendita dei frutti demaniali della Selva dei Santi”. Secondo gli amministratori di Gioi, le mire del Pasca attraverso l’istigazione degli eletti dei Casali, sarebbero quelle di prosciugare i fondi attraverso cui Gioi tiene accesa la causa per la demanializzazione che provengono dalle rendite delle terre comuni.

Il Pasca, affermano gli eletti di Gioi, “tramite il suo luogotenente, il Giacumbo, ha fatto firmare dai cittadini analfabeti un foglio bianco nell’

imminenza della vendita dei frutti demaniali. Vuole che il ricavato venga speso per far fronte alla Regia Colletta, quando tal pagamento si è fatto sempre tramite la tassa inter cives per cui si è preso 1’ appalto Tommaso Santomauro. Ora i cittadini devono decidere se il denaro proveniente dai frutti venga impiegato per il prosieguo della causa del Regio Demanio oppure, sospendendo la tassa inter cives, pagare la Regia Colletta”.

Infine il barone Pasca è 1’ ispiratore di una raccolta di firme anche da parte di un gruppo di cittadini di Gioi che “vogliono la loro porzione di rendita proveniente dai demaniali per far fronte al pagamento delle Regie Collette che rilevano i maneggi privati degli amministratori”. Il Pasca va oltre, “ispirando”, direttamente le decisioni del governatore feudale di Monteforte, Domenico Bambanaro, incaricato dalla Sommaria di decidere in merito al contenzioso. Questi con la procura estorta a sei Casali “ha indotto la vendita del frutto del bosco Communicchio”. Gli amministratori di Gioi contrastano tale decisione: nonostante 1’ asta fosse stata vinta da Pietro Antonio Maio, Costantino, Angelo e d. Pietro Salati e Pietro Grompone si presentano nella residenza del governatore per imporre la nullità degli atti, perché non sono stati avvisati i governatori di Gioi. Alla nuova accensione di candela, ispirata sempre dal governatore di Monteforte e dagli eletti dei Casali, gli amministratori di Gioi “ fecero raccogliere il frutto a mano armata a Tommaso Santomauro e ad altri cittadini di Gioi”.

Poco dopo, gli eletti di Gioi neutralizzano un altro tentativo del Pasca rifiutando “1’ apprezzo del frutto della Selva dei Santi fatta da d. Gasparro di Fiore (160 ducati) [...] lo stesso vorrebbe, a nome dei Casali, prendere in affitto per tale cifra il bosco demaniale”.

Il Pasca passa da minacce verbali a quelle materiali contro l’università e i singoli cittadini di Gioi: “vuole spogliare l’università dello specioso diritto della giurisdizione di mastro di fiera di S. Maria della Croce che si tiene a Magliano per 7 giorni...non contento minaccia la vita del de Marco tanto che questi vuole abbandonare la difesa dell’ università”.

Le sottili trame del barone a metà ‘700 vanno a buon fine. Il fronte dei demanisti a Gioi si spacca. Il procuratore del Pasca informa: “Costantino, Ambrogio e Nicola de Marco approfittano delle rendite universali della povera terra di Gioi [...] d. Nicola tramite gente armata usò minacce per farsi eleggere procuratore di detta università. Ma la maggior parte della gente si avvede del sopruso e ad opera dell’ eletto Pietro Salati si convoca il parlamento per revocare la procura”. Nonostante ciò e la nuova assegnazione della carica di procuratore dell’ università a Pietro Salati “Costantino ed Ambrogio de Marco con comitive di persone armate cercavano anche con insulti di rimuovere la procura del Salati chè, per evitare sollevamenti, ordinò ai cittadini di ritirarsi in quanto avrebbe provveduto a fare giustizia tramite i tribunali superiori”.

Dimessosi il Salati, la famiglia de Marco avrebbe convocato un nuovo parlamento dove cento analfabeti, secondo il Pasca, in un atto pubblico del notaio

Ambrosio, confermarono procuratore dell’ università di Gioi Nicola de Marco. Contro tale atto Pietro Salati avrebbe sporto querela per la falsità e per i maltrattamenti ricevuti, alla Regia Camera8.

In realtà le posizioni interne alle famiglie del patriziato di Gioi si sono alterate già da tempo, almeno da quando la giurisdizione della fiera di S. Giacomo dei Pignatari gli era stata tolta a vantaggio dell’univeristà. E poi una definitiva rottura giunge nel 1753. Fa chiarezza, della defìnitva rottura tra le due più importanti famiglie del patriziato nobile di Gioi, Salati e de Marco, un atto pubblico dell’università: “il patrizio Donato Salati è al servizio come luogotenete (governatore) del barone Giovanni Battista Pasca”; per questo motivo e per “l’intimo e familiare rapporto che unisce il nobile Salati al barone [...]” le altre famiglie del patriziato ostili al barone privano i Salati “di voce attiva e passiva per andare incontro alla Causa del Regio Demanio, domandata da questa Università in Regia Camera”9. Tutto ciò nonostante Donato Salati si sia fatto sostituire tempestivamente nell’ufficio di luogotenete dal magnifico Rosario Giacumbi10. Dagli anni Sessanta in poi la lotta di fazione esplode violenta a Gioi spaccando in due le famiglie del patriziato e la stessa popolazione tanto che vi è un intervento del presidente della Camera della Sommaria, Scassa, che condanna “la virulenza degli attacchi delle due parti, invitando sua maestà a prendere adeguati provvedimenti acciò non si oltrepassi il limite11”. Agli inizi degli anni Settanta del Settecento gli equilibri in seno all’amministrazione di Gioi sono di nuovo cambiati: i Salati controllano di nuovo saldamente l’amministrazione di Gioi, ma molte famiglie del patriziato nobile e civile remano contro: dai de Marco, agli lofio, ai Bianco. Inoltre anche se il progetto della demanializzazione della terra di Gioi, che aveva ispirato le maggiori famiglie della comunità, è fallito definitivamente, è cessata l’offensiva della famiglia Pasca. La giurisdizione di molti casali dello Stato di Gioi è stata smembrata e venduta a piccoli baroni di estrazione borghese (Pellare al Pignatelli; Cardile a Rosario Siniscalchi; Sala di Gioi, a Giovanni Bemalla e poi a Gennaro Bambacaro; Orria a Bartolomeo Cecchi; Moio a Antonio Milano, Perito a Diego De Bellis12). Inoltre un altro pericolo si profila all’orrizzonte, la terra di Gioi ed il casale di Ostigliano è venduta ad un nuovo barone, il Ciardulli della terra di Laurino.

Anche per quanto riguarda quest’ altra comunità del Principato Citra mi sembra utile esaminarne le caratteristiche, senz’altro diverse dallo Stato di Gioi. Quella di Laurino è una piccola comunità che conta circa 500 fuochi, quasi 3000 anime. La parte più rilevante della popolazione si dedica all’ allevamento, ma

8 A SN , Pandetta Seconda o Generale, F. 343 n. doc. 74 5 4 , a. 1753. 9 A SS, Atti notarili, Gioi Cilento, notaio A. D e M arco, b. 403 a. 1753.

10 G. CIRILLO, Il processo di aristocratizzazione, op. cit., p. 13. 11 A SN , Pandetta Seconda o Generale, F. 343 n. doc. 7454. 12 Ibidem, Fascio 343, due. 7454

rilevante è il fatto che il catasto onciario censisce circa 5800 tomoli, di cui i 4/5 costituiti da beni ecclesiastici. C’ è da dire poi che non si tiene conto del demanio della “Vesola”. A Piaggine vengono censiti 1000 tomoli13.

Laurino, con Piaggine Soprano, Piaggine Sottano e Fogna, fanno registrare, secondo i catasti settecenteschi (onciari e mappa topografica) agri comunali d’ un’estensione superiore ai 27000 tomoli. Nella seconda metà del ‘700, nonostante una prevalenza del pascolo, e del terreno seminatorio, è subentrata anche una diffusione consistente della piccola proprietà, soprattutto legata al vigneto. Ci rendiamo conto di ciò, analizzando protocolli notarili della seconda metà del Settecento: ad esempio il notaio De Gregorio ci informa della permuta di terreni tra i coniugi Bernardino Paruolo - Maria Coccaro e Pietro di Pema e la moglie Anna Rodione.

I primi possiedono in burgensatico una vigna “dotale della suddetta Maria vitata di viti con quattro piante d’ ulivi e tre piante di querce, ed altri albori fruttiferi con pozzo e fontana di capacità sette uomini in circa di zappa, sita e posta nelle pertinenze di Piaggine e proprio nel luogo detto Pozzano [...] Questa vigna fu apprezzata e valutata da Biasi Maffìa di questa terra e Giovanni Martino di Pema delle Piaggine, apprezzatori da ambe esse parti eletti per ducati trentacinque e mezzo”.

Anche i coniugi di Pema - Rodione possiedono una vigna dotale della Rodione “nel luogo detto Calore seu Santo Oronzio [...] dove sono dieciotto piantoni d’ulivi ed un alboro grosso pure d’ulivo di capacità circa uomini cinque di zappa [...] con via vicinale e via pubblica franca e libera da qualsivoglia peso e servitù, a riserba di un annuo rendito di grana diece renditizio alla Chiesa Patronale di Tutti i Santi [...] apprezzata e valutata dalli suddetti apprezzatori per ducati trentadue, dalli quali dedotti carlini venti per causa del suddetto annuo rendito, resta il libero ed effettivo prezzo della medesima vigna per ducati trenta”. Ma i coniugi di Pema - Rodione “hanno asserito possedere un basso, siasi temano di casa per uso di stiere, seu cellaro, sito e posto in questa sudetta tema e proprio nel distretto della cennata Chiesa Patronale di Tutti i Santi”. Si cita anche “un passetto, siasi atrio coverto d’ embrici [...] valutato da Natale Maffia, fabbricatore da ambe esse parti comunemente eletto, per ducati quattordici [...] quali ducati quattordici uniti alli sudetti trenta [...] fanno in unum 1’ importo di ducati quarantaquattro”14.

Questo è solo un esempio della presenza a Laurino della piccola proprietà. Si è parlato poc’anzi della grande proprietà degli enti ecclesiastici nello stato di Laurino. Da atti notarili della seconda metà del ‘700 si nota la straordinaria quantità di temeni concessi a censo, come si ricava da un atto notarile del 1763, in cui Francesco Trotta, procuratore della Cappella del SS. Rosario retrovende a d.

13 G. CIRILLO, Il vello d ’ oro. Modelli mediterranei di società pastorali: Il Mezzogiorno d ’Italia (secc. XVI-XIX), Manduria-Roma-Bari, 2003, pp. 166 -167.

Domenico Cantore Gaudiani e a suo fratello d. Lorenzo un annuo censo di 15 carlini, dallo stesso ente comperato nel 1743 con patto di retrovendita.15

Ancora il 9 Gennaio 1763 davanti al notaio De Gregorio si costituiscono Giovanna Marino, vedova del fu Giambattista Coppola, e suo figlio Cataldo Coppola, da una parte, e dall’altra il procuratore della Cappella del SS. Rosario Francesco Trotta. Si vede come i primi pagano a detta Cappella, facente parte della Colleggiata di S. Maria Maggiore un censo di dodici carlini annui.16

Sicuramente c’era anche un legame tra V appartenenza ad enti religiosi e le famiglie magnatizie del luogo. Ad esempio una famiglia che, dagli atti, sembra emergere, è quella dei Perelli. Il reverendo d. Francesco Canonico Perelli il 15 Settembre 1763 dona a suo fratello d. Mariano Perelli il luogo detto Valicano” da lui comprato dai fratelli Mazzei per 250 ducati.17

Da atti matrimoniali del 1749 sembra che i Perelli possedessero un monte di famiglia, utilizzato dagli eredi per l’anticipazione di denaro18.

Ma lo Stato di Laurino è situato in un’ area di transumanza come la valle del Calore,quindi ha un’economia prettamente pastorale. Questa peculiare caratteristica risulterà fondamentale nella dinamica degli eventi del 1799.

L’assetto sociale vede la presenza diffusa di famiglie di massari a Piaggine, uno dei casali dello stesso stato. Tale è la famiglia Tommasini, che segue le stesse evoluzioni sociali di tutte le famiglie armentizie delle comunità appenniniche. Da atti notarili del 1708, infatti, notiamo come la fratria dei Tommasini si sia sciolta, così come quella dei Morena, altra famiglia di medi massari. Dalla fratria dunque si passa ad una famiglia di tipo allargato: i Tommasini infatti erano quattro: Felice, che studiava in seminario, ebbe in assegnazione un discreto patrimonio sacro; Gennaro, 1’ unico sposato, ha ereditato la masseria e i beni fondiari; Gioacchino e Rosario convivono con il fratello19.

Dal testamento di Diego Morena del 1763 vediamo come lui e Carmine, il figlio sposato, vivono nella stessa casa palazziata. L’altro figlio, Matteo, forma famiglia a sé. Carmine, allineatosi alle direttive paterne20, eredita la casa palazziata, alcuni territori e la masseria, i pezzi migliori dell’ eredità21.

15 A SS, Protocolli notarili, Laurino, notaio D e Gregorio b. 547 a. 1760. 16 A SS, Protocolli notarili, Laurino, notaio D e Gregorio b. 547 a. 1763. 17 A SS, Protocolli notarili, Laurino, notaio D e Gregorio b. 547 a. 1763.

18 E ’ quanto em erge dalla transazione dotale del 22 Giugno 1749 dei beni di Elena

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