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E ’ del 19 Febbraio 191 (la rivoluzione in Francia era già scoppiata e si accingeva ad andare verso la fase più estrema), questo “banno” a favore dei Ferrara strappato alle autorità

UNA SAGA BORGHESE: I FERRARA DI S BIASE

S. B iase, Palazzo Ferrara, già degli Antonin

7 E ’ del 19 Febbraio 191 (la rivoluzione in Francia era già scoppiata e si accingeva ad andare verso la fase più estrema), questo “banno” a favore dei Ferrara strappato alle autorità

di Napoli. Costò caro ai Ferrara e sm entisce la tesi che la monarchia borbonica fosse populista. Da solo vale la pubblicazione del lavoro di Botti. “Banno Ordine e Comandamento, in nome della Gran Corte della Vicaria e del Gran Maestro Giustiziere, col quale si ordina e si comanda a tutte le persone di qualsivoglia stato o condizione, che dal giorno della pubblicazione del presente Banno in avanti, non ardiscano di passare dentro i territori che possiede d. Gerardo Ferrara, in unità col padre d. Crescenzo, così nello Stato di Novi, come nella baronia di Mandia e Catona, tanto di giorno che di notte, né a piedi, né a cavallo, né con carri, con carrette né ivi legnare, né rompere rami d ’alberi, fruttiferi ed infruttiferi, né svellere erbe, né farvi alcun danno, sotto pena di ducati 100. Se qualcuno si sentisse gravato dal presente Banno, com parisca in questa Gran Corte, altrimenti passato detto termine, si procederà in contum acia”. Era, grosso modo, un tentativo di recinzione, proprio in un momento estremamente delicato. Intorno a questo nodo si svolse tutta o quasi la lotta agraria del secolo seguente. E proprio fuori moda o inopportuno ricordare questi fatti?

relative posizioni dei di Stefano e degli Antonini non emergono dalle carte consultate. Per ora si è già fatto un notevole passo avanti. Speriamo in ulteriori ricerche. Una sorta di anticipatore rimpianto, come abbiamo fatto notare, si può cogliere nella bella prosa dell’autore dei “Discorsi sulla Lucania”, non a caso il barone di S. Biase Giuseppe Antonini.

“Di Napoleone vogliamo fare quattro parti”. Così dissero i contadini del Cilento. Certo furono aizzati e verbalmente ispirati dalla fazione borbonica. Non siamo però certi della manipolazione delle masse da parte dei faziosi borbonici. A nostro avviso Bonaparte era un pretesto. Anche senza l’arrivo dei francesi la violenza sarebbe sicuramente esplosa. Era nell’aria per lo meno da cinquanta anni. I francesi furono il detonatore. Fecero esplodere la scintilla ed alimentarono una fiamma più che latente. “Non si deve smacchiare, né ramare le querce, senza la presenza di detto Ferrara”. Siamo proprio sicuri che questa sia una storia morta e sepolta degna tutt’al più di cultori della materia? A leggerla con la dovuta attenzione si può adattare ad emergenze attuali. Certamente questa dichiarazione fu una manifestazione di coraggio, da parte di una borghesia/patriziato in ascesa. È però anche una sfida disperata e, riteniamo noi perdente, ad una società allora priva di alternative. La risposta violenta era più che naturale. Non va tuttavia dimenticata una considerazione. La violenza era il minimo comune denominatore di tutta un’ “Europa non ancora ammansita”, “domesticated”, dicono con la solita chiarezza gli inglesi, dalla speranza del posto fisso o della pensione di invalidità, falsa o vera che sia, da affiancare all’orto e al campiello. Allora, come mi diceva un attento erede dei Ferrara, mi riferisco al vivace Rodolfo, uno degli attuali proprietari successivi al ramo principale, ai contadini non restava che la montagna. Lì potevano andare a coltivare. Era però lontana la montagna. Solo per arrivarvi al campicello, col somaro, col mulo, quando c’erano, erano necessarie ore. Anche l’estensore di queste note può testimoniare e confermare l’amara verità di queste considerazione.

Questa salutare, si fa per dire, passeggiata era in atto ancora, in quasi tutte le campagne meridionali sul finire degli anni cinquanta del Novecento, ed oltre. È davvero finita? Chi ha sostituito questi contadini? La terra migliore e più prossima al paese l’avevano in genere “i latifondisti”. “Latifondo”. Su questo termine bisogna intenderci. Era tale rispetto al moggio, allo stoppello, spesso alle poche “rasole”, possedute, il più delle volte neanche a titolo di proprietà piena dai contadini. Il più delle volte una forma ambigua ed incerta, fonte di infiniti malintesi e furbizie da parte dei contendenti, di enfiteusi da pagare, per il momento (il peggio venne dopo), al clero ed ai signori. Queste incerte forme di possesso furono alla base di tanti acquisti, portati in porto dai Ferrara ed affini. Per citare un caso da me studiato, dai Pinto di Pisciotta. Molti acquisti, quasi sempre minuscoli appezzamenti, furono fatti in base ad alienazione di persone “astrette da necessità”. Il vivace Rodolfo successo, con fratelli e sorelle, proprio al ramo principale dei Ferrara nella proprietà del palazzo avito, ha colto bene il problema

nella sua aspra serietà. Rodolfo conosce i sentieri della montagna; buon cacciatore, ha abbattuto cinghiali forse un po’ più ferini dei “porcastri” gettati oggi nella macchia ed uccisi con ogni mezzo, di preferenza non rumoroso, dai bracconieri. Con buona pace del Parco e della sua burocrazia, arroccati negli uffici. Date le condizioni, cosa potrebbero fare altrimenti? “Quieta non movere”. “E la nave va”.

E poi tanto diversa l’Italia di oggi dall’Affrica (sic!) trovata dai padri della patria e poi ammansita a colpi di stato d’assedio, emigrazione e... soprattutto acquiescenza agli abusi? Allora alla devastazione ed alla appropriazione del demanio. Da parte di tutti. Ciò è vero al sud, al centro ed anche al nord del Bel Paese. Si, anche al nord. Chi non crede legga il solido lavoro del Berengo sulla società veneta. In mancanza, ci si può rifare col vecchio “Mulino del Po”, del Bacchelli. Quanti lo hanno mai letto? Per i più pigri, “Il Diavolo a Pontelungo” dello stesso autore. In mancanza, certi agili racconti di Rigoni Stem. Non sono, come si vede , vecchi termini di una ormai superata Questione Meridionale. Rodolfo ha camminato, un po’ dietro ai cinghiali, un po’ per guadagnare il suo posto al sole. Si è spinto fino alla remota, difficilmente identificabile sulle carte, Pruno di Piaggine. E un’ “enclave”, abbastanza vasta, del comune di Piaggine , il padre di tutti i pastori, ed anche di tutti i briganti, in territorio di altri comuni. Ancora dopo la seconda guerra mondiale, vi si arrivava, a piedi, da Rofrano, passando per un altra Pruno, quella di Laurino. Questa, da antico casino di caccia degli Spinelli, ultimi duchi di Laurino, era diventata una specie di piccolo, domestico, dimenticato “far west”. “I cacciatene”, contadini senza terra di Laurino e di altri paesi, vi erano anivati di recente. Appunto, erano gli ultimi disboscatori, “défricheurs”, successi probabilmente, anzi con certezza in base ad una recente ricerca ancora in atto, ad una o più generazioni precedenti. Era stato prima della trasformazione in pista di lancio, per l’America, nel secondo dopoguerra per la Germania ed il nord Italia.

“Mio nonno mi raccontava: Qui una volta c’erano ‘capri’”. Vuol dire capre selvatiche, caprioli? Non sappiamo. “Capri”, così li definisce il Giustiniani. Così, a distanza di due secoli, Giovanni Campaniello, un mio indimenticabile amico. Pastore di vecchio stampo, sulla montagna ci visse quasi fino alla morte. Non si sposò mai. Potrebbe ricordare una figura descritta dal migliore Croce in uno dei saggi posti alla fine della sua “Storia del Regno di Napoli ’. C’è una differenza di non poco conto. Il mio amico pastore era, a modo suo, un uomo libero. Il pastore descritto e ricordato da Benedetto Croce era un gregario, forse un servo pastore, ruolo al quale la degenerazione della pastorizia abruzzese in grande armentizia pre-capitalistica lo aveva ridotto. Non è una differenza da poco. Rodolfo Ferrara, col racconto dei suoi pellegrinaggi di maestro di campagna, mi aiuta a ricostruire questa storia, non sempre a lieto fine, su cui vorrei tornare. Nel frattempo mi ha forse permesso di penetrare un po’ più all’interno nella storia di S. Biase e del ramo principale dei Ferrara.

Domenico D i Ruocco

LA MADONNA DEL SACRO MONTE

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