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UNO SGUARDO SU LIMA NEL XVI SECOLO

IL GRANDE SANTO PROTETTORE DI CANNALONGA: TORIBIO MOGROVEJO

UNO SGUARDO SU LIMA NEL XVI SECOLO

Egli è il primo arcivescovo ad essere trasferito dalla Spagna a Lima. Lima è la Città dei Re -- questo il suo nome di battesimo - perché venne fondata da Pizarro il giorno dell’Epifania. La sovrasta la brulla collina di San Cristóbal con la croce di Pizarro. Un fiume attraversa la valle nella quale il capitano dell’Estremadura, nel 1535, fondò la città che, per contrazione del nome inca, Rimac (in lingua quechua, “luogo dove si abita”), si trasformò in Lima.

Nel secolo XVI dava l’impressione di essere un’altra Madrid, “popolata com’era di moltissimi uomini e donne “, come ebbe a dire il viceré Mendoza. Come cervello e cuore dell’America, ebbe sempre un’aureola privilegiata ed imperiale nel suo più profondo significato. Tutto il Perù era il centro di giurisdizione e influsso religioso, politico e culturale dell’America meridionale e gran parte della centrale.

Il vastissimo vicereame comprendeva due vicereami, quello del Perù nel sud e quello del Messico nel nord. In quel secolo il Perù si trovava nel suo momento migliore, consolidato e organizzato dopo la conquista di Pizarro e la pacificazione attuata dal governatore La Gasca. Nel campo civile poteva dirsi già attuato il processo di organizzazione ad opera del viceré Toledo (1570-1581 ); nel campo religioso, però, lo conseguirà solo dopo l’arrivo del nostro arcivescovo.

Nel campo politico era la sede del vicereame, la residenza del viceré, del luogotenente e del magistrato di più alto grado, con piena giurisdizione sulle tre Cancellerie esistenti: Lima, Quito e Charcas. La Reale Cancelleria o Tribunale Civile, presieduto dal viceré, era composto da quindici dottori in legge divisi in

uditori, giudici criminali e due magistrati fiscali. In assenza del viceré presiedeva il Tribunale il magistrato di maggior rango, stando a capo di tutte le altre cariche.Questo Tribunale, organo del Patronato Regio, era importante perché in esso venivano esaminate le cause di competenza di ambo i poteri, previa consultazione col viceré. Come suo dipartimento, il Tribunale Maggiore dei Conti, ossia quello della Cassa delle Finanze Reali, per le cui mani passava tutto l’oro e l’argento delle grandi miniere peruviane e un Consolato per il commercio In quanto alla municipalità, c’era un governatore con un Tribunale civile e dodici consiglieri. Il nostro arcivescovo, purtroppo, si sarebbe scontrato con tutti i poteri civili ed ecclesiastici e perfino con lo stesso re.

Nel campo accademico e culturale, Lima non aveva nulla da invidiare alle Università spagnole. L’Università di San Marco, costruita grazie all’opera del viceré Toledo, comprendeva le Facoltà di Diritto Canonico, Legge, Teologia ed Arte e, in più, una cattedra di Lingua Indigena, creata nello stesso anno in cui arrivò il nostro Toribio. Durante il suo arcivescovato vennero edificati due Collegi Maggiori, l’Ecclesiastico o Seminario e il Collegio Reale di San Filippo ed inoltre il Collegio Maggiore e Minore di San Martino, retto dai Gesuiti.

Nel campo sociale, Lima era profumata dai vicereami; aveva una fisionomia di città cortigiana, molto all’europea, sprigionante un aroma cerimonioso e galante. In essa gli spagnoli avevano creato una nuova Madrid, con una popolazione di ispanici e creoli, due villaggi adiacenti di indios e un gran numero di negri (calcolati sugli 8.000 ) importati dall’Africa per sostituire la mano d’opera indigena scarseggiante per la terribile moria di vaiolo del 1530, sia nelle

“encomiendas”5, sia nelle miniere d’oro e d’argento o nel servizio domestico per il

prestigio dei loro padroni. C’era molta vita cristiana, ma anche mondana, fra credente, frivola e missionaria, essendo là confluite tutte le correnti dell’immigrazione.

Nel campo religioso, con due parrocchie, cinque conventi ospitanti più di quattrocento religiosi fra scolari, sacerdoti, laici secolari, tre conventi di suore con quattrocento religiose, sei ospedali di indios e spagnoli e le molte congreghe esistenti di spagnoli, indigeni e meticci, dava la sensazione di essere una città piena di fervore apostolico. E questo, in effetti, apparentemente, solo

5 La “encomienda”, era una vecchia istituzione di carattere feudale. Venne stabilita attribuendo una comunità di indios ad uno spagnolo (benemerito) il quale, in cambio dei servizi da essi prestati, aveva l ’obbligo di proteggerli. A poco a poco, però, i beneficiari (encomenderos), incominciarono a sfruttare i loro indios facendosi dare un tributo in danaro o in alimenti e mano d ’opera o in lavoro (costruzione di case, coltivazione della terra, lavori nelle miniere ecc.) e in cambio si offrivano di proteggerli e d ’istruirli nella religione cattolica per m ezzo loro o per m ezzo di una persona secolare o ecclesiastica (doctrinero) a loro spese. La “encom ienda” era una concessione non ereditabile. Rimanendo vacante (senza possessore), ritornava al monarca, che poteva tenere g l’indigeni sotto amministrazione reale o passarli ad un altro encomendero.

apparentemente, era. Per il resto, Lima era la capitale di una diocesi assolutamente normale, in senso canonico, col suo Capitolo ecclesiastico, composto da uomini che occupavano le cattedre dell’Università di San Marco, fonte dei primi alti prelati e cava dei primi vescovi nativi, eletti per le diocesi dei suoi dintorni. Solo nel 1546 era stata eretta a sede di arcivescovato con lo stesso fra Jerónimo de Loaysa, domenicano e nello stesso anno il principe don Filippo gli aveva comunicato solennemente che il papa aveva eletto a metropolitana la sede limense con le suffraganee Cuzco, Quito, Panama, Nicaragua e Popayàn.

Il primo arcivescovo, fra’ Jeronimo de Loaysa era morto nel 1575 e in quegli anni tanto il re Filippo II quanto il Consiglio delle Indie avevano ricevuto continue sollecitudini dai viceré e dai governatori affinché mandassero nelle Indie vescovi giovani, con forte abnegazione e impegno missionario poiché il governo ecclesiastico di quelle regioni, appena organizzate, richiedeva uomini di forte tempra ed energia.

Questa la città e la sede limense che sta per occupare il nostro santo arcivescovo; sede recentemente distaccata da Cuzco, che era la città santa degli Inca a tutti gli effetti. Nella lingua quechua (indigena), Cuzco significava ombelico perché era il centro del Tahuantisuyu (La Terra dei Quattro Cantoni), che è il nome primitivo dell’Impero degli Inca, quella gloriosa stirpe che si considerava figlia del Sole. Essa apparve magnifica agli sbalorditi primi conquistatori con i palazzi così alti da toccare le nuvole, arricchiti con oro e gemme preziose; con le ampie strade lastricate e gli ombreggiati viali punteggiati da fontane zampillanti e, dovunque, i simulacri consacrati alla divinità solare, il dio Inti. Ora, nel 1500, le gigantesche pietre, le misteriose torri trapezoidali, il terribile dragone rintagliato in un’ametista e le vicine rovine di Machu Pichu, “La montagna vecchia”, erano le uniche testimonianze del passato.

E’ bene che il nostro santo conosca il terreno che sta per calpestare perché in esso sono le radici della Chiesa limense. Esso è immenso e porterà a dura prova la sua tempra missionaria in una topografìa fatta per i condor, o, come affermerà padre Acosta, il grande teologo e canonista gesuita, “ con cammini più per camosci e capre che per uomini “estendendosi per milletrecento chilometri di lunghezza, dall’attuale dipartimento di Ica , a sud di Lima, fino alla frontiera con l’Ecuador, nei dipartimenti di Lambayeque, Trujillo, Loreto e Amazonas a nord, estendendosi ad oriente fino a Moybamba e alla frontiera col Brasile.

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