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ALLE ORIGINI DI UNA SAGA BORGHESE I “FONDATORI” DON GIUSEPPE FERRARA ED I SUOI DISCENDENTI (1704-1798)

La presente ricerca traccia la storia della famiglia Ferrara di S. Biase. Un lavoro inedito, che ho avuto la fortuna di portare a termine. Il materiale si trova presso il palazzo Ferrara (ex palazzo Antonini) in S. Biase, mi è stato messo a disposizione dai successori di questa famiglia borghese. E un materiale molto vario, costituito da: testamenti, contratti di compravendita, “istrumenti”, crediti, capitoli matrimoniali, ecc. I documenti analizzati partono dai primi del XVIII secolo fino al periodo post-unitario. E una vera “saga borghese”, è la storia di una famiglia appartenente a questo ceto, che grazie alla guida di alcuni personaggi, porta avanti la sua scalata sociale.

I primi atti vedono protagonista il reverendo di S. Biase, d. Giuseppe Ferrara, figura forte, grazie, anche ad alcuni crediti accresce le proprietà dei Ferrara. Parroco di S. Biase è lui a tenere in mano, per il momento le redini della famiglia. Per messe non pagate, che ammontano ad . 12, riesce ad ottenere una vigna, detta Vigna dell’Abate. Tiene a censo enfìteutico alcuni fondi della Badia di Pattano, quasi tutti alberati di querce. Per denaro dato in prestito, in questo caso, ad un altro appartenete al ceto borghese, Ludovico Passarelli, di Vallo, riceve in cambio le rendite di una casa e di un giardino ad essa contiguo.

Alla sua morte trasmette al fratello Gioacchino il diritto di nominare il cappellano del beneficiato laicale e gentilizio della venerabile Cappella di S. Nicola, eretta dentro la Chiesa Parrocchiale di S. Biase. Il testimone passa al nipote Crescenzo ed al padre Gioacchino. Sono loro ad acquistare un giardino dal barone di S. Biase, Giovanni Battista di Stefano. Lo stesso Crescenzo incomincia ad attaccare i diritti-proibitivi, riuscendo ad ottenere il beneplacito del barone Antonini, per la costruzione di un “trappeto” dentro la sua casa, con il diritto di poter macinare le olive dei forestieri, se il barone non volesse o non potesse farle macinare nel suo “trappeto”. Verso la fine del XVIII secolo, il protagonista principale è il notaio Gerardo, figlio di Crescenzo. Da un documento di questi anni emergono, per la prima volta, notizie sul patrimonio zootecnico dei Ferrara. Sono loro infatti a stipulare un contratto con un certo Francesco Tafura, per far scannare alcuni maiali. Il padre Crescenzo, nomina come beneficiato della cappella di S. Nicola, il figlio Leonardo, sacerdote.

Verso la fine del 1700, i Ferrara suddetti sono i beneficiari di un “banno”, in cui si stabilisce che “nessuno ardisca di passare dentro i territori che possiede d.

Gerardo”. Si estendono, dallo Stato di Novi, fino alla baronia di Mandia e Catona.

così manifestano la forza sociale raggiunta. La gestione meticolosa del patrimonio si evince dal testamento di Crescenzo, in cui vieta qualsiasi alienazione dei suoi fondi, e l’obbligo della coabitazione, esteso a tutti i membri della famiglia, maschi e femmine .

Nel 1794, d. Leonardo Ferrara, sacerdote, figlio di Crescenzo, acquista insieme al Duca di Cannalonga, Giovanni Mongroveio, il feudo di S. Biase, dopo alterne vicende, strappandolo a d. Celestino di Mattia di Vallo, che lo aveva acquistato dai baroni di Stefano senza il consenso del marchese Giuseppe Zattara. S. Biase agli inizi del 1700 è un suffeudo dello Stato di Novi, in possesso dei Baroni di Stefano, poi passato con vicenda confusa agli Antonini di Cuccaro, che infine lo cedettero definitivamente. In questi anni è proprio Leonardo ad aumentare il patrimonio Ferrara, con altri acquisti. Approfittando dell’editto del 6 Marzo 1798, affranca i canoni ed i censi enfìteutici sul alcuni fondi da lui posseduti, che appartengono al Ducal Monastero di S. Giorgio di Novi. La maggior parte dei fondi acquistati o dati in fitto, in questo periodo ,si trovano in S. Biase. Agli inizi del 1800, Leonardo Ferrara, insieme col duca Giovanni Mongroveio, chiude la disputa con Celestino di Mattia, e riesce ad ottenere definitivamente il feudo di S. Biase. La somma concordata ammonta a d. 5500, ma solo d. 2100, sono pagati dal Ferrara. Il prezzo è consistente, infatti Leonardo Ferrara, si fa “improntare” la somma di d.800 dai signori Mainenti di Vallo ed altri d.800 dal figlio del marchese, Giacomino Zattara.

Durante il governo francese, Leonardo ed il nipote Giuseppe, sono accusati di essere sostenitori dei Borbone e di aver promosso la rivoluzione in S. Biase, al grido “di Buonaparte vogliamo fam e quattro parti”. Molti sono i fondi che Leonardo cede a censo enfìteutico, come compratore di alcuni canoni e fondi del soppresso Monastero della S.S. Trinità di Cava. I Ferrara, sono in prima linea nell’assalto al patrimonio ecclesiastico. Di questi anni è il primo contratto a colonia “parzionalia”, tra Leonardo Ferrara e Felice e Biagio Gatto, un contratto meticoloso, l’attenzione si pone sul patrimonio forestale dei Ferrara: “non si deve

smacchiare ne ramare le querce , senza la presenza del detto Ferrara”. Dagli

stessi documenti si evince una realtà di un piccolo paese del Cilento, con una forte presenza del ceto bracciantile, con poche famiglie facoltose. Nel 1815 il sacerdote Leonardo Ferrara viene accusato di falsificare i libri battesimali, ma il tutto si chiude con un nulla di fatto, infatti si ordina di desistere dal “procedimento in

detta Corte”. Il nipote Giuseppe Ferrara continua l’assalto al patrimonio

ecclesiastico, prendendo in fìtto i fondi della “Grancia” di Stio. Molte sono le citazioni in giudizio, per canoni dovuti ai Ferrara, come compratori del soppresso Monastero della S.S. Trinità di Cava. Ma il fattore politico come sempre è preminente in questi anni. Eccoci in presenza di una supplica avanzata di fatto da Giuseppe Ferrara al Re, per un compenso a causa dei danni subiti dai briganti. Il 6 Aprile del 1808 la casa dei Ferrara era stata presa d’assalto dai briganti, i quali uccisero due sue zie, e seviziarono il parroco, suo zio Leonardo, rilasciandolo

dietro il pagamento di una forte somma di denaro, d. 780. Sicuramente i Ferrara pagano il conto per essersi schierati dall’altra parte. Un loro fratello, Beniamino che era ufficiale delle Guardie d’Onore, muore in seguito a Mosca .

Si concludono tra il 1812 ed il 1813, i contratti matrimoniali, riguardanti le quattro figlie del notaio Gerardo Ferrara. Franca Ferrara diventa moglie di Giuseppe Pascale di S. Mauro; Laura in seguito di Antonio Martusciello di Pisciotta, di condizione civile; Raffaella sposa Domenico Fasano, di Ceraso; Gabriella è moglie di Felice Caputo di Poderia. Del 1821 è una supplica al barone di S. Biase Leonardo Ferrara. Negli anni che vanno dal 1815 al 1828, assistiamo ad una serie di cause, per il possesso di alcuni fondi. Del 1822 è testamento di Leonardo Ferrara, in cui cede al nipote sacerdote Crescenzo, figlio del fratello Gerardo, l’usufrutto della terza parte di tutti i fondi e trasmette il titolo di barone al nipote Corradino, figlio di Gerardo. Ma dal documento si cominciano ad evidenziare i primi screzi col nipote Giuseppe. Questi nel corso* degli anni in cui ha amministrato il patrimonio, “si g io c ò e con su m ò in v iz i tutto il denaro, e m o ltissim o p e r le sue rila ssa te zze , m e ne f e c e sp e n d e re p e r la sua lib e r a z io n e”. E

proprio Leonardo Ferrara, l’autore di alcuni libretti in cui annota i suoi acquisti, la maggior parte dei quali riguarda fondi e casamenti siti in S. Biase e Massascusa. Il possesso di alcuni fondi nasce da crediti, da denaro dato in mutuo, con una ipoteca sui beni dei debitori, per lo più appartenenti al ceto bracciantile.

Nel 1819 si aprono le dispute tra i Ferrara per la divisione del patrimonio, che viene frazionato in cinque parti, tra i figli maschi di Gerardo. Forti sono le accuse lanciate dai fratelli contro Giuseppe Ferrara, reo di aver “e s c o g ita to sem pre più co se d i nuova in v e n zio n e”, per la divisione dei beni della famiglia. “Esso fu a rre sta to p e r a v e r p r o c la m a to la rivo lu zio n e d e l 1 8 2 8 ”, e per liberarlo consumarono “p iù m ig lia ia d i anim ali, m o b ili”.

Durante gli anni che vanno dal 1828 al 1848, da un documento datato 1839, Corradino Ferrara, stipula un contratto di fìtto con Giovanni Carbone, possidente di Roccagloriosa: i fondi dei Ferrara si sono estesi al di là del loro circondario. Siamo in presenza dell’unico contratto di fìtto , meticolosissimo, che tocca tutti i punti, e si vieta persino di sublocare il fondo ad eccezione dei germani Vito e Nicola Balbi. Molti sono gli affìtti fatti da Corradino Ferrara: è proprio lui a prendere in fìtto un fondo detto Metoio “p e r uso d i p a s c o lo ”, per poi subaffittare

alcune sue difese. In seguito le proprietà dei Ferrara si estendono verso Camerata: Corradino prende in fitto i fondi del marchese di Camerota Orazio Marchese.

Sul finire del 1848, il protagonista principale è Cristoforo Ferrara, avvocato. Si stacca dalla famiglia e va a vivere a Salerno. Il tutto risulta da una supplica al Direttore Generale del Ministero di Guerra e Marina, in cui dichiara di non aver denaro per il mantenimento del cavallo e quindi non può far parte delle Guardie d’Onore. I Ferrara, come da un documento del 1858, sono proprietari della metà di un “trappeto”. Ma è sempre Cristoforo Ferrara ad essere il soggetto principale di quasi tutti i documenti. Il fratello Leonardo, dottor fìsico, gli spedisce una lettera

in cui lo informa dei movimenti di Garibaldi. Il fattore politico è preminente in questi anni. Infatti lo zio Giuseppe, appare come un liberale: dopo aver promosso la rivoluzione del 1828, nel 1848 è all’assalto di Castellabate, con l’intento, portato a termine, di dare alla fiamme tutti i documenti ed i registri della Cancelleria del Regio Giudicato. Accusato di cospirazione ed attentato alla sicurezza, viene arrestato e mandato nell’isola di Ventotene, dove muore nel 1854.

Sono anni di fermento politico-sociale, ed ovviamente i Ferrara sono coinvolti, con una tradizione di famiglia ormai consolidata. Nel 1848, il 10 Agosto, verso le ore 16,oo Corradino Ferrara mentre rientrava da Vallo, fu ucciso sul ponte di Massa. Il perché non è chiaro e nemmeno è chiaro chi sia stato. I Ferrara accusano i fratelli Adriano, Giovanni e Luigi Reale, di S. Biase, che vengono rubricati, arrestati ed assicurati alla giustizia. I Reale, “uom ini infami “, secondo i

Ferrara hanno la protezione di alcuni prepotenti signori: gli Stasi, Ferolla e Fusco,

“uomini n oti e fa m o s is s im i p e r i lo ro intrighi, n em ici d e i F errara ”, autori di altri

delitti, parenti dei Reale. Ma dai documenti relativi all’omicidio di Corradino, emergono forse le cause, quelle principali. Due figli di Corradino, Leonardo e Crescenzo, sono imputati di omicidio premeditato, di atti di pubblica violenza contro gli agenti della forza pubblica, nella persona di Maurantonio Reale, proprio il padre dei Reale accusati dell’assassinio di Corradino Ferrara. Ma non è tutto: un altro processo riportato dal documento riguarda il sospetto che i Ferrara, difendendo l’innocenza di alcuni individui, rubricati nel procedimento per l’aggressione al corpo di guardia, “a v e sse ro p o tu to a v e r m ano a qu ell'avven im en to”. La causa può essere anche di matrice prettamente politica: infatti i Reale, nel difendersi, accusano i Ferrara ed altri di far parte del Partito Anarchico, a loro avverso, di avere attaccato le loro possessioni, “recidendo e sforestando, co m m etten d o o g n i danno p o s s ib ile ”. Tutto ciò è vero, ma dalle ricerche condotte sul catasto provvisorio, sono emerse altre potenziali cause, di matrice più sociale che politica. Infatti tutti i fondi dei Reale riportati nel suddetto catasto, confinano con altri fondi dei Ferrara. Il tutto è dimostrato da un documento, in cui i Ferrara intentano causa contro i Reale ,per l’appropriazione indebita del fondo detto Pietrafiaccata, di proprietà dei Ferrara stessi: sono forse regolamenti di faide familiari che si trascinano da anni.

Durante il periodo post-unitario Cristoforo Ferrara , avvocato, viene eletto sindaco del comune di Ceraso (1863), e senatore del Regno d’Italia. Ma deve rispondere di quattro pesanti accuse, che si risolvono con la piena assoluzione. La prima è di danno volontario accompagnato da pubblica violenza , sui fondi di Nicola Mainenti, compiuto insieme ad a ltri, la maggior parte contadini, per la loro volontà di riacquistare gli usi civici aboliti sulle terre ex demaniali. Il nome di Cristoforo non risulta dalle testimonianze e si desiste dal procedere oltre. La seconda accusa è di omicidio di un certo Camillo Caputo, ucciso con la complicità di Cristoforo ed altri Ferrara, per il diritto di passaggio sul fondo detto Papjanni. Ma “num erosi testim o n i sm en tiva n o le vo lu te in im ic iz ie ”. L’accusa più grave è

senz’altro l’ultima, in cui il Ferrara suddetto, è colpevole di aver partecipato ai moti del 1848, diventando membro del Comitato d’Ordine in Vallo, insieme ad altre persone illustri, seguendo le direttive del rivoluzionario Pasquale Lamberti, per conto del colonnello Carducci. Il tutto si concluse con l’innocenza del Ferrara, uomo di “condotta regolare, e sebbene nel 1848 avesse dato a vedere di nutrire

sentimenti liberali, non cadde in eccedenza alcuna e si mostrò attaccato al buon ordine”.

Questi sono gli ultimi documenti finora schedati. Registrano un momento della storia di questa famiglia. Un famiglia borghese, protagonista di una scalata sociale, di vicende alterne, che ha resistito al passare degli eventi, vivendo i vari periodi storici, con vittorie ma anche con inevitabili perdite, economiche, politiche ed umane.

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