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Cfr anche P EBNER, Chiesa Baroni e Popolo nel Cilento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1982, pag 34 e segg

LA MADONNA DEL SACRO MONTE TRA MODERNITÀ’ E TRADIZIONE

7 Cfr anche P EBNER, Chiesa Baroni e Popolo nel Cilento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1982, pag 34 e segg

ancora in carrozzella. Una famiglia, dunque, che, per la circostanza, riscopriva la sua struttura patriarcale e al patriarca affidava il compito di intercedere presso la Madonna: almeno tre generazioni accomunate, nell’occasione, da uno stessa dimensione spirituale.

I due fatti, diversi e distinti, assumevano casualmente il valore di un incontro e di una testimonianza: la compresenza, in uno stesso luogo e in uno stesso tempo, di un lontano passato e di un presumibile lontano futuro, rappresentati dal bordone di antica memoria e dal bimbo in carrozzella. Questo ideale accostamento è stato un pungolo ad andare oltre la dimensione religiosa, a guardare al fenomeno anche da un punto di vista culturale e sociale, sapendo, però, che un nuovo punto di vista non cancella mai il precedente, semmai lo trattiene e lo integra. La prima considerazione, se si vuole anche ovvia, è che c’è qualcosa della natura umana che trascende il tempo e lo spazio e che merita di essere considerato come valore in sé. E ciò a maggior ragione oggi, in un tempo, cioè, di forte accelerazione storica, che oscilla tra nazionalismi e globalizzazione, che crea e distrugge sotto la spinta di una frenetica attesa di futuro, ma è incapace di individuare un fondamento intorno al quale costruire un sistema di rapporti umani credibile e duraturo. Intanto una prima riflessione: il culto per la Madonna ne racchiude, simbolicamente, almeno un altro, quello per la mamma, un culto universale, senza tempo, ma particolarmente sentito nel Cilento, dove il secolare rapporto donna/bambino è visto come un binomio inscindibile, che esclude la stessa figura patema9, la quale invece rimane nell’ombra. Associato ad esso si può cogliere, poi, un bisogno di protezione dai mali del mondo e, implicitamente, un bisogno di conforto e di speranza, che sono bisogni dell’uomo tout court. Ciò ci induce a riconsiderare la dimensione del tempo, a superare lo schema passato-presente-futuro alla luce di una nuova concezione del presente. Il presente, dice Octavio Paz, “è l’oggi e il più antico passato, è il domani e l’inizio del mondo, ha mille anni e sta per nascere”10, non una fase, dunque, tra un passato che non esiste più e un futuro che deve ancora nascere. Se, poi, consideriamo che poche ore di volo ci consentono di raggiungere ogni luogo della terra, che in pochi istanti tutti i suoi abitanti possono essere sollecitati a pensare o a emozionarsi allo stesso modo, salta anche lo schema vicino-lontano e il concetto di spazio acquista un nuovo significato11.

9 E. A. DEL MERCATO, L ’immaginario non urbano: il caso Cilento, Edizioni d ell’Alento, Laureana Cilento, 1990, pagg. 40/41.

10 M. CALLARI GALLI, Antropologia p er insegnare, teorie e pratiche d ell’analisi culturale, Bruno Mondatori ed., Milano, 2000, pag.17.

n In una intervista apparsa su Le Monde (21 marzo 1992), Paul V irilio così dichiarava: ”A partire dal momento in cui il mondo è ridotto a niente quanto a estensione e durata, quanto a campo di azione, reciprocamente niente può essere il mondo; cioè io, qui, nel mio rifugio, nel mio ghetto, nel mio appartamento, io posso essere il mondo; per dirla altrimenti, il mondo è dappertutto ma da nessuna p a r te ”', M. CALLARI GALLI,

Questa accezione del tempo e dello spazio ci consente di cogliere nel culto per la Madonna aspetti poco evidenziati o di considerarli anche da un punto di vista antropologico. Ne indichiamo due tra quelli che sono emersi in modo univoco dalla lettura delle fonti e che riguardano le origini stesse del culto: le migrazioni degli antichi popoli e la commistione dei riti. Tutte le fonti, infatti, concordano nel supporre che siano state popolazioni orientali (greche o micenee), emigrate sulle coste dellTtalia Meridionale nel periodo delle colonizzazioni12 o dopo la diaspora dall’Oriente del 726 d.C., a inventarsi la sommità del Gelbison come spazio sacro e successivamente a consacrarlo al culto della Madonna, a un culto, cioè, prettamente cristiano. Sappiamo che popolazioni di lingua greca esistevano nel Mezzogiorno ancora nel XIII secolo13. Sappiamo anche della tormentata storia dei rapporti tra Paganesimo e Cristianesimo fino all’editto di Costantino e della commistione tra riti pagani e riti cristiani nel Mezzogiorno14: durante i primi secoli dell’impero nelle poleis greche meridionali il Vangelo, ad esempio, veniva predicato in greco e solo per l’intervento del papa Vittore I (186-198) venne poi gradualmente assorbito dal latino; i vescovi, per non alimentare contrasti, si avvalevano dei loro margini di autonomia per far convivere mentalità e abitudini pagane con valori e mentalità cristiane; ancora nel IV secolo d.C. i cristiani presenti a Paestum, a Velia e nel Bussento svolgevano le loro riunioni presso il tempio di Athena, cosiddetto di Cerere. Per Giustino, apologista greco del II secolo, del resto, il Cristianesimo altro non è che completamento, inveramento del pensiero pagano15. E ancora nel IV secolo d.C. Flavio Claudio Giuliano, pur riconoscendo la libertà di culto universale, tenterà nuovamente una sfortunata restaurazione della religione pagana16. Ciò che si vuole evidenziare con queste osservazioni è che oggi noi professiamo un culto alle cui origini c’è una storia di migrazione di popoli, che non sono altro da noi, ma un noi vissuto in epoca più lontana, quando le migrazioni costituivano il vero motore della storia e il cosmopolitismo un modo di vivere nel mondo conosciuto, non un’elaborazione culturale. I riti che noi celebriamo come cristiani, conservano molto dei riti di un tempo e l’accostamento a quelli pagani di Demetra e Cerere fatto dagli studiosi, è la testimonianza che ci troviamo, se non altro, di fronte a una sorta di sincretismo tra religioni diverse. Tutto questo non sminuisce il valore del culto che professiamo, semmai lo accresce e lo arricchisce.

12 G. FILORAMO (a cura di), Storia delle Religioni, voi. 8°, G. Laterza, Torino, 2005, pag. 324.

13 P. EBNER, cit., pag. 16. 14 Idem, pagg. 16/17.

15G. FILORAMO (a cura di ), cit., voi. 4°, G. Laterza, Torino, 2005, pag. 4 L 16 G. FILORAMO (a cura di ), cit., voi. 8°, G. Laterza, Torino, 2005, pag. 394.

L’estensione di questo metodo di indagine ad altri aspetti della civiltà, ci spinge a riflettere sul fatto che le culture che noi oggi consideriamo nazionali e per le quali ci arrocchiamo a difesa di una loro fantomatica identità, altro non sono che il prodotto dell’incontro tra persone e popoli provenienti da territori diversi, un punto di coagulo di abitudini, conoscenze e stili di vita come si sono venuti modificando o rinnovando sotto la spinta di un flusso continuo di informazioni di varia provenienza, una volta legato solo al lento nomadismo dei popoli, oggi, in tempo reale, ai moderni mezzi di comunicazione. Un punto di coagulo che è, contemporaneamente, un punto di arrivo e di partenza per nuovi equilibri, sociali e culturali. Che lo si auspichi o no, le “società aperte” sono tali solo perché permeabili, sensibili alle altre culture, per empatia prima che per necessità. Il rischio, semmai, è quello degli ibridismi improduttivi, degli sterili, generici valori di solidarietà e tolleranza. Si sostiene, oggi, che la cultura moderna oscilla tra l’entusiasmo per due feticci opposti: quello della globalizzazione con annesso rischio di una pericolosa omologazione, e quello del pluralismo con annesso rischio di esasperazione dei concetti di identità, forieri di nuovi localismi e integralismi. E’ possibile uscire da questa contraddizione? Si, se l’analisi degli “altri” incomincia dall’analisi di noi stessi, se saremo capaci di leggere il vissuto con mente sgombra da pregiudizi, se sapremo com-prendere le differenze, se, per concludere, le riflessioni sulla contemporaneità e la didattica dei processi storici sapranno aprirsi al contributo delle scienze antropologiche

Bibliografia essenziale

M. CALLARI GALLI, Antropologia p er insegnare, teorie e pratiche d e ll’analisi culturale, Bruno Mondadori ed., M ilano, 2000;

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