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Gli anni ’90: il Comitato Nazionale per la Bioetica e la legge 578/

V. 2 1960-1970: due importanti novità

V.4. Gli anni ’90: il Comitato Nazionale per la Bioetica e la legge 578/

103 Ivi, art. 13.

104 Decreto del Presidente della Repubblica del 16 giugno 1977, n. 409, Regolamento di esecuzione della Legge

644/1975, art. 13.

105 Legge 644/1975, art. 18. 106 Ivi, artt. 19, 20.

107 Ivi, art. 6.

Negli anni ’90 vennero promulgate altre importanti leggi, tuttora in vigore, riguardanti sia i criteri e le modalità di accertamento della morte, sia la disciplina delle attività legate ai trapianti. Tutte queste leggi vennero in qualche modo influenzate dal parere del neonato Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), esposto in un documento del 1991. L’obiettivo principale del CNB era di fare chiarezza intorno al criterio neurologico di morte e ai trapianti d’organo, intorno ai quali si era sviluppata “una cultura non sempre congrua”109.

Sotto l’influsso del documento emanato dalla President’s Commission nel 1981 il CNB presentò una definizione di morte, la quale veniva identificata con “la perdita totale e irreversibile della capacità dell’organismo di mantenere la propria unità funzionale”110, che

avveniva con la perdita irreversibile delle funzioni dell’encefalo. A questa definizione, secondo il Comitato, si era arrivati grazie ai progressi della scienza nel campo della rianimazione cardiopolmonare, i quali avevano consentito l’introduzione di nuovi criteri di accertamento della morte. Tali criteri, però, non avevano modificato l’evento della morte, bensì avevano contribuito al miglioramento della capacità di “riconoscerne con certezza il momento”111.

Sulla base di ciò, il CNB invitava il legislatore a regolare i criteri medici relativi all’accertamento di morte, individuando quelli idonei ai pazienti in età pediatrica e neonatale: l’immaturità del substrato anatomo-funzionale di questi soggetti e la sua diversa resistenza alla deprivazione di ossigeno, infatti, rendevano difficoltoso l’accertamento di morte con il criterio neurologico standard112.

Per quanto riguardava il trapianto degli organi, il Comitato sottolineava come esso costituisse un aspetto solamente “parziale” dell’impegno del medico nell’accertamento della morte, il quale doveva essere effettuato indipendentemente dalla destinazione futura degli organi del cadavere. Il nuovo criterio di accertamento di morte andava usato, secondo il CNB, non in riferimento alla possibilità di prelevare gli organi, bensì in tutti quei casi in cui era possibile attestare l’irreversibilità della perdita della capacità di integrazione dell’organismo113.

Queste indicazioni vennero ben presto integrate all’interno della normativa italiana. Prima di tutto, i criteri relativi all’accertamento di morte e la disciplina delle attività di trapianto vennero regolate da due leggi diverse, rispettivamente la legge 578 del 1993 e la legge 91 del 1999. Ciò significa, cioè, che le modalità di accertamento di morte furono rese

109 COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA (CNB), Definizione e accertamento della morte nell’Uomo,

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 1991, p. 9.

110 Ivi, p. 7. 111 Ivi, p. 14. 112 Ivi, pp. 18 e ss. 113 Ivi, p. 20.

indipendenti dalla pratica dei trapianti e che, quindi, a differenza della legge del 1975, non sarebbero più state applicate in base alla destinazione futura degli organi del cadavere.

La legge 578 del 1993 ha introdotto, per la prima volta nella storia della legislazione italiana, una definizione di morte, la quale viene identificata, in continuità con quanto indicato dal CNB, con la “cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello”114.

Sulla base di questa definizione, sono stati individuati i due criteri che possono essere usati per procedere all’accertamento della morte sia nel caso di pazienti potenziali donatori d’organi, sia per coloro che non lo sono. Il primo di questi criteri, quello cardiorespiratorio, permette di accertare la morte nei pazienti in cui la respirazione e la circolazione sono cessate per un periodo di tempo sufficiente a comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo115. L’accertamento di morte secondo il criterio cardiorespiratorio consiste nella

rilevazione continua dell’ECG per non meno di 20 minuti116.

Il secondo criterio, quello neurologico, permette l’accertamento di morte nei soggetti con lesioni encefaliche e sottoposti a rianimazione: in questi casi la morte si considera avvenuta nel momento in cui cessano irreversibilmente tutte le funzioni dell’encefalo117. L’accertamento di morte con criterio neurologico richiede la verifica, da parte di un collegio di tre medici, della contemporanea presenza di queste condizioni: assenza del riflesso corneale, fotomotore, oculocefalico, oculovestibolare, reazione a stimoli dolorifici nella zona del trigemino, riflesso carenale; assenza di respirazione spontanea; silenzio elettrico cerebrale, ovvero un’attività cerebrale elettrica di ampiezza inferiore ai 2 microvolt, misurata per almeno 30 minuti continuativi. Ad esse, si aggiunge l’assenza di flusso ematico cerebrale, che va verificata in alcune situazioni particolari, tra cui i casi di pazienti con età inferiore ad 1 anno o la presenza di fattori concomitanti, come ipotermia o farmaci depressori del sistema nervoso centrale118.

Come indicato dal CNB, nel decreto del 22 agosto 1994, che attua le disposizioni previste dalla legge del 1993, sono stati indicati i periodi di osservazione necessari all’accertamento della morte in relazione all’età dei pazienti: 6 ore (e non più 12) per gli adulti e i bambini al di sopra dei 5 anni; 12 ore per i bambini di età compresa tra 1 e 5 anni; 24

114 Legge 29 dicembre 1993, n. 578, Norme per l’accertamento e la certificazione di morte, art. 1.

115 Ivi, art. 2, comma 1. È evidente, quindi, come il criterio cardiorespiratorio tragga la sua validità solo in

riferimento al ruolo centrale dell’encefalo, trovandosi, quindi, in una posizione “secondaria” rispetto al criterio neurologico.

116 Decreto del Ministro della Sanità 22 agosto 1994, n. 582, Regolamento recante le modalità per

l’accertamento e la certificazione di morte, art. 1. A differenza della legge precedente, quella del 1993 non

prevede, nell’applicazione del criterio cardiorespiratorio, né l’accertamento della cessazione della respirazione spontanea né quello dell’assenza di attività cerebrale elettrica. Inoltre, il giudizio sull’applicabilità del criterio cardiorespiratorio non dipende più da un collegio di tre medici, bensì da un unico medico.

117 Legge 578/1993, art. 2, comma 2.

ore per i bambini di età inferiore ad 1 anno. In tutti questi casi, inoltre, la simultaneità delle condizioni sopra esposte deve essere rilevata dal collegio medico per almeno tre volte, cioè all’inizio, a metà e alla fine del periodo di osservazione119. Nel caso in cui, durante questo

intervallo di tempo, avvenga l’arresto cardiaco spontaneo, l’accertamento di morte può (ma non obbligatoriamente) essere effettuato tramite il criterio cardiorespiratorio120.

È doveroso sottolineare che, secondo la legge, esistono casi in cui non ci sono le condizioni per utilizzare nessuno dei due criteri: in queste situazioni, quindi, il periodo di osservazione deve essere ancora di 24 ore121. La legge, però, non precisa quali siano questi casi, ma li lascia pressoché indefiniti: si ipotizza, quindi, che essa si stia riferendo a situazioni di morte improvvisa o a quelle in cui sussista il dubbio di morte apparente.

Il decreto del 1994 è stato riveduto e aggiornato con il decreto dell’11 aprile 2008, data “l’acquisizione di sempre maggiori conoscenze scientifiche e lo sviluppo tecnologico e strumentale intervenuto nel tempo”.

L’aggiornamento riguarda, in particolar modo, i segni diagnostici che permettono di procedere all’accertamento di morte con il criterio neurologico, che vengono così elencati: assenza dello stato di vigilanza e di coscienza; assenza dei riflessi del tronco encefalico; assenza del respiro spontaneo e dell’attività elettrica cerebrale, documentata con EEG. Inoltre, come visto sopra, in alcuni casi particolari è necessario procedere alla verifica dell’assenza del flusso ematico cerebrale122. Questi segni diagnostici devono essere contemporaneamente e ininterrottamente presenti per un periodo di almeno 6 ore123: a differenza del decreto del 1994,

però, questo intervallo di tempo sembra valere non solo per i pazienti adulti ma anche per i bambini e per i neonati, senza che siano fatte le opportune distinzioni in merito. Inoltre, la simultaneità delle condizioni necessarie ai fini dell’accertamento di morte deve essere rilevata dal collegio medico non più per tre volte, bensì solo per due, all’inizio e alla fine del periodo di osservazione124. V.5. Legge 91/1999 119 Ivi, art. 4. 120 Ivi, art. 5. 121 Legge 578/1993, art. 4.

122 Decreto del Ministro della Salute 11 aprile 2008, Aggiornamento del decreto 22 agosto 1994, n. 582, art. 3. 123 Ivi, art. 4, comma 1.

Nel 1999 è stata promulgata la nuova legge, tuttora in vigore, recante la disciplina dei trapianti di organi e tessuti125: essa presenta delle sostanziali differenze rispetto a quelle che

l’hanno preceduta, soprattutto perché ha introdotto dei temi che non erano mai stati affrontati dalla legislazione precedente.

Già l’art. 1 della legge del 1999 permette di osservare la differenza con quelle del 1957 e del 1975: “[L]e attività di trapianto di organi e di tessuti ed il coordinamento delle stesse – recita l’art. 1 - costituiscono obiettivi del Servizio Sanitario Nazionale”. Inoltre, l’esecuzione dei trapianti viene eseguita in modo tale da “assicurare il rispetto dei criteri di trasparenza e di pari opportunità tra i cittadini”, oltre che sulla base di specifici criteri di accesso alle liste di attesa126.

Le novità introdotte dal primo articolo della legge del 1999 riflettono i cambiamenti avvenuti tra il 1975, anno della precedente legge e la fine del XX secolo: come visto in precedenza, i progressi tecnologici e farmaceutici di quegli anni permisero lo sviluppo della trapiantologia e la possibilità di avvalersi di questa terapia per un numero sempre maggiore di patologie. Di conseguenza, si è avvertita la necessità non solo di migliorare l’organizzazione dell’attività trapiantologica, ma anche di fondarla su determinati criteri, in modo da gestire al meglio l’allocazione di risorse scarsamente disponibili come gli organi. Sempre a questo scopo, inoltre, la legge del 1999 prevede la promozione, tra i cittadini, di una corretta informazione sia delle problematiche scientifiche e delle possibilità terapeutiche relative ai trapianti, sia delle disposizioni previste dalla legge stessa127.

Le novità maggiori presenti all’interno della legge del 1999 riguardano la manifestazione della volontà alla donazione degli organi e dei tessuti. L’art. 4 stabilisce che i cittadini sono tenuti a dichiarare, con modalità non specificate da questa legge, la propria volontà in merito alla donazione di organi e tessuti dopo la morte. Per chi, in vita, non presenta alcuna dichiarazione vale il cosiddetto “silenzio-assenso”: secondo questo criterio la mancata manifestazione di volontà corrisponde all’assenso alla donazione e, quindi, questo soggetto viene automaticamente considerato, una volta accertata la morte, un potenziale donatore128.

In alcune situazioni, però, il criterio del silenzio-assenso non può essere applicato: ciò avviene quando i parenti del paziente di cui si sta accertando la morte presentano una

125 “La presente legge disciplina il prelievo di organi e tessuti da soggetto di cui sia stata accertata la morte ai

sensi della legge 29 dicembre 1993, n. 578, e regolamenta le attività di prelievo e di trapianto di tessuti e di espianto e di trapianto di organi” (legge 1 aprile 1999, n. 91, Disposizione in materia di prelievi e di trapianti di

organi e di tessuti, art. 1, comma 1).

126 Ivi, art. 1, comma 2. 127 Ivi, art. 2.

dichiarazione di volontà contraria al prelievo redatta, in vita, dal paziente stesso129. Va sottolineato che questo è l’unico caso in cui i parenti possono opporsi al prelievo: a differenza della legge del 1975, infatti, la volontà dei parenti del paziente non può prevalere su quella del congiunto. Di conseguenza, se il paziente ha espresso, in vita, una volontà favorevole alla donazione, i familiari non hanno alcuna facoltà di opporsi.

Secondo quanto previsto dalla legge del 1999, alle Asl spetta il compito di notificare ai cittadini iscritti al SSN la richiesta di dichiarare la propria volontà in merito alla donazione post-mortem130. Una volta ricevuta la notifica, ogni cittadino ha 90 giorni di tempo per dichiarare la propria volontà: se entro questo periodo di tempo non perviene alla Asl alcuna manifestazione di volontà, il soggetto viene automaticamente considerato come favorevole alla donazione dopo la sua morte131. La legge, inoltre, individua alcuni soggetti per i quali non è prevista la manifestazione di volontà, autografa o da parte di un tutore, ai fini della donazione come i nascituri, i soggetti non aventi la capacità di agire, o i minori affidati o ricoverati in istituti di assistenza132.

Al fine di realizzare quanto appena esposto, la legge prevede l’istituzione di un “sistema informativo trapianti”, ovvero di un’anagrafe informatizzata che permetta sia di notificare ai cittadini la richiesta di volontà, sia di raccogliere tutte le dichiarazioni, in modo da inviarle, in seguito, ai centri regionali e interregionali e al Centro Nazionale Trapianti133.

In realtà, il sistema informativo trapianti non è ancora stato istituito e, quindi, l’art. 4 che da esso dipende non è ancora vigente134: di conseguenza, il criterio del silenzio-assenso

non è tuttora in vigore. Nonostante ciò, però, questo criterio è stato oggetto di numerose critiche, poiché, secondo i suoi detrattori, non è adatto per disciplinare una materia così delicata come la dichiarazione di volontà alla donazione dei propri organi135.

Il nucleo centrale di queste critiche riguarda l’equiparazione del silenzio con l’assenso, che viene ritenuta ingiustificata. Il silenzio è uno strumento che permette di astenersi dal manifestare la propria volontà: equiparandolo automaticamente all’assenso si finirebbe per

129 Ivi, art. 4, comma 5. L’opposizione dei parenti deve avvenire entro e non oltre la fine del periodo di

osservazione necessario all’accertamento di morte.

130 Con il Decreto Ministeriale dell’11 marzo 2008 questo compito è stato esteso anche ai Comuni: essi possono

raccogliere le dichiarazioni di volontà dei propri cittadini e trasmetterle, in seguito, alle Asl (decreto del Ministro della Salute 11 marzo 2008, Integrazione del decreto 8 aprile 2000 sulla ricezione delle dichiarazioni di volontà

dei cittadini circa la donazione di organi a scopo di trapianto).

131 Legge 91/1999, art. 5. 132 Ivi, art. 4, comma 3. 133 Ivi, art. 7, comma 2.

134 Secondo quanto previsto dall’art. 28 della legge 91/1999, infatti, le disposizioni previste dall’art. 4 entrano in

vigore solamente nel momento in cui viene attivato il sistema informativo trapianti.

135 Per approfondimenti sulle criticità della legge 91/1999 qui esposte, vedi: P. BECCHI e P. DONADONI,

Informazione e consenso all’espianto di organi da cadavere. Riflessioni di politica del diritto sulla nuova legislazione”, “Politica del Diritto”, 2 (2001), pp. 257-287; P. SOMMAGGIO, Il dono preteso. Il problema del trapianto di organi: legislazione e principi, CEDAM, Padova 2004.

attribuire all’individuo una volontà non sua. In questo caso specifico la volontà del singolo verrebbe sostituita con quella della collettività, sulla base, di una delega che non è mai stata esplicitata: nell’ambito dei trapianti di organo, in cui un individuo è chiamato a decidere se e in che modo disporre del proprio corpo in vantaggio di terzi, non è, però, sufficiente supporre la sua volontà, bensì è necessaria una dichiarazione esplicita. Secondo alcuni critici, inoltre, questa logica è incompatibile con il piano del dono, poiché un’autentica donazione si fonda sulla consapevolezza del significato di tale scelta, che richiede l’espressione di un consenso esplicito e non di una volontà presunta136.

L’altra critica principale che viene mossa al criterio del silenzio-assenso riguarda il fatto che l’onere della prova grava solamente sul dissenziente: egli, a differenza di chi acconsente, deve manifestare in modo esplicito la propria volontà, al fine di distanziarsi da una decisione presa per lui da altri. Questa decisione, inoltre, lo costringerebbe alla donazione, non lasciando spazio ad un reale dono solidaristico ma solo ad un “dovere di solidarietà”137.

Attualmente, la manifestazione di volontà viene disciplinata sulla base delle disposizioni transitorie previste dall’art. 23 della legge del 1999138. In base a quanto previsto da questo articolo, possono verificarsi le seguenti situazioni:

- il paziente ha presentato una dichiarazione di volontà favorevole alla donazione post- mortem. In questo caso, i suoi congiunti possono opporsi al prelievo se presentano una dichiarazione di volontà contraria alla donazione, redatta dal paziente stesso e successiva, in ordine cronologico, a quella favorevole. Come visto sopra, se fosse in vigore l’art. 4, invece, i familiari non avrebbero alcun potere di opporsi.

- Il paziente ha espresso volontà contraria alla donazione post-mortem: in questo caso, i parenti non hanno alcun potere di opporsi a questa decisione.

- Il paziente non ha espresso alcuna volontà in vita e viene automaticamente considerato come un potenziale donatore di organi. I suoi congiunti possono opporsi ma, a

136 BECCHI e DONADONI, Informazione e consenso all’espianto di organi da cadavere cit., p. 281.

137 Bisogna sottolineare che, anche in questo caso, la legislazione ha assorbito le indicazioni del CNB, il quale, in

un documento del 1991, ha sostenuto la necessità di perseguire un’etica che considerasse la donazione post- mortem come un dovere morale. Per facilitare quest’obiettivo, quindi, era consigliabile approvare “un regime giuridico del consenso, che riconosca anche la presunzione qualificata della prestazione del consenso nei confronti di chi abbia taciuto” (COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA (CNB), Donazione d’organo ai

fini di trapianto, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 1991, p. 14).

138 Fa eccezione il prelievo di cornee: in questi casi, infatti, la manifestazione di volontà è disciplinata dall’art. 1

della legge 301/1993, il quale stabilisce che il prelievo è consentito quando sia stato ottenuto l’assenso esplicito dei congiunti, a patto che il soggetto, in vita, non abbia manifestato per iscritto il proprio dissenso alla donazione. Ciò significa, quindi, che per il prelievo di cornee non è necessario il consenso del paziente, mentre è indispensabile l’assenso dei familiari (legge 12 agosto 1993, n. 301, Norme in materia di prelievi ed innesti di

differenza di quanto succederebbe se fosse in vigore l’art. 4, non necessitano di una dichiarazione autografa del paziente, bensì è sufficiente la loro volontà.

Il criterio previsto dall’art. 23 si differenzia in alcuni punti da quello del silenzio- assenso previsto dall’art. 4. Secondo alcuni, esso è definibile come un ibrido tra lo stesso silenzio-assenso, dove il cittadino viene informato e gli viene espressamente richiesto di dichiarare la propria volontà e il cosiddetto “consenso-presunto”: questo è un criterio per cui il cittadino non viene informato o interpellato e, se non si attiva autonomamente per dichiarare il proprio dissenso, viene considerato consenziente139.

Attualmente, i cittadini possono manifestare la propria volontà nelle seguenti modalità: depositando le proprie dichiarazioni alla Asl o al comune competente; portando con sé il “tesserino blu” inviato dal Ministero o, in alternativa, una propria dichiarazione140 o un

tesserino olografo delle associazioni di volontariato pro-trapianto.

La legge del 1999 ha istituito delle novità anche dal punto di vista dell’organizzazione delle attività di trapianto, con l’introduzione di nuovi soggetti (consulta tecnica permanente per i trapianti, strutture per i prelievi, per la conservazione dei tessuti prelevati e per i trapianti) e con l’ampliamento dei ruoli dei centri regionali e interregionali e del Centro Nazionale Trapianti (CNT). La gestione delle attività di trapianto si svolge, quindi, attualmente, su tre diversi livelli: locale, regionale e nazionale.

I coordinatori locali delle strutture per i prelievi si occupano di comunicare i dati del potenziale donatore al centro regionale o interregionale competente e al CNT. Inoltre, essi curano i rapporti con le famiglie dei pazienti e si occupano dell’organizzazione di attività di informazione per la popolazione141.

I centri regionali o interregionali svolgono diverse funzioni: gestiscono la raccolta e la trasmissione dei dati delle persone in lista d’attesa; coordinano le attività di prelievo e i rapporti tra i reparti di rianimazione del territorio; assegnano gli organi, sulla base di un loro proprio algoritmo; coordinano il trasporto dei campioni biologici, delle equipe, degli organi e dei tessuti; curano i rapporti con le autorità sanitarie e le associazioni di volontariato del territorio142.

139 BECCHI e DONADONI, Informazione e consenso all’espianto di organi da cadavere cit., p. 261.

140 Come previsto dall’art. 2, comma 4, del Decreto Ministeriale dell’ 8 aprile 2000. Il “tesserino blu” è una

misura temporanea per raccogliere le dichiarazioni di volontà che, in realtà, non era stata prevista dalla legge del 1999, ma deriva da un’autonoma iniziativa del Ministero della Salute (Decreto del Ministro della Salute 8 aprile 2000, Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti, attuativo delle prescrizioni relative

alla dichiarazione di volontà dei cittadini sulla donazione di organi a scopo di trapianto).

141 Legge 91/1999, art. 12. 142 Ivi, art. 10.

Al Centro Nazionale Trapianti (CNT) sono affidati diversi compiti, tra cui: definizione dei parametri e dei criteri per l’inserimento delle persone in lista d’attesa; gestione delle liste d’attesa; definizione dei criteri per l’assegnazione degli organi e dei tessuti, sulla base