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La donazione di sangue e di cellule staminali emopoietiche

II. Dono e trapiant

II.2. La donazione di sangue e di cellule staminali emopoietiche

La seconda tipologia di donazione44 che andiamo ad analizzare è quella riguardante il sangue e le cellule staminali emopoietiche prelevate dal midollo osseo e dal sangue periferico45. Abbiamo visto in precedenza che queste due tipologie di trapianto sono diverse

43 Ivi, p. 1613.

44 Anche in questo caso utilizziamo, per il momento, il termine “donazione” in senso neutro.

45 Per ragioni di sintesi, da qui in avanti ci riferiremo ai due tipi di donazione di staminali emopoietiche con

tra loro, in primo luogo per le caratteristiche del materiale biologico: a causa della compatibilità HLA, le cellule staminali emopoietiche vengono donate ad un preciso individuo, a differenza di quanto avviene nel caso dei prelievi di sangue. Sottolineiamo questo fatto in quanto, nella donazione di midollo osseo, il donatore può essere sottoposto ad una pressione psicologica maggiore rispetto a quanto avviene nella donazione di sangue. Nel momento in cui risulta compatibile con il ricevente, infatti, il donatore di midollo osseo viene chiamato improvvisamente e non dispone di molto tempo per decidere se rendersi disponibile a donare o meno. Di conseguenza, egli può subire una certa pressione, derivante dalla consapevolezza di essere, in quel momento, l’unica persona al mondo in grado di aiutare quel determinato individuo malato. Va ricordato, però, che colui che si rende disponibile a donare ha il diritto di tirarsi indietro in qualsiasi momento, anche poco prima del prelievo46.

Queste due tipologie di trapianto differiscono anche per quanto riguarda le modalità di esecuzione, le tempistiche richieste, il grado di dolorosità, il tempo di rigenerazione del materiale biologico e, di conseguenza, il tempo di degenza necessario dopo il prelievo47.

Ai fini del nostro discorso, però, è utile rilevare che il prelievo di sangue e quello di midollo osseo presentano alcuni elementi in comune: in entrambi i casi si tratta del prelievo di materiale rigenerabile e che non comporta gravi rischi per il donatore; inoltre, in entrambe le tipologie di trapianto il ricevente è, nella maggior parte dei casi, una persona sconosciuta, che non ha alcun tipo di legame con il donatore; infine, in entrambi i casi vale il principio dell’anonimato, il quale stabilisce che donatore e ricevente non possono essere a conoscenza dei dati personali dell’altro48.

Le donazioni di sangue e di midollo osseo introducono un problema nuovo nella nostra analisi sull’applicabilità del paradigma del dono: stiamo parlando, infatti, di gesti in cui sembra essere assente la dimensione relazionale, ovvero il legame con l’altra persona, il quale è, al tempo stesso, il fine e la condizione del dono. Come osservato in precedenza, da un lato il dono condiziona il rapporto, alimentandolo; dall’altro esso viene giustificato dal rapporto stesso, in quanto è sempre inserito all’interno del contesto spazio-temporale in cui questo rapporto si snoda. Per spiegare meglio quest’ultima affermazione, facciamo riferimento ad un’esperienza quotidiana: di solito, quando una persona che non conosciamo e con cui non abbiamo una relazione ci fa un dono, la nostra prima sensazione non è di gioia, ma di sorpresa, disagio o anche sospetto. Questo gesto ci mette in difficoltà perché, non conoscendo

46 Cfr. cap. 2.

47 Tutti questi elementi sono stati analizzati nei capitoli precedenti dedicati, rispettivamente, alle trasfusioni di

sangue e al trapianto di cellule staminali emopoietiche.

le intenzioni di chi l’ha compiuto (mera bontà o desiderio di avere in cambio la nostra stima?), non riusciamo immediatamente a fidarci del fatto che sia un dono.

Inoltre, non solo queste donazioni si rivolgono a sconosciuti ma, a causa del principio di anonimato, non possono nemmeno essere il veicolo della creazione di un nuovo legame. È possibile, quindi, pensare a questi gesti come a dei doni? Riteniamo che per arrivare alla soluzione di questo problema sia necessario riflettere sul modo in cui stiamo in relazione con gli altri.

Da sempre siamo inseriti in vari contesti relazionali, come la famiglia, gli amici, la scuola, la società e da questi rapporti sociali abbiamo ricevuto dei doni e li riceviamo tuttora, anche se a volte non ne siamo consapevoli. Nel contesto familiare, per esempio, il dono si realizza in molti modi diversi: non solo come dono rituale, fatto in occasioni prestabilite, ma anche come gesti quotidiani, servizi di vario genere, aiuti in favore di altri membri della famiglia.

Abbiamo ricevuto e riceviamo tuttora dei doni anche nella nostra vita al di fuori del contesto familiare e dei rapporti affettivi: ogni nostra esperienza quotidiana o extra-ordinaria, ogni persona incontrata ci ha, con molta probabilità, donato “qualcosa”, un “qualcosa” che si è aggiunto all’esperienza stessa, che le ha conferito il suo valore e che ci ha trasformati, facendoci diventare ciò che siamo49. Probabilmente in quel momento non eravamo consapevoli di star ricevendo un dono e, quindi, non lo abbiamo ricambiato a chi ci ha donato. L’aver ricevuto questo “qualcosa” in molti modi durante la nostra vita, però, ci porta a donare quotidianamente a nostra volta, a restituire quello che abbiamo ricevuto ad altri, anche a qualcuno che non conosciamo e che non potremo mai conoscere. Il “qualcosa” che ci viene donato, infatti, è la possibilità di donare a nostra volta ed è da questo che capiamo che il dono che ci è stato fatto era veramente fecondo. Possiamo pensare a noi stessi come a dei nodi che formano una rete: ogni nodo è distinto dagli altri ma, allo stesso tempo, è collegato agli altri nodi, vicini e lontani, con gli stessi fili che vengono ad annodarsi in esso. Anche noi siamo collegati agli altri, vicini o lontani che siano e sono proprio questi legami, questi fili, che ci hanno fatto diventare ciò che siamo50.

Come abbiamo ripetuto molte volte, il dono non è mai un gesto isolato, poiché non si esaurisce nel movimento unilaterale del “dare”: noi siamo al tempo stesso donatori e donatari e ogni nostro dare è in realtà un restituire e viceversa. Ogni dono, cioè, si inserisce in un

49 Il mio “io” è da sempre immerso in un contesto di relazioni e prende senso solo in base ad esso: la stessa cosa

vale anche per gli altri. “Io, tu, noi, loro – spiega Fabris – siamo solamente nodi di relazione, tutti quanti; siamo nodi di una relazione che si prolunga e si espande universalmente, attraverso quelle relazioni ulteriori in cui proprio tale dinamica viene a realizzarsi” (A. FABRIS, RelAzione. Una filosofia performativa, Editrice Morcelliana, Brescia 2016, p. 160).

flusso di altri doni, i quali sono stati dati e ricevuti sia a livello delle relazioni con le persone che amiamo o che conosciamo, sia ad un livello più ampio, in un contesto relazionale in cui ci troviamo da sempre.

Tutto ciò emerge anche dalle esperienze di alcuni donatori di sangue e di midollo osseo. Molti di loro hanno vissuto da vicino l’esperienza del trapianto, perché alcuni dei loro cari sono stati salvati proprio grazie ad una donazione di sangue o di midollo osseo da parte di sconosciuti. Avendo ricevuto il dono di veder star meglio i propri cari, queste persone hanno deciso di donare, a propria volta, il sangue o il midollo osseo, “restituendo” il dono che hanno ricevuto da persone sconosciute a qualcuno che non conosceranno mai51. Altri donatori, invece, non hanno vissuto esperienze di questo genere ma, poiché sentono di aver ricevuto qualcosa (la salute, una vita agiata o il “DNA giusto”), vogliono in qualche modo ricambiare donando a qualcuno che, invece, non ha (ancora) ricevuto questo dono.

Le motivazioni descritte sopra non sono certamente le sole a spingere le persone a donare52, ma ci fanno capire che il fatto di non poter costruire con qualcuno un legame “concreto”, bensì solamente “simbolico”, non esaurisce il carattere di “dono” del loro gesto. Questo dono e questa relazione simbolica prendono senso perché si inseriscono in un flusso continuo di doni dati e ricevuti e in una rete di relazioni nel quale siamo da sempre immersi.

Questa relazione “simbolica” non potrà, almeno teoricamente, mai diventare “concreta” dato che, sia per le trasfusioni di sangue sia per i trapianti di midollo osseo, la normativa stabilisce che debba essere osservato il principio di anonimato. Ciò significa che donatore e ricevente non possono venire a conoscenza dei rispettivi dati, cioè non possono conoscere l’uno l’identità dell’altro.

Al principio di anonimato sono state mosse alcune critiche: secondo Marzano-Parisoli, per esempio, esso snatura il gesto del dono, rendendolo impersonale. Il dono, infatti, è caratterizzato dal fatto di essere sempre finalizzato all’altro, cioè a colui che lo riceve e, per questo, tramite esso si creano le relazioni. L’anonimato, invece, impedisce la formazione di

51 La reciprocità, in questo caso, non è assente, ma è presente in forma “generalizzata” invece che “diretta”.

Mentre, in quest’ultima, il ricevente ricambia alla stessa persona da cui ha ricevuto, nella reciprocità “generalizzata” si restituisce ad una persona diversa da chi ci ha donato, la quale potrà donare a sua volta ad una terza persona.

Per un approfondimento sul tema della reciprocità rimandiamo a M. ANSPACH, Che cosa significa ricambiare?

Dono e reciprocità, in AA. VV., Che cosa significa donare?, a cura di D. Falcioni, Guida Editori, Napoli 2011,

pp. 57-70 e, dello stesso autore, A buon rendere. La reciprocità nella vendetta, nel dono e nel mercato, trad. it. di C. Fontanile, Bollati Boringhieri, Torino 2007.

52 In molti dicono di aver donato per solidarietà verso gli altri, per beneficiare anche se stessi, per aumentare la

propria autostima, perché era “la cosa giusta da fare” o perché “non c’era nessun motivo per non farlo”. Come abbiamo visto sopra, tutte queste motivazioni ribadiscono il carattere gratuito del dono, sia nel senso che a volte esso viene compiuto senza una ragione di fondo, sia che a volte la restituzione è interna al gesto stesso del dono. Per approfondimenti sulle testimonianze dei donatori di sangue e di midollo osseo, vedi: http://www.donatorisangue.org/diventa-donatore/testimonianze;

qualsiasi legame tra il donatore e il donatario: da un lato, il donatore non avrà mai la possibilità di sapere se il suo dono è stato accolto; dall’altro, il ricevente non potrà mai ricambiare il dono ricevuto (non potrà, per esempio, dire “grazie”). Privato della gratitudine del ricevente, il dono si appiattisce sul movimento del dare, configurandosi come un gesto unilaterale, fatto per puro altruismo53.

Riteniamo, invece, che il principio di anonimato non snaturi il gesto del dono ma, anzi, sia uno strumento efficace per preservare ciò che lo caratterizza: questo vale sia per la donazione di midollo osseo e di sangue, sia la donazione di organi da cadavere, di cui tratteremo nel prossimo paragrafo.

La prima obiezione che si può muovere all’argomento di Marzano-Parisoli si basa sul principio di precauzione che sta alla base dell’anonimato: quest’ultimo, infatti, da un lato evita che il donatore eserciti una qualsiasi pressione sul ricevente, obbligandolo ad una ricompensa; dall’altro, impedisce che il donatore si rifiuti di donare ad un determinato ricevente a causa di alcune sue caratteristiche fisiche, etniche, economiche o relative all’orientamento sessuale. Il principio di anonimato sembra essere, quindi, uno strumento valido per proteggere il carattere di dono di questo gesto: impedendo che il ricevente sia sottoposto a coercizione, tale principio garantisce la sua libertà e, quindi, la possibilità di rendere fecondo il dono ricevuto, donando a sua volta ad altri.

Inoltre, crediamo sia necessario non sopravvalutare la volontà di donatore e ricevente di conoscere l’identità dell’altro: a colui che dona, infatti, spesso non interessa sapere chi sia il destinatario del proprio dono, poiché l’unica cosa importante è che, grazie ad esso, questa persona potrà stare meglio. Per quanto riguarda i riceventi, in alcuni casi possono essere inizialmente ossessionati dal trovare il proprio donatore e dal riuscire a dargli un volto: generalmente, però, questo interesse scema, oppure il ricevente trova il modo di esprimere la sua gratitudine a questa persona (per esempio, inviando una lettera al donatore o alla sua famiglia tramite gli operatori sanitari, che provvedono a cancellare tutti i riferimenti possibili alla sua identità o, nel caso di un donatore di organi deceduto, depositando fiori sulla tomba di uno sconosciuto)54.

Un’altra obiezione all’argomento presentato da Marzano-Parisoli riguarda la restituzione del dono: come visto sopra, il principio di anonimato viene criticato perché impedisce al donatore di avere la certezza che il suo dono è stato accolto e al ricevente di

53 MARZANO-PARISOLI, Etica del dono cit., pp. 14 e ss.

54 “And the longing to find the source of this don of life is clearly present; it feels as ancestral and ancient as the

compulsion to bury our dead; it surges forth from roots too old to be conscious. It is here that there is a more appropriate use of the term ‘gift’ in the anthropological sense” (F. J. VARELA, Intimate Distances. Fragments

for a Phenomenology of Organ Transplantation, “Journal of Consciousness Studies, 8 (2001), pp. 259-271, qui

manifestargli la propria gratitudine. Come abbiamo visto durante la nostra precedente analisi, però, ciò che caratterizza il dono è proprio la mancanza di garanzia che la restituzione avverrà: il donatore si assume il rischio di non veder mai ricambiato il proprio dono perché sa che, in questo modo, preserva la libertà del ricevente di ricambiare e di farlo nei tempi e nei modi che sente appropriati. L’assenza della garanzia di una restituzione, quindi, permette al dono di essere davvero fecondo, ovvero di donare a chi lo riceve la possibilità di compiere a sua volta un gesto libero, spontaneo e gratuito. Questo è ciò che avviene anche nella donazione a sconosciuti: in questo caso, il donatore decide di donare nonostante sia consapevole che non potrà mai né ricevere una restituzione né sapere se il suo dono è stato accolto e riconosciuto. Bisogna ricordare, inoltre, che il “ricevere qualcosa in cambio” non è il movente che spinge il donatore a donare: egli non richiede né si attende questa restituzione, anche perché, in alcuni casi, è sufficiente che essa sia compresa nel gesto stesso del dare.

Crediamo sia necessario richiamare ancora una volta il fatto che il dono non è mai isolato e che, quindi, a volte, “l’unilateralità” di questo gesto appare solo a chi guarda da fuori. Una persona che decide di donare ad uno sconosciuto può, infatti, non intendere il suo atto come un “dare”, bensì come un “ricambiare” qualcosa che lui stesso ha ricevuto durante la sua vita: per questo motivo, egli non concepisce il proprio gesto come “a senso unico” né desidera che esso venga ricambiato.

Sulla base di quanto visto fin qui, possiamo affermare che anche un gesto come quello della donazione di sangue o di midollo osseo, anonimo e fatto a sconosciuti, può configurarsi come dono. Abbiamo visto, infatti, che l’assenza di una relazione “concreta” tra donatore e ricevente non compromette il gesto del dono, in quanto esso, lungi dall’essere un atto unilaterale e isolato, è sempre inserito in un ampio contesto di relazione. Colui che dona può aver già ricevuto un dono da qualcuno che non conosce e, proprio per questo, può decidere di voler donare a sua volta a qualcuno di cui non potrà mai conoscere l’identità. Questo ci porta ad ampliare la nostra idea di “restituzione”: oltre a quella “diretta”, dove chi riceve restituisce a chi gli ha donato, esiste anche un tipo di restituzione “generalizzata”, dove si restituisce a qualcuno che non è il donatore.

Chi decide di sottoporsi ad un prelievo di sangue o di midollo osseo lo fa spontaneamente, senza essere stato obbligato, senza ricevere un compenso o una retribuzione, per motivi altruistici ma anche per ottenere una gratificazione personale. Chi dona, inoltre, non ha alcun diritto sul ricevente, ovvero non può obbligarlo a ricambiare il dono che ha ricevuto: questo gesto, quindi, è libero anche nel senso che lascia il ricevente libero di ricambiare e di decidere le modalità e i tempi in cui farlo. Nel caso di donazioni a sconosciuti, il carattere libero e gratuito viene tutelato anche dall’introduzione del principio di anonimato.

Le riflessioni sull’anonimato e sulla necessità di pensarci inseriti all’interno di un contesto relazionale “ampio” valgono anche per la donazione di organi da cadavere, trattata nel paragrafo successivo.