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Dono e altruismo

I. Il paradigma del dono: un’analis

I.4. Dono e altruismo

Nel paragrafo precedente abbiamo visto che il dono ammette alcune forme di restituzione, le quali devono avere delle caratteristiche particolari. Ad esse, se ne aggiunge un’altra, che è “interna” al dono stesso29 e che definiamo il “piacere del dono”.

Abbiamo più volte affermato che il dono viene compiuto per se stesso, senza volere niente in cambio e che il donatore agisce per sua volontà, senza essere stato obbligato da nessuno: spesso, quindi, anche il solo gesto del “dare” è gratificante per il donatore, nel senso che l’averlo compiuto è già una restituzione sufficiente per il suo dono. Questo appare evidente, per esempio, nelle esperienze delle persone che fanno volontariato, le quali, molto spesso, affermano di aver ricevuto tanto anche dal solo fatto di aver donato. Altre volte, invece, il “piacere del donare” si realizza come un maggior rispetto per se stessi, una crescita dell’autostima o una “gratificazione” dovuti al semplice fatto di aver donato a qualcuno.

27 La fiducia è un elemento fondamentale nella logica del dono: essa, infatti, “solleva le relazioni dalla sfera della

giustizia (ispirata all’equità) – ovvero evita che al mio gesto ne corrisponda uno identico – all’ambito della philia (animata dalla reciprocità), nella misura in cui essa dilata i tempi della restituzione, rende indeterminato il suo contenuto e contempla la restituzione di cose diverse a persone diverse” (ZANARDO, Il legame del dono cit., pp. 566-567).

28 “L’opzione fiduciaria (…), protegge la relazione di dono da ogni possibile inquinamento, e, al tempo stesso,

respinge la tentazione del sospetto, che teme di incontrare sotto smentite spoglie uno strumento di cattura” (ivi, p. 565).

Bisogna prestare molta attenzione prima di classificare questo “piacere” come una manifestazione di egoismo, cioè come qualcosa che si contrappone al dono “autentico”. Non solo il dono può essere gratificante anche per colui che lo compie, ma il fatto che questa gratificazione sia contenuta nel gesto del donatore non snatura il suo carattere di “dono”, bensì ne conferma alcune caratteristiche.

Il fatto che il piacere di aver donato sia di per sé sufficiente per gratificare il donatore mostra, innanzitutto, che la restituzione del ricevente è semplicemente qualcosa “in più”, che è auspicata ma non necessaria. La restituzione interna al dono è, inoltre, una prova ulteriore del fatto che il donatore compie questo gesto in modo libero, spontaneo, sulla base della sua volontà e non perché è stato sottoposto ad una qualche coercizione. Infine, il “piacere del dono” ci permette di distanziare ulteriormente il dono dalla logica del mercato: l’assenza di una restituzione si configura, nel mercato, come una “perdita” e questo avviene perché il “dare” e il “ricevere” vengono concepiti come due movimenti nettamente separati. Nel dono, invece, colui che dà non solo non ha garanzie di restituzione, ma riceve qualcosa in cambio dal suo stesso gesto, il quale lo gratifica e, in alcuni casi, lo “trasforma”.

Quanto appena detto ci porta a riflettere su un aspetto del dono che diamo per scontato, ovvero il fatto che esso sia un gesto “disinteressato”, compiuto per “puro altruismo”. Utilizziamo il termine “altruismo” nel suo significato più ampio, ovvero nel senso di un atto intenzionale compiuto esclusivamente nell’interesse della persona a cui è rivolto e che non ammette, nei confronti di chi l’ha compiuto, alcun “ritorno”. Di conseguenza, intendere il dono come atto puramente altruistico sembrerebbe contraddire quanto abbiamo affermato fin qui sulla restituzione e, soprattutto, sul piacere insito nel donare stesso.

Ribadiamo che il dono ammette alcune forme di restituzione, tra cui quella interna al gesto stesso del donatore, poiché essa non annulla l’intenzione con cui abbiamo compiuto questo gesto, ovvero il fatto di voler beneficiare il ricevente e la nostra relazione30. Ciò che

davvero annullerebbe il carattere di dono del nostro “dare” sarebbe la mancanza di libertà, in uno o in entrambi i sensi che questo termine assume nel contesto del dono: libertà del donatore, che verrebbe a mancare a causa dell’assenza di spontaneità del suo gesto; libertà del donatario, che sarebbe annullata se egli venisse obbligato a ricambiare il dono ricevuto. Ammettiamo, quindi, la possibilità di compiere un atto “altruista” che, allo stesso tempo, gratifica colui che lo compie.

30 Come fa notare Zanardo, il discriminante tra un gesto di dono e un atto egoistico, compiuto nel proprio

interesse, non è l’assenza/presenza dell’elemento del “piacere del dare”, quanto l’intenzione di chi lo compie. Nel dono, a differenza dell’atto egoistico, il piacere non è cercato per se stesso, cioè non è il fine del donatore, bensì si “aggiunge” in seguito, una volta che egli ha compiuto questo gesto avente come fine l’“altro” (il ricevente e la relazione con lui) (ZANARDO, Il legame del dono cit., pp. 560 e ss.).

A questo punto, vale la pena chiedersi se un gesto di “altruismo puro”, che non ammette alcuna reciprocità e che viene compiuto solo ed esclusivamente nell’interesse dell’altro, possa configurarsi come un dono. Da un lato, tale gesto contraddice le nostre esperienza quotidiane: ogni nostro dono, anche il più piccolo, difficilmente rimane privo di un “ritorno”, fosse anche il solo piacere derivante dal gratificare qualcuno31. Dall’altro, esso è un

gesto che non alimenta né crea alcuna relazione, poiché si configura come un atto isolato, non relazionale: il dono veramente fecondo è, invece, quello che dona al ricevente la facoltà di donare a sua volta, cioè di ricambiare il dono stesso. L’atto puramente altruista, quindi, rischia di rimanere un gesto “vuoto”, forse eroico ma probabilmente chiuso in se stesso32.