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Open market, mercato etico e future markets: tre proposte per la realizzazione della compravendita degli organ

33 Ivi, p. 143. 34 Ivi, pp. 144-145. 35 Ivi, p. 146.

In questo paragrafo andiamo ad analizzare le principali proposte che sono state avanzate circa la realizzazione di un mercato degli organi.

La prima consiste nell’istituzione di un “mercato libero” (open market), in cui ogni individuo avrebbe la possibilità di vendere un organo privatamente o tramite un mediatore. In questa tipologia di mercato, le transazioni non sarebbero sottoposte a controlli e il prezzo verrebbe stabilito dal mercato stesso in base ai suoi andamenti e alle sue fluttuazioni. I venditori o i mediatori, quindi, sarebbero liberi di assegnare gli organi al miglior offerente: ciò significa che i destinatari degli organi potrebbero non essere i pazienti in attesa di un trapianto ma altri soggetti, come, ad esempio, aziende private che li userebbero a scopi sperimentali.

I sostenitori del mercato libero affermano che, grazie ad esso, gli individui non sarebbero soggetti al paternalismo dello stato, ma potrebbero disporre liberamente del proprio corpo, assumendosi i rischi derivanti dalla vendita degli organi. Questa dinamica è già accettata in altri contesti del tutto legali, per esempio quando un soggetto svolge un lavoro pericoloso, in cambio del quale ottiene un certo stipendio. Di conseguenza, non ci sono ragioni che impediscono all’individuo di assumersi consapevolmente dei rischi anche nel caso della vendita dei propri organi36.

Questa proposta solleva diverse problematiche: sulla base dell’autonomia incondizionata di cui godrebbero all’interno del mercato libero, gli individui potrebbero vendere anche i propri organi vitali (ad es. il cuore), per esempio al fine di beneficiare economicamente la propria famiglia. John Harris, di cui analizzeremo la proposta relativa ad un mercato etico degli organi, si è mostrato disponibile ad accettare la vendita degli organi vitali: “[M]a se per me non è moralmente sbagliato condannarmi a morte certa per salvare gli altri – sostiene Harris – ammesso che questi altri possano essere salvati solo mediante il pagamento di un riscatto e che il mio cuore mi consenta di assicurarmelo, perché non dovrei poter cedere il mio cuore?”37. Il principio di autonomia, qui inteso da

Harris in senso “forte”, verrebbe, però, a scontrarsi con l’obiettivo primario della medicina, ovvero la cura e il beneficio dei pazienti: risulterebbe deontologicamente inaccettabile, oltre che moralmente discutibile, che un chirurgo provocasse la morte di un paziente per salvare la vita ad un’altra persona38.

36 G. S. BECKER and J. J. ELIAS, Introducing Incentives in the Market for Live and Cadaveric Organ

Donations, “The Journal of Economic Perspectives”, 21 (2007), pp. 3-24, qui pp. 21-22.

37 J. HARRIS, Wonderwoman e Superman: manipolazione genetica e futuro dell’uomo, trad. it. di R. Rini,

Baldini & Castoldi, Milano 1997, p. 211.

38 Come visto in precedenza, questo è quanto sostiene la “dead donor rule”, uno dei principi fondamentali

Inoltre, dato che i prezzi sarebbero fissati dal mercato in assenza di qualsiasi controllo, l’istituzione di un mercato libero potrebbe provocare un aumento del costo dei trapianti: questa terapia diventerebbe accessibile solo ad una piccola parte della popolazione, infrangendo, in questo modo, il principio di equità di accesso alle cure sanitarie39. L’aumento esagerato dei prezzi potrebbe favorire, inoltre, la nascita di un

mercato nero, che sarebbe più accessibile alla domanda ma non garantirebbe alcuna tutela all’offerta. Diversamente, se i prezzi venissero abbassati in modo da disincentivare il mercato nero e incentivare la domanda nel mercato legale, sarebbe la domanda stessa a non essere tutelata. In aggiunta, i prezzi troppo bassi verrebbero accettati solo da persone in condizioni di estrema povertà che, essendo maggiormente a rischio di contrarre malattie infettive, potrebbero non disporre di organi adatti al trapianto.

A monte di tali questioni si pone, però, il problema se sia possibile attribuire un certo prezzo alle varie parti del corpo. Chi risponde affermativamente giustifica la propria posizione sostenendo che il corpo è già soggetto a transazioni economiche, per esempio nell’ambiente lavorativo: di conseguenza, “[S]e siamo liberi di vendere il nostro lavoro – sostiene Savulescu - perché non dovremmo poter vendere i mezzi che ci consentono di lavorare?”40. Gary Becker e Julio Elìas ritengono che il prezzo di un organo debba

corrispondere alla quantità di denaro necessaria per controbilanciare tutte le possibili conseguenze negative derivanti dal suo espianto. Tale prezzo, quindi, dovrebbe comprendere il compenso per il rischio di morte alla quale il venditore si è sottoposto; il compenso per il tempo perso durante il ricovero; il compenso per il rischio di riduzione della qualità della vita41. Dall’altra parte, i sostenitori di una concezione non proprietaria

del corpo, ritengono che la perdita dell’integrità corporea possa essere paragonata solo ad un bene dello stesso genere e, quindi, non al denaro42.

39 Secondo Engelhardt questa non sarebbe una buona ragione per vietare un mercato libero degli organi:

poiché non esiste un principio di equità, giustizia e beneficenza universalmente valido, non è possibile dimostrare né l’esistenza di un diritto naturale ad un livello minimo di cure sanitarie, né che debba essere garantito un equo accesso all’assistenza sanitaria (ENGELHARDT, Manuale di bioetica cit., pp. 391 e ss.).

40 SAVULESCU, Is the Sale of Body Parts Wrong? cit., pp. 138-139, traduzione mia.

41 Basandosi su queste premesse, i due autori hanno determinato il prezzo effettivo di un rene, attestandolo

intorno ai 15.200 dollari. Secondo Becker e Elias questa sarebbe una cifra irrisoria rispetto al costo totale del trapianto, attestato intorno ai 160.000 dollari: di conseguenza, l’introduzione di un mercato degli organi farebbe aumentare i costi dei trapianti solo di una cifra minima, pari al 9,5% del totale (BECKER and ELIAS, Introducing Incentives in the Market cit., pp. 9 e ss.).

Le problematiche legate all’introduzione di un open market hanno portato all’elaborazione di un “mercato etico” degli organi: i principali fautori di questa proposta sono stati John Harris e Charles Erin43.

Harris ed Erin hanno proposto l’istituzione di un mercato “monopsonistico”, ovvero contraddistinto dal monopolio unilaterale della domanda: in questa tipologia di mercato esiste un unico compratore per le offerte di molti venditori. In questo modo, l’intera compravendita viene controllata e regolata da un ente ufficiale, evitando transazioni private che porterebbero, molto probabilmente, allo sfruttamento dell’offerta da parte della domanda. Nel mercato monopsonistico proposto da Harris ed Erin, questo ruolo sarebbe assunto dal servizio sanitario nazionale: esso avrebbe la responsabilità di distribuire equamente le risorse e di fissare un prezzo standard e l’obbligo di assicurare la buona qualità degli organi, in modo da aumentare le probabilità di successo del trapianto. Questo mercato sarebbe fondato sui principi di giustizia e di equità e tutelerebbe i soggetti più vulnerabili.

Secondo Harris ed Erin, il mercato monopsonistico dovrebbe essere limitato ad un’area geopolitica ristretta (ad es. uno stato nazionale), i cui residenti sarebbero gli unici ammessi alla compravendita degli organi: questa strategia servirebbe ad impedire che i paesi più ricchi sfruttino quelli più poveri come “riserve di organi”.

Secondo gli autori, grazie all’introduzione di questa tipologia di mercato si beneficerebbero non solo i riceventi ma anche i venditori: questi, infatti, verrebbero ricompensati per il rischio corso, il tempo impiegato e anche per il loro altruismo che, insieme al perseguimento dei propri interessi, motiverebbe gli individui ad agire.

Tutte le caratteristiche elencate fin qui farebbero del monopsonio un mercato “etico”, attento ai soggetti più vulnerabili ed organizzato in modo tale da minimizzare tutti i pericoli insiti nella vendita degli organi.

La legittimità della vendita delle parti del corpo viene esposta da Harris nel suo libro Wonderwoman e Superman, nel quale la riflessione dell’autore ruoto attorno ad una domanda fondamentale: “[S]e è giusto fare dono di una cosa, può essere moralmente sbagliato venderla?”44. Chi risponde affermativamente ritiene che la vendita di una parte

del corpo comporti automaticamente lo sfruttamento di chi vende da parte di chi compra. L’opinione di Harris, invece, è che usare gli altri come dei mezzi per realizzare i nostri fini si configura come “sfruttamento” solo nel momento in cui essi non abbiano

43 J. HARRIS and C. ERIN, An Ethically Defensible Market in Organs. A Single Buyer Like the NHS is an

Answer, “The British Medical Journal”, 325 (2002), pp. 114-115; degli stessi autori, An Ethical Market in Human Organs cit.

deciso autonomamente di far parte dei nostri progetti, ma siano stati costretti a diventare nostri strumenti. Di conseguenza, la presenza di incentivi finanziari non è una ragione sufficiente per affermare l’erroneità morale di una certa pratica: se una persona decide, in modo autonomo e consapevole, di vendere i propri organi invece di donarli, questa scelta non può essere considerata moralmente sbagliata. Lo sfruttamento può sorgere nel momento in cui la remunerazione è insufficiente, cioè quando c’è una disparità di valore tra ciò che viene scambiato: in questo caso, l’erroneità morale non è dovuta alla presenza di un compenso economico, bensì al fatto che esso è inadeguato45.

Poiché lo sfruttamento non è coessenziale alla vendita, quando si riesce ad evitarlo “la scelta tra schemi commerciali e non commerciali diventa una questione politica”46. Se

lo schema altruistico non riesce a colmare la differenza tra la domanda e l’offerta di organi, allora abbiamo il dovere di prendere in considerazione l’alternativa fornita dallo schema commerciale47. Esso può generare in noi un senso di ripugnanza ma – ammonisce Harris – è necessario prestare attenzione a non confondere le ragioni di preferibilità di uno schema con le ragioni morali, poiché esse non coincidono necessariamente48.

Oltre al mercato libero e a quello monopsonistico, sono state avanzate altre proposte relative alla vendita degli organi, raggruppate sotto il nome di future markets.

Una di queste proposte consiste nella vendita dei diritti di acquisizione degli organi prelevati post-mortem: essa tutelerebbe l’autonomia del “donatore”, poiché gli consentirebbe di decidere la destinazione futura dei propri organi in un momento in cui è ancora in grado di compiere liberamente e consapevolmente questa scelta. In questo modo, anticipando la firma di un contratto e stabilendo un prezzo, il venditore riuscirebbe a beneficiare sia il futuro ricevente sia i propri familiari, i quali, dopo la sua morte, riceverebbero una certa quantità di denaro. Inoltre, istituendo un monopolio legale, dove il compratore è unico, si eviterebbe la presenza di intermediari che potrebbero manipolare i prezzi, sfruttando l’offerta.

La criticità di questa proposta risiede nel fatto che essa rischia di ledere l’autonomia del singolo sulla quale è fondata: a partire dalla stipulazione del contratto di vendita dei propri organi, il soggetto avrebbe il dovere di preservare il proprio corpo perché, se gli organi risultassero inutilizzabili, non otterrebbe in cambio alcun compenso. Un ulteriore problema potrebbe verificarsi nel caso in cui un familiare del venditore avesse la necessità

45 Ivi, pp. 188 e ss. 46 Ivi, p. 107.

47 Lo stesso parere è stato espresso da H. Kuhse nel suo saggio Il corpo come proprietà. Ragioni di scambio e

valori etici, in AA. VV., Questioni di bioetica, a cura di S. Rodotà, Editori Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 65-

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di un trapianto di organo. Il futuro venditore si troverebbe costretto a scegliere tra salvare la vita ad un parente in questo momento, rompendo il contratto e beneficiare la propria famiglia in futuro, tramite il guadagno che riceverebbero dopo la sua morte. Alcuni, inoltre, avanzano la preoccupazione che la presenza di incentivi economici legati al prelievo dell’organo potrebbe influenzare negativamente la prontezza e l’efficacia delle terapie di rianimazione49.

Una proposta apparentemente meno problematica riguarda l’introduzione di incentivi “indiretti” per i donatori e i loro familiari. Tali incentivi non consisterebbero in un vero e proprio compenso economico, bensì sarebbero un rimborso delle spese sostenute per recarsi alle visite mediche o al prelievo; un rimborso del mancato guadagno; un contributo per le spese funerarie del donatore o una certa somma da destinare un ente benefico. Questi incentivi indiretti avrebbero il vantaggio di godere di una buona reputazione sociale poiché, non costituendo una vera e propria transazione economica, non sarebbero percepiti come uno strumento di mercificazione del corpo. In particolar modo i contributi diretti alle spese funerarie o ad enti filantropici sarebbero facilmente apprezzati dalla società, poiché riguardano fini ammirevoli, che generano empatia e rispetto. Tali incentivi verrebbero considerati come il modo in cui la collettività esprime la sua gratitudine e il suo ringraziamento al cittadino che ha deciso di donare i propri organi50.

Ponendo che essi siano uno strumento valido per aumentare il numero di organi disponibili, resta da chiedersi quali siano i criteri che stabiliscono le modalità di utilizzo del denaro ricevuto in cambio. Una volta stabiliti tali criteri, bisognerà chiedersi se chi li utilizzasse per fini diversi da quelli indicati vada incontro ad una pena. Riteniamo che si potrà giungere ad una risposta solo dopo aver valutato se obbligare un individuo a gestire il suo denaro in un certo modo possa essere considerata un’infrazione alla sua autonomia.