I. Il paradigma del dono: un’analis
I.2. La gratuità del dono
“Gratuito” deriva dal termine latino gratus, che significa “piacevole ad altrui, grato”, indicando sia l’oggetto che è “gradito”, sia colui che prova “gratitudine” nel riceverlo e che, quindi, lo accoglie con favore. Gratus deriva a sua volta da gratia, che significa principalmente “grazia, benevolenza, favore”16.
Il termine “gratuito” ha acquisito numerosi significati17, alcuni dei quali, presentati di
seguito, possono risultare utili alla nostra analisi:
1. dato e fatto “per grazia”, per mera bontà di colui che dona e, quindi, libero, che non esige alcuna restituzione.
2. Ottenuto senza dare in cambio niente, qualcosa che è “gratis”.
16 Cfr. M. CORTELAZZO e C. MARCATO, Dizionario etimologico, UTET, Torino 1998.
17 Cfr. N. ZINGARELLI, Lo Zingarelli: vocabolario della lingua italiana, a cura di M. Cannella e B. Lazzerini,
3. Fatto senza un’utilità evidente, privo del valore d’uso (ad es. qualcosa che viene detto o fatto “gratuitamente”, cioè che non serve a niente).
4. Fatto senza prova, senza fondamento, cioè senza una ragione o un motivo apparente.
Generalmente, tendiamo ad associare al termine “gratuito” il significato (2), quello che si riferisce a qualcosa che si può ottenere senza la necessità di dare in cambio qualcos’altro: una cosa, cioè, che si può prendere “gratis”. Questo, però, è il significato che “gratuito” acquisisce nel contesto mercantile, dove viene utilizzato per indicare qualcosa che è eccezionalmente privo del valore di scambio. Come abbiamo visto sopra, la logica mercantile è diversa da quella del dono e, di conseguenza, non è automatico che questo significato di “gratuito” possa essere applicato anche al dono: è necessario, quindi, analizzare in quali modi il dono può essere “gratuito”.
Il dono è gratuito secondo il significato (1): esso è un gesto fatto per se stesso, compiuto semplicemente perché si vuole donare e, quindi, non al fine di ottenere qualcosa in cambio. Di conseguenza, possiamo affermare che il dono è doppiamente libero: da un lato, esso è libero nel senso di “spontaneo”, poiché il donatore lo compie per sua stessa volontà e non perché gli è stato imposto da altri18. Dall’altro lato, il dono è libero perché lascia libero chi lo riceve, non obbligandolo a ricambiare.
Ecco che quanto appena detto ci può aiutare a risolvere una prima importante questione: abbiamo affermato che il donatore si attende una restituzione da parte del ricevente e che, allo stesso tempo, il dono è libero proprio perché non obbliga colui che lo riceve a ricambiare. Ciò non è contraddittorio perché il donatore non esige bensì si aspetta di ricevere qualcosa in cambio: in altre parole, la restituzione non è pretesa in modo imperativo, bensì è semplicemente auspicata. A differenza di quanto avviene nel mercato, dove la restituzione è obbligatoria e non può non esserci, nella logica del dono la restituzione è “semplicemente” sperata, in quanto segnale che il dono è stato accettato e riconosciuto. Di conseguenza, poiché prevede, ma non pretende, una restituzione, il dono non sembra essere gratuito secondo il significato (2)19.
18 L’unica forma di obbligazione che non annulla il dono è quella interna al donatore stesso, un’obbligazione di
tipo morale, “cioè implicante la libertà come sua forma” (ZANARDO, Il legame del dono cit., pp. 545-546, nota 29).
19 Così Zanardo, a proposito della differenza tra dono e scambio: “Nello scambio ciascuno rappresenta per l’altro
un punto d’appoggio esterno di un movimento orientato su di sé. (…). La dimensione della reciprocità è qui coinvolta immediatamente e per definizione nella pratica dello scambio. Si tratta, in questo caso, di una reciprocità simmetrica o proporzionale che legifera sul tempo e sulla misura del secondo movimento. Il dono, invece, può essere raffigurato da <<due movimenti distinti>>, indipendenti l’uno dall’altro, (…), senza che nessun secondo movimento sia presupposto o implicato, anticipato o quantificato. Esso è semmai atteso e
Il dono è gratuito anche nel senso del significato (3), poiché, a volte, non ha alcuna utilità evidente, ma viene compiuto solo in vista della relazione con il donatario: quando, per esempio, doniamo dei fiori, ecco che stiamo donando una cosa che di per sé è totalmente inutile, ma che ci permette, in ogni caso, di esprimere qualcosa (interesse, gioia, congratulazioni) alla persona a cui li stiamo donando20. In altri casi, invece, il dono è utile, nel
senso che è un mezzo che permette di realizzare un certo scopo, ma questa utilità è strettamente condizionata dalla relazione con il donatario: quando io dono un oggetto “utile” o compio un servizio per qualcuno (es. lo accompagno all’ospedale) lo faccio con il preciso intento di beneficiare la persona con cui sono in relazione e non per ottenere qualcosa in cambio21. Il mio gesto è spontaneo, dato che ho deciso di compierlo senza essere stato costretto da qualcuno e lascia l’altro libero di ricambiare, anche semplicemente ringraziandomi.
Infine, il dono è gratuito secondo il significato (4), ovvero nel senso che, spesso, è un gesto che viene compiuto senza una motivazione apparente: ciò non significa che il donatore agisce “a caso”, ma che lo fa sulla base di un “impulso” e non di un calcolo accurato dei costi e dei benefici che questa azione potrebbe comportare. Questo aspetto del dono diventa comprensibile se pensiamo a tutte quelle volte in cui, in riferimento al gesto del “donare”, sentiamo dire o diciamo: “l’ho fatto perché volevo farlo” o “perché era la cosa da fare” o ancora “perché è giusto farlo”, senza che ci sia bisogno di aggiungere una motivazione ulteriore.
Questa breve analisi intorno al termine “gratuito” ci permette, quindi, di arrivare ad una conclusione importante: il dono è gratuito e questa gratuità si dà in molti modi, ma non nel senso mercantile di qualcosa che non vuole niente in cambio. La restituzione, la reciprocità, sono attese ma non pretese, a differenza di quanto avviene nello scambio all’interno del mercato, dove la “gratuità” (relativa a qualcosa che è “gratis”) è, in realtà, una mera eccezione. La restituzione di un dono, quindi, ha delle caratteristiche peculiari, tali da
20 Il fatto che, a volte, il dono non abbia alcuna utilità, ma venga compiuto solo per esprimere il legame con
l’altro è ben esemplificato dalla seguente situazione, che consiste in un riadattamento dal famoso esempio dei
tournées nei bistrots di C. Lévi-Strauss: quando mi trovo al bar con degli amici e ognuno di noi offre un giro agli
altri, paradossalmente finisco per pagare tutti i bicchieri che ho bevuto e così i miei amici. Questo esempio appare paradossale solo nel momento in cui lo analizziamo nell’ottica del bilancio monetario, cioè dell’utilità che circola tra di noi: l’assurdità svanisce quando, invece, si pensa a questo come ad un gesto che ci permette di manifestare il valore del legame che ci unisce gli uni agli altri (GODBOUT, La circolazione mediante il dono cit., pp. 30-31).
21 Proprio per questo motivo, il dono sembra fuoriuscire dalla logica mezzi-fini: noi non doniamo per ricevere
qualcosa, bensì perché, con il nostro dono, vogliamo “andare” verso l’altro. Come sostiene Godbout, la logica del dono prevede che si voglia un fine (il ricevere), servendosi di un mezzo per ottenerlo (il donare), senza considerare nello stesso tempo che si tratta di un mezzo. Secondo Godbout, inoltre, la logica mezzi-fini è inapplicabile al dono perché essa è “un certo tipo di legame tra un’azione presente e un’azione futura, legame lineare che è alla base dell’anticipazione, del calcolo (…)” il che, come vedremo tra poco, non sembra coincidere con la dinamica del dono (GODBOUT, Lo spirito del dono cit., p. 127).
distinguerla dalla restituzione così come è intesa nel mercato: queste caratteristiche verranno approfondite nel paragrafo seguente.