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Il dono al servizio della relazione

I. Il paradigma del dono: un’analis

I.1. Il dono al servizio della relazione

Se ci venisse richiesto di indicare la caratteristica principale del dono1, istintivamente diremmo che esso è “gratuito”, ovvero che non vuole niente in cambio. Altrettanto istintivamente, cercheremmo di distanziare il più possibile il dono da ciò che riteniamo essere la sua antitesi, ovvero il mercato.

Il meccanismo alla base del mercato è, infatti, quello dello scambio reciproco, dove io do qualcosa per ottenerne un’altra in cambio: le cose che vengono scambiate devono necessariamente essere equivalenti tra loro, altrimenti lo scambio che ne risulta è squilibrato2. Questa equivalenza viene segnalata dal prezzo, che indica il “valore di scambio” della cosa a cui si riferisce, ovvero la quantità di denaro che ne rende possibile la vendita e l’acquisto. Oltre al valore di scambio, un oggetto possiede anche il cosiddetto “valore d’uso”, ovvero la capacità, misurata in termini monetari, di soddisfare un determinato fabbisogno, cioè di essere “utile”.

La logica del mercato, qui delineata in modo estremamente semplificato, appare del tutto estranea alla comune concezione del dono: quando doniamo non ci aspettiamo di ricevere qualcosa di equivalente in cambio e, anzi, se ciò avvenisse probabilmente ci offenderemmo molto. Questo accadrebbe perché il nostro gesto non ha come scopo quello di ricevere qualcosa in cambio, bensì quello di mostrare alla persona a cui doniamo che teniamo a lei e al rapporto che ci lega: in altre parole, attraverso il dono che facciamo esprimiamo la nostra partecipazione al rapporto con un’altra persona e, quindi, il fatto che questo rapporto è importante per noi. Di conseguenza, non è importante ciò che doniamo o ciò che ci viene donato, ma quello che esprimiamo attraverso il dono, ovvero il nostro interesse verso colui a cui è indirizzato: è questo ciò che intendiamo quando diciamo che “basta il pensiero”.

1 Con il termine “dono” non facciamo qui riferimento semplicemente al “regalo”, il quale viene generalmente

fatto in un’occasione prestabilita, ma anche a tutta una serie di atti le cui caratteristiche verranno delineate nel corso delle pagine seguenti.

2 “Il principio del mercato è l’equivalenza tra le cose, indipendentemente dal legame tra le persone”: questo è

quanto sosteneva G. Simmel, citato da J. T. Godbout in J. T. GODBOUT, La circolazione mediante il dono, in AA. VV., Il dono perduto e ritrovato, trad. it. di A. Salsano, Manifestolibri, Roma 1994, pp. 25-41, qui p. 28.

Per usare un’espressione di Jacques Godbout, possiamo dire che il dono è “al servizio del legame”3 che intratteniamo con la persona a cui stiamo donando, proprio perché esso è

uno strumento con cui noi alimentiamo, manteniamo e sosteniamo questo legame. Anche il dono, allora, ha un valore, che possiamo definire come “valore di legame”4, il quale consiste

nella capacità del dono di esprimere, rafforzare, e veicolare il legame con il donatario. Il valore di legame è quel “di più” che noi avvertiamo in un dono, ciò che si “aggiunge” al legame e a cui ci riferiamo, in modo indefinito, come al valore “simbolico” del dono.

Nel mercato le cose non hanno un valore di legame, poiché qui il legame viene inteso in modo del tutto diverso rispetto a quanto avviene nella logica del dono. Nel mercato, infatti, il legame è funzionale allo scambio, cioè al bene che vogliamo acquisire: in altre parole, il legame è semplicemente un mezzo che ci serve per contrattare, cioè per stabilire l’equivalenza tra le cose da scambiare. In alcuni casi, quando questa equivalenza è già stata fissata attraverso il prezzo, il rapporto è minimo o non esiste nemmeno: ciò è particolarmente evidente quando, terminato lo scambio, i due contraenti rimangono del tutto estranei tra loro, proprio perché il loro interesse non è rivolto alla relazione con l’altro, bensì solamente ai beni che scambierà5.

Comprendiamo meglio la differenza tra il mercato e il dono facendo riferimento al diverso ruolo che il legame ricopre in questi due contesti: nella logica del mercato, il legame è solo un mezzo per realizzare lo scambio; il dono, invece, è al servizio del legame che contribuisce ad alimentare, derivando da esso il suo valore. Di conseguenza, mentre l’equivalenza, ovvero il principio del mercato, viene fissata al di fuori del legame tra i soggetti, il dono ha come fine il legame e deve tener conto delle sue caratteristiche e di quelle delle persone coinvolte: uno stesso dono, infatti, avrà un valore differente in base al contesto di legame in cui è situato6.

Possiamo, allora, affermare che quello del dono è un “atto relazionale”, poiché ha come fine la relazione con il donatario7. Data la sua dimensione relazionale, il dono non coinvolge solo chi lo compie ma anche l’altro con cui ci si relaziona: il gesto del dono, quindi,

3 Ivi, p. 30.

4 M. AIME, Da Mauss al MAUSS, intr. a M. MAUSS, Saggio sul dono. Forma e motivo di scambio nelle società

arcaiche, trad. it. di F. Zannino, Einaudi editore, Torino 2002, pp. VII-XXVIII, qui p. XIII.

5 “Il mercato – sostiene Godbout – è un modo di comunicare con l’estraneo quando si vuole che resti un estraneo

dopo lo scambio” (GODBOUT, La circolazione mediante il dono cit., pp. 26 e ss.).

6 Nel sistema di mercato “le cose valgono soltanto tra loro”, a differenza di quello del dono, dove “le cose

valgono quel che vale il rapporto, e lo alimentano” (J. T. GODBOUT, Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 17).

7 Per alcuni autori, tra cui Marzano-Parisoli, è la natura relazionale del dono che lo rende una “forma peculiare di

rapporto etico” (M. M. MARZANO-PARISOLI, Etica del dono e dono degli organi tra reciprocità, altruismo e

non si esaurisce nel movimento del “dare”, ma comprende anche quello del “ricevere”. Secondo Susy Zanardo, infatti:

“[I]ntendiamo per dono una relazione, non una cosa né un atto individuale. Non è un atto individuale, perché, se il dono sta per il gesto del donatore, tuttavia, ad ogni dare corrisponde un ricevere, cioè una forma seppur minima di unità tra chi dispensa e chi accoglie o rifiuta, i quali si dispongono reciprocamente l’uno nei riguardi dell’altro”8.

Proprio per questo motivo, quindi, quando parliamo di “dono” dobbiamo sempre fare riferimento a tre elementi: un donatore, un donatario e un dono.

“La relazione di dono si manifesta, infatti, nella struttura ternaria del trasferimento di qualcosa da qualcuno a qualcun altro (…): dare qualcosa a nessuno sarebbe, allora, un’azione priva di senso come dare niente a qualcuno”9.

Per non cadere nell’indifferenza, per non essere un gesto “vuoto”, il dono deve essere ricevuto, cioè accolto e riconosciuto in quanto dono10: in caso contrario, il dono non viene reso “operativo”, cioè fecondo, poiché non contribuisce al mantenimento della relazione. Se, invece, il dono viene accolto e riconosciuto in quanto tale, ecco che, molto probabilmente, colui che lo riceve vorrà ricambiare questo gesto. Oltre al “dare” e al “ricevere”, quindi, il gesto del dono coinvolge anche un terzo movimento, quello del “ricambiare”11.

È necessario fare delle precisazioni a proposito di quanto appena detto. Come visto sopra, il dono è del tutto estraneo al principio di equivalenza proprio del mercato: ciò significa che il “dare” e il “ricambiare” non sono equivalenti tra loro e, anzi, affinché il dono sia tale, non devono nemmeno esserlo. Se qualcuno ricambiasse il nostro dono con uno equivalente probabilmente ci offenderemmo, perché penseremmo che colui al quale l’abbiamo donato non abbia compreso che abbiamo agito avendo come fine la nostra relazione e, quindi, non per ottenere qualcosa in cambio. Il “dare” e il “ricambiare”, quindi, non cercano un equilibrio,

8 S. ZANARDO, Il legame del dono, Vita e Pensiero, Milano 2007, p. 535, corsivo nel testo. 9 Ivi, pp. 535-536, corsivo nel testo.

10 MARZANO-PARISOLI, Etica del dono cit., p. 114.

11 Il triplice meccanismo del dare-ricevere-ricambiare alla base del dono è stato problematizzato in modo

sistematico da Marcel Mauss nel suo Saggio sul dono, punto di partenza di ogni riflessione sul dono. È necessario sottolineare, però, che nel dono analizzato da Mauss, ovvero quello delle società “tradizionali”, questi tre movimenti erano obbligatori e che il rifiuto di eseguire uno dei tre era paragonabile ad una “dichiarazione di guerra” (MAUSS, Saggio sul dono cit., pp. 21-22). Come vedremo tra poco, non possiamo fare un discorso analogo a proposito del dono “moderno”.

Per un’interpretazione dell’obbligatorietà del dono “cerimoniale” o “tradizionale” rimandiamo a M. HÉNAFF, Il

prezzo della verità. Il dono, il denaro, la filosofia, trad. it. di R. Cincotta e M. Baccianini, Città Aperta Edizioni,

bensì un “debito reciproco continuo”: ne deriva che il dono è, per sua natura, un atto asimmetrico12.

Questo squilibrio è “reciproco” nel senso che, in una relazione, la distinzione tra dare- ricambiare e donatore-donatario non è netta, ovvero non c’è qualcuno che sempre dà e qualcuno che sempre riceve, ma questi ruoli vengono ricoperti in modo alternato: se così non fosse, colui che donasse sempre, senza mai ricevere a sua volta un dono, potrebbe sentirsi imbrogliato, usato e porrebbe fine alla relazione. In una relazione “sana”, invece, si arriva a sentire da entrambi i lati che ogni “dare” è in realtà un “restituire” a quanto l’altro ci ha donato13. Ciò comporta che la differenza tra “dare” e “ricambiare” è soltanto analitica: si dona e se dalla storia passata della nostra relazione risulta che si è già ricevuto, allora possiamo definire questo gesto “ricambiare”14.

Quanto appena detto ci permette di comprendere un’altra importante caratteristica del dono: esso non è mai un gesto isolato, ovvero non è mai sganciato dal contesto spazio- temporale in cui si è snodata e si snoda la relazione. Anzi, proprio come accennavamo sopra, il gesto del dono prende senso in base alle caratteristiche della relazione stessa, la quale è fatta di momenti passati e futuri15.

Facciamo un breve riassunto di quanto detto fin qui: il dono è un atto relazionale e gratuito, che viene compiuto non al fine di ottenere qualcosa in cambio, bensì per alimentare la relazione con la persona alla quale si dona. In quanto atto relazionale, il dono è costituito non solo dal gesto del dare, ma anche da quelli del ricevere e del ricambiare: l’accoglienza del dono da parte del ricevente è, infatti, un elemento essenziale, perché testimonia che il gesto del donatore è stato riconosciuto. Chi dona, di conseguenza, si attende che il suo gesto venga

12 “[L]a restituzione [del dono] in genere si allontana dal principio di equivalenza mercantile. Sembra anzi che

spesso i partners provino un piacere malizioso a squilibrare costantemente lo scambio rispetto all’equivalenza mercantile, in altri termini a mantenersi costantemente in stato di debito reciproco” (GODBOUT, La

circolazione mediante il dono cit., p. 33).

13 “Il circolo del dono non è solo dare e ricevere, ma è altresì ricambiare e restituire. Il rapporto di scambio è

attivo-passivo sui due fronti: di chi dona e di chi riceve e a sua volta ricambia” (F. Buzzi, citato da M. Picozzi in M. PICOZZI, La gratuità del dono del plasma: il punto di vista del bioetico, Atti del Convegno “Autosufficienza plasma e plasmaderivati” tenutosi il 25 giugno 2016 a Mestre, p. 3, corsivo nel testo, disponibile al sito https://www.avisveneto.it/documento/relazioni-convegno-autosufficienza-plasma-plasmaderivati-del-25-giugno- 2016-mestre-ve/, consultato il 22 maggio 2017).

14 GODBOUT, Lo spirito del dono cit., p. 125.

15 Un parere diverso è stato espresso, tra gli altri, da Jacques Derrida, secondo il quale il vero dono si realizza

solo quando sia il donatore sia il donatario rimangono inconsapevoli della sua natura di dono: ciò si verifica quando il primo dona senza sapere di donare e il secondo non sa di aver ricevuto un dono. Inoltre, “affinché ci sia dono, non basta che il donatario o il donatore non percepisca il dono come tale, non ne abbia né coscienza né memoria, né riconoscimento; è necessario anche che lo dimentichi immediatamente e che questo oblio sia così radicale da oltrepassare persino la categoria psicoanalitica dell’oblio.” Il dono così inteso, che esiste solo “non esistendo”, non sembra nutrire il legame tra donatore e donatario, né sembra prender senso dalle sue caratteristiche: le condizioni di possibilità del darsi del dono sono, infatti, “l’oblio, l’inapparenza, la non- fenomenicità, la non-percezione, la non-conservazione” (J. DERRIDA, Donare il tempo. La moneta falsa, trad. it. di G. Berto, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, qui p. 18).

accolto e riconosciuto e, quindi, che venga ricambiato in un certo modo: non con un dono equivalente, ma con uno che rispecchi le caratteristiche della relazione.

Soffermandoci su quanto appena detto, ecco che, però, sembra delinearsi all’orizzonte una contraddizione che potrebbe rimettere in gioco tutto quello che abbiamo analizzato fin qui. Abbiamo visto che il donatore si aspetta che il donatario ricambi il suo gesto, cioè testimoni di aver riconosciuto che gli è stato donato qualcosa: se questo non accadesse mai, cioè se il donatore si ritrovasse sempre a donare e mai a ricevere, ecco che la relazione, oltre a non essere “sana”, ne risulterebbe compromessa. L’attesa del gesto del ricambiare, però, sembra essere in contraddizione con quello che abbiamo definito il carattere “gratuito” del dono: il punto di partenza della nostra analisi è stata, infatti, la considerazione che il dono non esige niente in cambio. In caso contrario il dono non sarebbe più tale, ma cadrebbe nella logica dello scambio mercantile, in cui ad ogni “dare” deve necessariamente seguire un “ri- dare” indietro.

Ecco che, allora, sembra profilarsi davanti a noi l’impossibilità di compiere un dono autentico: è possibile conciliare la gratuità del dono e l’inevitabile attesa della restituzione senza ricadere, così, nella logica del mercato? Per poter rispondere a questa domanda è forse necessario analizzare in modo più approfondito i concetti coinvolti in questa apparente

impasse, ovvero quelli di “gratuità” e di “restituzione”.