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La donazione di organi da vivente

II. Dono e trapiant

II.1. La donazione di organi da vivente

Partiamo dal caso più semplice, quello che istintivamente ci sembra più vicino al dono così come l’abbiamo delineato nei paragrafi precedenti: la donazione di organi da vivente “standard”34.

Come visto in precedenza35, la donazione da vivente si effettua tra persone che

intrattengono dei comprovati legami di parentela (genitori, figli, fratelli), di legge (coniuge) o di affetto. È proprio la presenza di questo stretto legame tra donatore e ricevente, infatti, che legittima un atto che è, a tutti gli effetti, una mutilazione36. Questi legami vengono

“comprovati” da una “commissione di parte terza”, indipendente dalle equipe che effettuano il prelievo e l’innesto, avente il compito di verificare la presenza di questo legame tra il donatore e il ricevente. La stessa commissione, inoltre, deve valutare le motivazioni che hanno spinto il soggetto donatore a rendersi disponibile all’espianto, escludendo che egli sia stato sottoposto a qualsiasi forma di coercizione o pressione esterna e che non gli sia stata promessa in cambio alcuna forma di compenso o retribuzione. Egli, inoltre, deve dimostrare di aver compreso i limiti di questa terapia e le possibili conseguenze che potrebbero derivargli.

Per procedere alla donazione è necessario, inoltre, ottenere il nulla osta da parte di un Magistrato del Tribunale competente, ovvero quello del territorio in cui risiede il donatore o ha sede l’istituto dove viene effettuato il trapianto. Accertata l’idoneità del donatore e l’esistenza di un parere tecnico favorevole al trapianto, il Magistrato dà il via libera alla procedura.

Già in partenza notiamo la presenza di tre elementi riscontrati nel corso dell’analisi sul dono: il primo consiste nell’esistenza di una relazione di cui devono essere vagliate la storia e le caratteristiche; il secondo riguarda un gesto che deve essere spontaneo, ovvero che deve derivare dalla sola volontà di chi lo compie. La presenza di questi elementi è assicurata da un soggetto esterno e imparziale, ovvero una commissione i cui membri non sono in conflitto di interessi con la realizzazione dell’espianto e del successivo impianto dell’organo.

Il terzo elemento riguarda la libertà del ricevente: secondo quanto stabilito dalla legge37, infatti, l’atto del donatore non fa sorgere alcun diritto su colui che riceve l’organo. In altre parole, il donatore non può pretendere di ottenere qualcosa in cambio, come una

34 Con il termine “standard” vogliamo indicare che, in questo paragrafo, non verrà presa in considerazione la

donazione samaritana, la quale, date le sue caratteristiche particolari, sarà analizzata separatamente (cfr. pp. 119 e ss.). Inoltre, il termine “donazione” viene utilizzato, per il momento, in senso neutro, ovvero senza riferirsi al “dono” così come è stato analizzato sopra.

35 Cfr. p. 51.

36 Come visto nel capitolo III, la donazione da vivente rappresenta una deroga all’art. 5 del codice penale, che

stabilisce il divieto di disporre del proprio tramite atti che comportino una diminuzione permanente dell’integrità fisica.

retribuzione o qualsiasi altra forma di compenso, ma deve lasciare libero il ricevente di ricambiare, se vorrà farlo, nei modi e nei tempi che sentirà più adeguati. Di conseguenza, possiamo affermare che la disciplina che regola la donazione da vivente garantisce la doppia libertà di questo gesto: quella del donatore, che deve essere libero da coercizioni e pressioni esterne; quella del ricevente, che non ha alcun obbligo di restituzione nei confronti del donatore.

Per comprendere a fondo l’esperienza della donazione da vivente, però, la giurisprudenza da sola non è sufficiente. È necessario, quindi, affidarsi alle testimonianze e agli studi che sono stati condotti sui donatori viventi e sui riceventi di trapianti di organo: essi possono aiutarci ad approfondire ciò che ci interessa maggiormente, ovvero se le persone coinvolte in questa esperienza pensano ad essa nei termini di un “dono”.

Per quanto riguarda i donatori, sembra che, nella maggior parte dei casi, la decisione di donare un organo ad un parente o ad un amico non sia basata tanto sul calcolo dei costi e dei benefici derivanti da questo gesto, quando su una sorta di “impulso affettivo”. Ciò non significa che i donatori decidono in modo avventato, anche perché, secondo la normativa vigente, per essere considerati dei potenziali donatori bisogna dimostrare di essere a conoscenza e di aver compreso sia i limiti della terapia del trapianto, sia le conseguenze personali che questo gesto comporta. L’“impulso” alla base della decisione di donare può essere spiegato dal fatto che, per la maggior parte dei donatori, questo gesto è semplicemente “la cosa giusta da fare”, quella che “deve essere fatta” e che, quindi, non richiede nessun calcolo ulteriore38.

Il fatto che questo gesto venga avvertito come qualcosa di “naturale” può essere compreso anche considerando che, per molti donatori, in particolar modo per i genitori che donano ad un figlio, l’essere qualificati come compatibili ha un elevato significato morale39.

Molto spesso, di conseguenza, l’aver dato un proprio organo ad una persona cara si configura come l’atto più importante della vita dei donatori: questo gesto non viene rimpianto e, anzi, in alcuni casi trasforma colui che l’ha compiuto. Per molti donatori, infatti, l’aver donato ha avuto come conseguenza l’aumento dell’autostima e del rispetto per se stessi, da cui è derivato un effetto benefico sulle loro vite40. Ecco che ritroviamo, in quanto appena detto,

38 “Based on a pre-reflective relation of generosity and care, the ethical motivation that prompts gift-giving in

this domain occurs before the conscious articulation of moral principles or behavioural systems of rules and conventions” (R. M. SHAW, Expanding the Conceptual Toolkit of Organ Gifting, “Sociology of Health & Illness”, 6 (2015), pp. 952-966, qui pp. 956-957).

39 Ivi, p. 957.

40 P. GILL and L. LOWES, Gift Exchange and Organ Donation: Donor and Recipient Experiences of Live

Related Kidney Transplantation, “International Journal of Nursing Studies”, 45 (2008), pp. 1607-1617, qui p.

l’elemento del piacere del dono, ovvero della gratificazione compresa nel gesto stesso del dare.

Sarebbe semplicistico, però, sostenere che la restituzione consiste solamente nel piacere di aver compiuto un atto così importante: alla gioia di vedere un proprio caro riacquistare salute, si aggiunge la possibilità di recuperare la propria vita, se si è stati per lungo tempo dei caregivers, o di recuperare la vita insieme all’altra persona, soprattutto nei casi in cui donatore e ricevente sono una coppia41. Come abbiamo sottolineato in precedenza,

è fuorviante pensare che il dono si esaurisca in un atto di puro altruismo e che, quindi, venga snaturato dalla presenza di una restituzione: è proprio il verificarsi di una restituzione libera, spontanea, qualificabile a sua volta come dono, che conferma, invece, il carattere di “dono” del gesto stesso. Inoltre, quando questa restituzione è interna al gesto del dare, essa segnala che il donatore ha agito spontaneamente, sulla base della sua esclusiva volontà.

Alcune difficoltà sorgono a proposito dalla ricezione dell’organo da parte del paziente: egli può essere combattuto se accettarlo o meno e questa titubanza deriva, generalmente, da una preoccupazione per la salute del donatore e per le conseguenze che potranno derivargli dall’essersi privato di una parte del proprio corpo. Inoltre, un gesto così “grande” come quello della donazione di un organo, che può significare, per chi lo riceve, la possibilità di ricominciare la propria vita, rischia di generare nel ricevente un enorme senso di debito nei confronti del donatore. Ciò avviene non solo per le possibili conseguenze dell’operazione di prelievo su colui che dona, ma anche perché il ricevente può sentirsi impossibilitato a ricambiare.

La soluzione di questi due problemi sembra coinvolgere, a nostro avviso, alcuni elementi fondamentali del dono. Per quanto riguarda l’accettazione dell’organo, sembra che il ricevente possa sentirsi rassicurato se il donatore gli garantisce di aver preso la sua decisione in assoluta libertà, con la consapevolezza delle sue possibili conseguenze42. Questo ci riporta

all’importanza della fiducia nel gesto del dono: colui che dona deve fidarsi del fatto che il suo gesto verrà riconosciuto come dono; colui che riceve deve fidarsi del fatto che ciò che sta ricevendo è un dono, il quale, di per sé, non esige niente in cambio. Oltre alla fiducia, quindi, anche la libertà riveste una certa importanza nella donazione da vivente: il fatto che il gesto del donatore sia libero, infatti, rende il ricevente psicologicamente e fisicamente libero di accettare quanto gli viene dato.

Per quanto riguarda il senso di debito dei riceventi, sembra che evitare di ricordare loro il fatto di aver subito un trapianto agevoli la ripresa delle loro condizioni di salute, poiché

41 SHAW, Expanding the Conceptual Toolkit cit., p. 957.

permette loro di non pensare più a se stessi solo come a dei “pazienti” o a dei “trapiantati”43.

Come abbiamo visto, il donatore tende a negare il suo dono e anche il suo desiderio di una restituzione: questo, infatti, è l’unico modo per garantire la libertà e la spontaneità della restituzione stessa, ovvero il fatto che essa diventi, a sua volta, un dono. Questo meccanismo sembra realizzarsi anche nel campo della donazione da vivente: evitare di ricordare al trapiantato di aver ricevuto un dono sembra essere una condizione fondamentale affinché egli riesca ad accettare e a vivere appieno questo dono. Ecco che allora, grazie al suo carattere implicito e doppiamente libero, il gesto del donatore si realizza come un dono veramente fecondo, che dona a chi lo riceve la possibilità di donare a sua volta.

La donazione di organi da vivente sembra, quindi, configurarsi a tutti gli effetti come un dono. In questo fenomeno, infatti, abbiamo ritrovato gli elementi principali della nostra precedente analisi: la doppia libertà del donatore e del donatario; l’importanza della fiducia da parte di entrambi; il carattere implicito del dono, necessario, in questo caso, al fine di permettere l’accettazione dell’organo da parte del ricevente; la gratuità, intesa sia come assenza dell’obbligo di ricambiare, sia nel senso di compiere un gesto senza il bisogno di affidarsi ad una deliberazione razionale. Alla gratuità del gesto si ricollega, infine, la gratificazione, che ritroviamo sia nel donatore, il quale viene accresciuto moralmente dal gesto compiuto, sia nel ricevente, che grazie a questo dono ha la possibilità di riprendere la sua vita.

Le considerazioni fatte sopra possono essere estese, fatte le dovute distinzioni già citate sopra, anche ad altre tipologie di donazione da vivente, come la donazione ad uso autologo-dedicato di staminali emopoietiche da sangue cordonale e la donazione di tessuti e di midollo osseo destinata ad un ricevente con cui si ha un legame di parentela, di legge o affettivo.