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Il dono rifiutato: il divieto delle trasfusioni di sangue nel culto dei Testimoni di Geova

III. Due casi limite di dono

III.2. Il dono rifiutato: il divieto delle trasfusioni di sangue nel culto dei Testimoni di Geova

Ci sono casi in cui il dono è irrealizzabile, sia perché non vuole essere ricevuto, sia perché non vuole essere donato. Ciò si verifica anche nell’ambito dei trapianti, quando alcune persone, sulla base di motivazioni religiose, ideologiche, culturali, decidono di non donare le proprie parti del corpo.

Il caso dei Testimoni di Geova è, in questo senso, esemplare, poiché, secondo il loro culto, il dono del sangue è doppiamente vietato: esso non può essere né ceduto ad altri, né ricevuto. Le motivazioni alla base di questo divieto sono eminentemente religiose e si basano sull’interpretazione letterale di alcuni passi della Bibbia84, come, ad esempio:

“Solo non dovete mangiare la carne con la sua anima, il suo sangue” [Genesi 9,4]

“Non dovete mangiare il sangue di nessuna sorta di carne, perché l’anima di ogni sorta di carne è il suo sangue” [Levitico 17,14]

“Si ordini loro di astenersi […] dal sangue” [Atti 15,20]

84 https://www.jw.org/it/cosa-dice-la-Bibbia/domande/bibbia-su-trasfusioni-di-

sangue/#?insight[search_id]=133f6240-1ffb-4400-bea2-2b55b44dcf13&insight[search_result_index]=1 (consultato il 22 giugno 2017).

Da questi passi deriva il divieto di nutrirsi del sangue, che è stato allargato anche a tutti gli altri usi dello stesso, tra cui quello terapeutico. Attualmente, tale divieto vale per il sangue intero e i suoi quattro componenti principali, ovvero le piastrine, il plasma, i globuli rossi e i globuli bianchi: l’utilizzo terapeutico delle frazioni di questi componenti (ad es. albumina e immunoglobuline) non è incoraggiato né vietato ma viene lasciato alla decisione del singolo85.

Il divieto di utilizzo del sangue pone diversi problemi nel momento in cui un paziente Testimone di Geova necessiti di una trasfusione: in questo caso, infatti, vengono a scontrarsi due principi fondamentali, ovvero l’autodeterminazione del paziente e la responsabilità del medico.

Da un lato, ogni individuo ha il diritto di autodeterminarsi rispetto alla propria salute: come stabilito dall’art. 32 della Costituzione Italiana, la salute è un diritto fondamentale del paziente e nessuno, tranne in alcuni casi previsti dalla legge, può essere obbligato a sottoporsi ad un certo trattamento sanitario. Per poter esercitare questo diritto, il paziente deve essere adeguatamente informato circa l’iter terapeutico a cui sarà sottoposto, i suoi rischi e le sue conseguenze: solo dopo aver ricevuto queste informazioni, infatti, egli sarà in grado di effettuare la scelta più vicina alla sua autodeterminazione e di esprimerla attraverso lo strumento del consenso (o dissenso) informato. Dall’altro lato, il medico ha il dovere di tutelare la vita e la salute psico-fisica di ogni paziente: egli, quindi, deve proporre al soggetto il trattamento migliore dal punto di vista del rapporto rischi-benefici86.

Nel caso di un paziente Testimone di Geova il trattamento “migliore” non sempre coincide con quello compatibile con le proprie convinzioni religiose, perché potrebbe implicare una trasfusione di sangue. Medico e paziente dovrebbero allora concordare una terapia alternativa che non violi le norme stabilite dal culto del paziente: tale terapia, però, potrebbe non essere quella più efficace, sicura o accreditata87. Per questo motivo, il medico

avrebbe l’obbligo di assicurarsi che il paziente sia in grado di comprendere i rischi a cui va incontro (ad es. perdita eccessiva di sangue, elevato tasso di mortalità o morbilità, danno permanente) e che la sua decisione non derivi da qualche costrizione o manipolazione da parte di terzi. Nel caso in cui non fossero disponibili terapie alternative a quella che richiede l’uso del sangue, il paziente Testimone di Geova potrebbe rifiutarsi di sottoporsi alla cura, anche se ciò significasse andare incontro a morte certa. In questa eventualità, se il dissenso del paziente fosse informato, non equivoco e consapevole, il medico che proseguisse la terapia non

85 O. MURAMOTO, Bioethical Aspects of the Recent Changes in the Policy of Refusal of Blood by Jehovah’s

Witnesses, “The British Medical Journal”, 322 (2001), pp. 37-39, qui p. 38.

86 J. GIANMATTEO et al., Autodeterminazione e responsabilità sanitaria: le trasfusioni di sangue nei pazienti

Testimoni di Geova, “Pratica Medica & Aspetti Legali”, 11 (2017), pp. 23-27, qui pp. 24-25.

rispetterebbe la volontà e l’autonomia del paziente, interferendo con la sua libertà di autodeterminarsi.

La situazione più problematica è rappresentata da un paziente incosciente, o comunque non in grado di esprimere il proprio consenso (o dissenso), le cui condizioni cliniche richiedono che venga presa una decisione nel più breve tempo possibile (ad es. un codice rosso chirurgico in Pronto Soccorso). In questo caso, il medico si troverebbe davanti ad una scelta altamente delicata, complessa e paradossale: se decidesse di non intervenire per rispettare le credenze religiose del paziente, lo condannerebbe a morte certa e, con molta probabilità, verrebbe accusato di omissione di soccorso o di omicidio doloso. Dall’altro lato, se decidesse di intervenire per salvare la vita al paziente, violerebbe la libertà di autodeterminazione del paziente stesso88.

Per capire meglio la posta in gioco, è necessario soffermarsi sulle conseguenze a cui si sottoporrebbe un paziente Testimone di Geova che ricevesse una trasfusione di sangue. Secondo le attuali disposizioni della Società Torre di Guardia, l’organo principale del movimento dei Testimoni di Geova, ricevere una trasfusione comporta automaticamente l’espulsione pressoché perenne dalla congregazione. Colui che viene scomunicato deve allontanarsi dalla comunità e i suoi parenti e amici hanno il divieto di avere contatti con lui, poiché non ha rispettato i principi del culto: l’isolamento sociale è, quindi, un deterrente molto forte nei confronti dell’infrazione del divieto di ricevere trasfusioni. Per alcune persone, inoltre, la dimensione religiosa è un elemento fondamentale della propria vita ed esserne privati significherebbe essere costretti a vivere una vita priva di senso: a questo, quindi, sarebbe preferibile la sofferenza o anche la morte89. Tutti questi elementi, quindi, influenzano

in modo importante la decisione del paziente.

Dall’altra parte, alcuni individui potrebbero non condividere la posizione ufficiale circa le trasfusioni di sangue: di conseguenza, essi potrebbero accettare una terapia che la preveda, a patto che venga mantenuta, a riguardo, la massima riservatezza da parte del medico90. L’impossibilità di generalizzare le credenze dei pazienti Testimoni di Geova rende ancora più indispensabile la presenza di un consenso inequivocabile, informato e consapevole prima dell’inizio di una terapia.

Tornando alla situazione di emergenza, possono verificarsi due eventi. Nel primo, il paziente non ha espresso, in precedenza, alcun dissenso in merito alle trasfusioni: in questo

88 B. MAGLIONA e M. DEL SANTE, Trasfusioni di sangue e Testimoni di Geova: il ruolo del medico tra

rispetto della volontà del paziente e stato di necessità, “Rivista italiana di medicina legale”, 31 (2009), pp. 71-

99, qui p. 74.

89 R. CHUAM and K. F. THAM, Will “no blood” Kill Jehovah Witnesses?, “Singapore Medical Journal”, 47

(2006), pp. 994-1002, p. 997.

caso, il medico potrebbe procedere all’intervento che ritiene indispensabile per beneficiare la salute del paziente. Egli potrebbe invocare il cosiddetto “stato di necessità” previsto dall’art. 54 del codice penale, il quale stabilisce che “Non è punibile chi ha commesso il fatto perché costretto dalla necessità di salvare altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.

In merito al caso di un paziente che avesse già espresso il proprio dissenso o portasse con sé un documento attestante il rifiuto delle trasfusioni di sangue, sono riscontrabili due posizioni. La prima si focalizza sul ruolo del dissenso (consenso) informato: esso è l’istituto che tutela la libertà assoluta di autodeterminazione del paziente e, quindi, è pienamente legittimo anche nel caso in cui comporti un pericolo per la vita del paziente stesso. La seconda, invece, non ritiene valido il dissenso precedente, poiché esso fa riferimento ad una situazione diversa da quella attuale, cioè una situazione in cui il paziente non si trovava in pericolo di vita. Per essere vincolante, il dissenso deve essere inequivocabile, attuale, effettivo e consapevole, cioè deve presupporre l’effettiva conoscenza dello stato di salute e delle sue possibili conseguenze: per questo motivo, il dissenso espresso prima che il soggetto si trovasse in condizioni di emergenza non può essere considerato operante. Di conseguenza, il medico è legittimato ad intervenire per salvare la vita al paziente, facendo appello, in caso di controversie etico-legali, allo “stato di necessità”91.

Nonostante venga considerato legittimo, l’intervento del medico in questa situazione di emergenza rimane problematico. Si potrebbe obiettare che il rifiuto dei Testimoni di Geova prescinde dai benefici fisici, inclusa la salvaguardia della vita: di conseguenza, non sembra essere possibile giustificare l’intervento facendo riferimento al nostro innato istinto di conservazione92. Inoltre, qualcuno potrebbe obiettare che il richiamo allo “stato di necessità”

non può valere in questo caso, poiché è una deroga immotivata al diritto di rifiutabilità delle cure sanitarie del paziente.

Il problema principale risiede nella difficoltà di tracciare una linea di demarcazione netta tra il rispetto della volontà del paziente e la tutela della sua vita: attualmente questa scelta è lasciata al medico, il quale viene chiamato a decidere quale tra questi due interessi debba prevalere. La soluzione potrebbe consistere, allora, nel fissare i limiti dell’intervento medico, promuovendo, da un lato, dei protocolli che indichino le linee generali da adottare; dall’altro, una disciplina penalistica del consenso, che indichi quali siano le conseguenze penali della sua violazione93.

91 GIAMMATTEO et al., Autodeterminazione e responsabilità cit., pp. 25 e ss. 92 MAGLIONA e DEL SANTE, Trasfusione di sangue cit., p. 86.