Per comprendere la posizione di H. T. Engelhardt Jr. circa la vendita delle parti del corpo è necessario fare riferimento, prima di tutto, alla prospettiva morale generale delineata da questo autore. La riflessione di Engelhardt parte dalla frammentazione della morale contemporanea in una molteplicità di morali “sostanziali”, ovvero aventi un determinato contenuto. Ognuna di esse è inevitabilmente particolare, poiché si basa su premesse non giustificabili al di fuori di una certa tradizione, ideologia o religione. Di conseguenza, secondo Engelhardt, non è possibile arrivare a delineare una morale sostanziale universale, ovvero una morale il cui contenuto sia accettato e condiviso da tutti8.
Le società contemporanee sono formate da una molteplicità di comunità, di cui fanno parte gli “amici morali”, ovvero le persone che condividono una certa morale sostanziale: gli amici morali sono, quindi, accomunati da una determinata concezione della vita moralmente buona, degli obblighi morali, dei vizi e delle virtù. Coloro che non condividono la stessa morale sostanziale vengono definiti “stranieri morali”: questi non possiedono la stessa visione della vita moralmente buona o le stesse premesse morali ma fanno riferimento a sistemi di valori differenti, che sono spesso in contrasto tra loro9. In
caso di conflitto morale, quindi, gli stranieri morali non possono arrivare ad una soluzione appellandosi ad un contenuto morale condiviso.
Il pluralismo dei punti di vista morali, rassicura Engelhardt, non sfocia automaticamente in un relativismo: gli stranieri morali non sono inavvicinabili gli uni agli altri, ma possono risolvere i dissensi morali facendo appello all’accordo o al consenso delle persone che decidono di collaborare. L’unica morale possibile tra stranieri morali, quindi, è di tipo “procedurale” (o “laica”): questa è una morale che non indica un contenuto, bensì solo le procedure necessarie per arrivare ad un’intesa, cioè il rispetto della libertà e dei valori morali di coloro che prendono parte alla controversia morale10. L’unico principio
8 H. T. ENGELHARDT Jr., Il corpo in vendita: dilemmi morali della secolarizzazione, in AA. VV.,
Questioni di bioetica, a cura di S. Rodotà, Editori Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 123-138, qui pp. 123-124.
9 H. T. ENGELHARDT Jr., Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano 1999, pp. 39-41. 10 Ivi, pp. 97 e ss.
che deve essere rispettato dagli stranieri morali è il cosiddetto “principio del permesso”, il quale stabilisce che le persone non possono essere usate senza il loro permesso o consenso11.
Oltre al principio del permesso, Engelhardt introduce il “principio di beneficenza”, il quale consiste nel “fare agli altri il loro bene”. Questo principio è fondamentale perché, “dato che lo scopo dell’azione morale è quello di conseguire il bene ed evitare il male”, senza di esso la vita morale non avrebbe senso. Data l’impossibilità di stabilire come canonica una particolare visione del bene, il contenuto del principio di beneficenza può derivare anche da accordi espliciti tra gli individui: esso, quindi, si fonda direttamente sul principio del permesso12.
La tolleranza morale è, secondo Engelhardt, l’unico modo per garantire una convivenza pacifica tra stranieri morali, anche se ciò non implica che si debba rinunciare a condannare gli atti che si ritengono moralmente sbagliati13. L’accordo tra le persone, infatti, non costringe ad accettare né una certa concezione della vita moralmente buona né determinati obblighi morali: esso è “una condizione minima in quanto chiama in causa solo ciò che è necessario per risolvere con autorità le divergenze tra stranieri morali: il consenso”14. Di conseguenza, alcune azioni che gli altri ritengono moralmente buone
possono essere, secondo la mia opinione, moralmente reprensibili: spesso sarà corretto dire che “X ha il diritto morale di fare A, ma non è giusto che lo faccia”15.
Secondo Engelhardt, le questioni bioetiche nascono proprio sullo sfondo di questa frammentazione della prospettiva morale: poiché non esiste una bioetica sostanziale universale, ma solo molte bioetiche sostanziali particolari, di bioetica “si deve parlare al plurale”16. Anche nelle controversie bioetiche tra stranieri morali l’unico modo per arrivare
ad una soluzione è quello di appellarsi al principio del permesso: esso è la base di quella che Engelhardt definisce una “bioetica laica”, cioè una bioetica per stranieri morali.
Quanto detto fin qui si concretizza all’interno della questione relativa alla vendita degli organi17. Secondo Engelhardt, infatti, non è possibile elaborare una tesi contro la vendita degli organi che sia universalmente valida, poiché tutte le proposte che verranno avanzate a riguardo poggeranno sempre su premesse particolari non condivisibili da tutti i
11 Ivi, pp. 143-144. 12 Ivi, pp. 144-145.
13 “Anzi, se la tolleranza ha un senso, è proprio in riferimento a ciò che l’individuo giudica sbagliato o
immorale. La tolleranza ha sempre per oggetto il male, non il bene” (ivi, p. 51).
14 Ivi, p. 99. 15 Ivi, pp. 117-118. 16 Ivi, p. 42.
17 Engelhardt utilizza il termine “vendita” in modo volutamente ampio, senza discriminare tra le varie forme
di incentivi economici per la commercializzazione degli organi (ENGELHARDT, Il corpo in vendita cit., p. 125).
membri della società. Di conseguenza, non è possibile stabilire un uso degli organi assolutamente oltraggioso e uno assolutamente encomiabile18. La decisione di vendere una
parte del proprio corpo spetta solamente all’individuo e, qualunque essa sia, deve essere rispettata dagli altri membri della società: in base del principio del permesso, infatti, la vendita degli organi è moralmente deprecabile solo se avviene senza il consenso della persona coinvolta19.
Nella prospettiva morale di Engelhardt, anche le critiche rivolte alla vendita degli organi fanno riferimento ad una morale sostanziale particolare e, per questo motivo, non sono sufficienti ad impedire questa pratica.
Uno dei motivi principali alla base del divieto dell’istituzione di un mercato degli organi è che esso porterebbe inevitabilmente allo sfruttamento dei venditori da parte degli acquirenti: a questa critica Engelhardt risponde mostrando che il termine “sfruttamento” acquista un significato diverso in base alle premesse morali che si considerano valide. Alla domanda “Chi è lo sfruttatore?” qualcuno risponderà sostenendo che è il ricco europeo/americano che usa gli incentivi finanziari per indurre i poveri a vendere i loro organi; altri, invece, che è colui che proibisce ai poveri di vendere gli organi, in modo da soddisfare i propri sentimenti morali. Analogamente, alla domanda “Quando si verifica lo sfruttamento?” alcuni risponderanno che esso avviene quando si usa la coercizione per fermare la vendita degli organi, altri, invece, quando si conferisce all’individuo l’autonomia incondizionata di decidere cosa fare del proprio corpo20. Poiché non esiste una
risposta univoca a queste domande, l’unico modo per risolvere tale controversia è lasciare che sia il singolo a decidere come agire.
L’individuo gode, secondo Engelhardt, di una autonomia molto forte, ed è sulla base di questa autonomia che l’autore critica coloro che sostengono che il commercio di organi svaluti la natura umana. Essi reputano moralmente meno ripugnante sottostare ad uno stato che vieta ai suoi cittadini di esporsi a dei rischi che, in realtà, essi sarebbero disposti a correre, piuttosto che legittimare un mercato degli organi. Secondo Engelhardt, invece, la natura umana viene svalutata proprio nel momento in cui lo stato o un ente ufficiale limitano coercitivamente l’autonomia degli individui, impedendo loro di disporre liberamente del proprio corpo21.
Da quanto detto fin qui emerge che, alla base della posizione di questo autore, c’è l’idea che l’individuo goda di una piena sovranità sul proprio corpo, anch’essa direttamente
18 Ivi, p. 127. 19 Ivi, p. 132. 20 Ivi, p. 126. 21 Ivi, p. 134.
fondata sul principio del permesso: ogni individuo possiede se stesso e non può subire interferenze da parte degli altri senza il suo consenso. Una persona può possederne un’altra o può cedere a terzi i diritti di proprietà su se stessa ma, in entrambi i casi, il trasferimento di questi diritti deve avvenire sulla base del consenso della persona che li cede22.
Partendo da questa concezione “proprietaria” del corpo, Engelhardt arriva a legittimare la creazione di un mercato nero di organi. Posto che l’individuo possiede se stesso e che, inoltre, non esiste una visione canonica dei principi di giustizia, equità e beneficenza, un soggetto ha “l’autorità morale laica di usare le proprie risorse in modi incompatibili con la concezione dominante della giustizia”23. Se vige il divieto di
acquistare un trattamento sanitario che alcuni potrebbero permettersi economicamente, allora questi hanno il diritto di disporre dei propri beni in un mercato nero: esso si configurerebbe, secondo Engelhardt, come un “bastione della libertà” e nessuna autorità potrebbe interferire in questo mercato24.
La critica di Engelhardt si rivolge anche a chi sostiene che l’unico modo di disporre dei propri organi sia la donazione altruistica. Secondo l’autore, infatti, il significato morale del dono deriva dal suo essere un’alternativa al commercio e non, come avviene attualmente, dall’essere l’unica possibilità di scelta. In altre parole, il gesto del donatore prende senso solo quando egli, al posto di vendere una cosa, decide di cederla gratuitamente. Da un lato, quindi, il divieto della vendita degli organi rende impossibile anche la donazione vera e propria; dall’altro, l’importanza del dono nelle relazioni umane sembra essere un buon argomento a favore della commercializzazione25.
A conclusione di questa breve sintesi della posizione di Engelhardt, crediamo sia necessario sottolineare che, secondo l’autore, il mercato di organi deve essere introdotto indipendentemente dalle sue conseguenze, ovvero indipendentemente dal fatto che il numero degli organi disponibili aumenti o meno in seguito alla sua introduzione. La ragion d’essere del mercato risiede principalmente nell’autonomia dell’individuo, il quale ha il diritto di decidere liberamente come disporre del proprio corpo.
La stessa opinione è sostenuta da Julian Savulescu26, che vede nel divieto della vendita degli organi l’espressione del “paternalismo nella sua forma peggiore”: impedire alle persone di disporre liberamente del proprio corpo presuppone, infatti, che non le si
22 Secondo Engelhardt esistono già alcune situazioni, ritenute del tutto legittime, in cui l’individuo trasferisce
ad altri i propri diritti su di sé, ad es. l’arruolarsi o il prestare servizio come medico (ENGELHARDT,
Manuale di bioetica cit., pp. 180 e ss.).
23 Ivi, p. 392.
24 Ivi, p. 192 e p. 403.
25 ENGELHARDT, Il corpo in vendita cit., p. 136.
ritiene in grado di deliberare intorno a ciò che è meglio per loro. Inoltre, dato che la maggior parte dei venditori sarebbero persone non abbienti, questo divieto genera una doppia ingiustizia: oltre a non poter usare liberamente il proprio corpo, l’individuo non può migliorare le proprie condizioni di vita, ed è costretto a rimanere nella propria povertà.
Dello stesso parere è anche Charles Dunham27: poiché solo il singolo individuo può
soppesare i rischi e i benefici, il piacere e il dolore che lo riguardano, sostiene l’autore, egli è l’unico ad avere il diritto di decidere cosa fare del proprio corpo. Legittimare un mercato di organi permetterebbe di rispettare i desideri e le scelte del “donatore”, evitando che qualcuno decida per lui, sia in vita sia post-mortem, come disporre del suo corpo.