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Il Comitato di Harvard e la President’s Commission

III. Nascita ed evoluzione del criterio neurologico di accertamento della morte

III.2. Il Comitato di Harvard e la President’s Commission

Il report di Harvard diede una prima precisazione “formale” al criterio neurologico di accertamento della morte56: dopo di esso la cosiddetta “morte cerebrale” acquisì una certa notorietà e molti stati iniziarono a valutare la possibilità di riconoscerla ufficialmente all’interno della propria normativa.

Il Comitato Ad Hoc della Scuola Medica di Harvard si era riunito con uno scopo preciso: discutere i problemi etici creati da quei pazienti, ricoverati in rianimazione, le cui funzioni cardio-respiratorie erano mantenute artificialmente, mentre il loro cervello era irrimediabilmente danneggiato57.

Come riferito dal report pubblicato in seguito alla discussione, le condizioni di questi pazienti rappresentavano un peso notevole oltre che per i malati stessi, anche per le loro famiglie, per gli ospedali e per coloro che necessitavano dei letti occupati da questi pazienti in stato comatoso58. Il Comitato, inoltre, era mosso dalla preoccupazione destata dai criteri “obsoleti” per la determinazione di morte, il cui uso avrebbe potuto portare a numerose controversie nell’ottenimento degli organi ai fini del trapianto59.

Quelle appena elencate furono le motivazioni addotte dal Comitato per procedere alla definizione del “coma irreversibile come nuovo criterio dell’accertamento della morte”. Con

56 Dal report del 1968 non sembra emergere che la Commissione di Harvard fosse a conoscenza degli altri

contributi sul tema della morte cerebrale pubblicati in quegli stessi anni. Tra questi ricordiamo gli studi pubblicati in Francia citati sopra; la Dichiarazione della Commissione per la rianimazione e i trapianti di organo della Repubblica Federale Tedesca (1967) e la Dichiarazione di Sydney (1968).

57 A Definition of Irreversible Coma. Report of the Ad Hoc Committee of the Harvard Medical School to

Examine the Definition of Brain Death, “Journal of the American Medical Association”, 6 (1968), pp. 337-340,

qui p. 337. Tutte le citazioni di questo documento sono state tradotte da me.

58 Ibidem. 59 Ibidem.

il concetto di “coma irreversibile”, usato dal Comitato come equivalente di “morte cerebrale”, si indicava la condizione di un paziente il cui cervello era “morto”, ovvero permanentemente non-funzionante60.

Nel report venivano riportati i seguenti tre criteri, necessari per procedere alla diagnosi di “coma irreversibile”, a cui ne venne aggiunto un quarto, il quale aveva, però, solamente una funzione di conferma61:

- assenza di consapevolezza degli stimoli esterni e dei bisogni interni e assenza di responsività verso di essi: anche lo stimolo più doloroso non provoca alcuna reazione vocale, come un lamento o un gemito, né il ritrarsi di un arto o l’accelerazione del respiro.

- Assenza di movimenti muscolari e di respirazione spontanei o di risposta agli stimoli come dolore, contatto, suono e luce, osservati per almeno un’ora. Se il paziente è attaccato ad un respiratore meccanico, l’assenza della respirazione spontanea può essere verificata spegnendolo per 3 minuti e osservando se il soggetto compie qualche sforzo per respirare autonomamente.

- Assenza di riflessi del tronco cerebrale e tendinei, mediati dal midollo spinale. Ciò comporta: fissità e dilatazione della pupilla, la quale non risponde ad una diretta fonte di luce; assenza di movimenti oculari e battito delle palpebre; assenza di attività posturale; assenza di deglutizione, sbadiglio, articolazione dei suoni; assenza di riflessi della cornea o della faringe; assenza di responsività alla stimolazione plantare e a quella dolorosa.

- EEG “piatto” o isoelettrico: come detto sopra, l’esame dell’EEG, che deve essere effettuato a determinate condizioni, ha solo un valore di conferma e non è, quindi, ritenuto obbligatorio.

Secondo il Comitato, per confermare la diagnosi era consigliabile verificare questi criteri ad almeno 24 ore di distanza. Inoltre, era necessario verificare l’assenza di due fenomeni che avrebbero potuto inficiare la diagnosi stessa, ovvero l’ipotermia e l’intossicazione da farmaci deprimenti il sistema nervoso centrale, come, per esempio, i barbiturici. Nel caso in cui una di queste condizioni fosse stata presente, bisognava aspettare il ritorno ad una normale temperatura corporea o l’eliminazione dei farmaci prima di poter procedere all’osservazione dei criteri sopra esposti62.

60 Ibidem, corsivo nel testo. 61 Ivi, pp. 337-338.

Nel corso degli anni, il report di Harvard è stato oggetto di diverse critiche e numerosi sono stati gli sforzi volti a migliorare i suoi criteri diagnostici, anche e soprattutto da un punto di vista terminologico.

Dal punto di vista strettamente concettuale, la prima critica da muovere al report di Harvard riguardava l’uso intercambiabile che esso faceva dei termini “criterio” e “definizione” per qualificare il coma irreversibile. Esso veniva equiparato alla “morte” del cervello, cioè alla sua non-funzionalità permanente, ma non era chiaro se questa fosse uno dei criteri che permetteva di accertare il decesso del paziente o se fosse a tutti gli effetti una definizione di morte: ciò ha generato una notevole confusione intorno al concetto di coma irreversibile. Ad incrementare questa ambiguità ha contribuito anche il fatto che nel report non era presente una definizione teorica di “morte”, cioè non veniva fornita una spiegazione del perché la presenza dei segni diagnostici sopra elencati avrebbe dovuto essere sufficiente per dichiarare la morte del paziente.

In questo senso, una certa chiarezza è stata fatta in un documento del 1981 emanato da una Comissione di studio costituita dal Presidente degli USA, denominata “President’s Commission for the study of Ethical Problems in Medicine and Biomedical and Behavioral Research”. In questo documento, dal titolo Defining Death, venne puntualizzato che il coma irreversibile (qui definito come “morte cerebrale totale”63) non introduceva un nuovo tipo di

morte, essendo la morte un fenomeno unitario, che non si dà in molti modi. Esso, invece, era un criterio che indicava un nuovo metodo per verificare che l’evento della morte era avvenuto64.

Il documento redatto dalla President’s Commission sopperiva alle lacune del report di Harvard anche attraverso la proposta di una definizione di morte, equiparata al “momento in cui il sistema fisiologico dell’organismo cessa di costituire un tutto integrato”65. Questo

avviene quando l’organo organizzatore e regolatore delle funzioni del corpo, l’unico che può dirigere l’intero organismo, ovvero il cervello, perde irreversibilmente le sue funzioni66.

Sulla base di questa definizione, la morte era determinabile, a seconda dei casi, sia attraverso il criterio neurologico (cessazione irreversibile delle funzioni dell’intero encefalo,

63 In questo documento all’uso del termine “coma irreversibile” viene preferito quello di “morte cerebrale

totale”, date le ambiguità presenti all’interno del primo termine. Esso, infatti, veniva usato per indicare sia la condizione di coma apneico con perdita irreversibile delle funzioni cerebrali, sia condizioni come lo stato vegetativo o la sindrome “locked-in”, che invece non soddisfano il criterio neurologico di accertamento della morte (PRESIDENT’S COMMISSION FOR THE STUDY OF ETHICAL PROBLEMS IN MEDICINE AND BIOMEDICAL AND

BEHAVIORAL RESEARCH, Defining Death: A Report on the Medical, Legal, and Ethical Issues in the

Determination of Death, U. S. Government Printing Office, Washington D. C. 1981, p. 87. Tutte le citazioni di

questo documento sono state tradotte da me).

64 Ivi, p. 58. 65 Ivi, p. 33. 66 Ivi, p. 34.

compreso il tronco cerebrale), sia attraverso il criterio cardiopolmonare (cessazione irreversibile delle funzioni della respirazione e della circolazione)67. Questo secondo criterio

era ritenuto ancora valido perché la cessazione irreversibile della respirazione e della circolazione permetteva di accertare la morte in quei casi, che erano la maggioranza, in cui i supporti meccanici non venivano impiegati68.

La President’s Commission riconosceva che l’integrazione di tutte le funzioni dell’organismo non dipendeva solo ed esclusivamente dal cervello, dato che ad essa contribuivano anche le altre “parti” dell’intero. Ad esempio, se il fegato o i reni avessero perso irreversibilmente la loro funzione, senza che si fosse riusciti a supportarla artificialmente, l’organismo avrebbe smesso di funzionare come un tutto integrato. Al cervello, però, spettava un primato, dato il ruolo centrale svolto nel mantenimento dell’integrazione e, quindi, nell’equilibrio dinamico dell’organismo: quest’organo, in quanto sistema critico dell’organismo si trovava all’“apice” di questo sistema integrato69.

È necessario sottolineare che il criterio neurologico della “morte cerebrale totale” esposto dalla President’s Commission non si riferiva alla morte di tutti i tessuti e di tutte le cellule dell’encefalo, bensì solo alla perdita di quelle funzioni cerebrali che consentivano il funzionamento dell’organismo come un tutto integrato70. Di conseguenza, l’esistenza di

alcune isole cerebrali o gruppi di cellule ancora in funzione, evidenziate, per esempio, dall’angiografia o da altri test, non era di per sé sufficiente a sostenere che il cervello fosse ancora un organo “vitale”.

I criteri diagnostici di Harvard vennero ritenuti validi dalla President’s Commission, anche se furono introdotte delle precisazioni, che riguardavano soprattutto le modalità con cui dovevano essere eseguiti i test di verifica dell’apnea, dell’assenza dei riflessi del tronco e dell’eventuale presenza di intossicazione da farmaci o droghe. Venne inoltre sottolineata l’importanza della conoscenza della causa del coma apneico per procedere alla diagnosi di “morte cerebrale totale” e anche la necessità di usare cautela nell’applicare i criteri neurologici ai bambini di età inferiore ai 5 anni, data la maggiore resistenza cerebrale all’assenza di ossigeno. Infine, venne chiarita la possibilità della presenza di riflessi spinali anche in seguito alla cessazione delle funzioni degli emisferi e del tronco, dato che la circolazione del midollo spinale è separata da quella dell’encefalo71.

67 Ivi, pp. 37-38. 68 Ivi, p. 37. 69 Ivi, pp. 32-33. 70 Ivi, pp. 28-29.

71 R. BARCARO, P. BECCHI e P. DONADONI, Prospettive bioetiche di fine vita. La morte cerebrale e il

Un’altra puntualizzazione fondamentale del documento del 1981 riguardava la “relazione” tra la dichiarazione di morte con criterio neurologico e la possibilità di espianto degli organi. Il report di Harvard si era espresso, a tale proposito, con intenti evidentemente utilitaristici, dando l’impressione che l’urgenza di introdurre un nuovo criterio di accertamento della morte fosse dovuta, prima di tutto, alla possibilità di aumentare il numero di organi disponibili ai fini del trapianto. La President’s Commission puntualizzò, invece, che il bisogno di organi “vitali” per i trapianti non era la finalità primaria della diagnosi della perdita irreversibile delle funzioni cerebrali: questa affermazione venne supportata mostrando che, in uno studio compiuto su 36 pazienti dichiarati “cerebralmente morti”, solo 6 erano stati usati come donatori di organi. L’importanza di sapere quando decretare la morte di un paziente era legata, invece, al fatto di fornire le cure adeguate fin quando non sarebbe sopraggiunto questo momento, evitando di “accanirsi” con terapie inutili sui corpi di pazienti già deceduti. Inoltre, veniva riconosciuto che la facilitazione della determinazione di morte avrebbe permesso sia di poter dedicare cure rare e costose a pazienti le cui condizioni potevano essere migliorate, sia di alleviare l’angoscia dei familiari dei pazienti ormai deceduti72.

A differenza del report di Harvard, dal documento della President’s Commission emerse chiaramente lo “status” della cosiddetta “morte cerebrale”: essa non era una nuova definizione di morte, bensì un criterio che avrebbe permesso di precisare meglio il momento della morte. Di conseguenza, la President’s Commission affermava che la morte era un fenomeno unitario e irreversibile il quale, però, poteva essere determinato con diversi approcci, uno dei quali era, appunto il criterio della “morte cerebrale totale”.