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antica; suona troppo alta la fama della sua probità, della importanza dei suoi commerci in Germania, in

Figura 26

Nessuna notizia ci giunge per gli anni successivi, se non le molte ricevute conservate sia nell’Archivio Stibbert fin dagli anni Ottanta, che nell’Archivio di Herbert Horne tra il 1897 e il 1900 nelle quali l’intestazione dichiara la lunga durata della sua attività commerciale: «casa fondata nel 1820».

antica; suona troppo alta la fama della sua probità, della importanza dei suoi commerci in Germania, in Francia, in Inghilterra, perché possiamo dispensarci dal parlare più oltre di questo egregio straniero, oggi nostro ospite.

Il sig. Bourgeois vide gli avori, li giudicò di un valore superiore alla stima fattane e offrì al Municipio di Volterra sessantaseimila lire. La rappresentanza Municipale si riuniva o incaricava il Sindaco di porgere al sig. Bourgeois la più ampia e sincera espressione sia di ringraziamento, come di riconoscenza, per la condotta leale e cavalleresca da esso tenuta nelle trattative della vendita e rispettivo acquisto della colle zione.

Il documento ufficiale veniva trasmesso dal Sindaco al sig. Bourgeois, il quale già aveva pagato sessantaseimila lire al Municipio, che gliene rilasciava ricevuta.

Intanto il sig. Bourgeois faceva incassare gli avori, vi apponeva i suoi sigilli, e partiva alla volta di Firenze con le chiavi delle sue casse. A un tratto il prefetto di Pisa, per ordine del Ministro dell’interno, che già aveva lasciato fare la vendita, vi appone il suo autorevolissimo veto!...

Il sig. Bourgeois apprende repentinamente che l’aver trattato col Sindaco di Volterra, l’aver ottenuto la solenne approvazione, anzi i ringraziamenti e le espressioni di riconoscenza del Municipio, l’aver versato una somma cospicua nelle casse municipali, dovevano da lui esser considerati tanti pas satempi innocui, ne’ quali gli erano state fatte trascorrere piacevolmente quattro o cinque settimane in Italia!...

Non vogliamo pronunziarsi sul merito della questione. Ci basta di aver raccontato, a titolo di cronaca, questo fatterello incredibile, ma vero. Se alcuni spigoli stri, se alcuni ipocondriaci trovassero da ridire che in simili incidenti può andare un tantino di mezzo il prestigio di qualche amministrazione, o affermassero che non giovano alla buona riputazione che godiamo amplissima di uomini seri… tiriamo via, quasi, quasi, siamo disposti a non dar loro torto, se non ragione addirittura. Il rischio un po’ maggiore in tutto questo affare, e altri simili, è di mostrare forse troppo scopertamente agli stranieri come si trattino in Italia le piccole e le grandi cose!». Originario di Boston, Jarves (1818-1888) fu uno stimato letterato, critico e collezionista d’arte, noto per aver esportato il gusto per l’arte italiana negli Stati Uniti, dove parti delle sue collezioni sono presenti nel Cleveland Museum of Art, nella Yale University Art Gallery e nel Metropolitan Museum di New York. A Firenze, dove nei primi anni Ottanta fu viceconsole americano, abitò in Piazza dell’Indipendenza e prese parte attivamente al mercato antiquario.

Tesi di dottorato di Barbara Bertelli, discussa presso l’Università degli Studi di Udine

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II.7 Settimio Laschi

Settimio Laschi è il componente maggiormente noto di una famiglia di antiquari abbastanza attiva171 e conosciuta a Firenze, anche per vicende non proprio onorevoli: Alessandro Foresi parla dei “fratelli Laschi” come dei possibili artefici di cassapanche spacciate per antiche e acquistate dal Bargello172. Il nome di Settimio compare spesso, nel ruolo di commissionario, tra le ricevute conservate nell’Archivio Stibbert. Le carte dimostrano come Frederick Stibbert fosse solito servirsi di alcuni uomini di fiducia: in particolare ricorrono i nomi di Jannetti, Laschi e del pittore Benvenuto Servolini. Il famoso collezionista probabilmente usava visitare le esposizioni allestite precedentemente alle aste, annotandosi sul catalogo gli oggetti ai quali era interessato, dei quali poi commissionava l’acquisto a terzi. L’operazione aveva lo scopo di evitare -in sede d’asta- una contesa con acquirenti stimolati all’acquisto dall’interesse dimostrato da un collezionista della levatura di Stibbert, che avrebbe fatto alzare il prezzo di aggiudicazione. Se ne ha testimonia nza, ad esempio, in una ricevuta pagata da Settimio Laschi in data 14 aprile 1880 all’Impresa del Mediatore (e consegnata da Laschi a Stibbert) relativa all’acquisto di 4 oggetti. Una semplice verifica ha dimostrato che la data coincide con il periodo in cui fu messa in vendita la collezione Philipson, a cura appunto dalla casa d’aste Il Mediatore. Si può quindi ragionevolmente supporre che il Laschi abbia agito da commissionario alla vendita Philipson e la conferma è data dal confronto dei numeri di lotto riportati sulla ricevuta con quelli presenti sul catalogo, che risultano perfettamente compatibili: i numeri di lotto, anche se molto alti, compaiono tutti sul catalogo e risultano messi all’incanto tra il 13 (n. 129) e il 14 aprile (nn. 516, 518, 692), giorno del rilascio della ricevuta.

Questi gli oggetti acquistati secondo i numeri presenti sulla ricevuta:

n. 516, £ 651,25 corrisponde nel catalogo a «Pendola in boule con ornamenti in bronzo dorato. Louis XIV»

n. 518, £ 462,25 corrisponde nel catalogo a «Cofanetto d’ebano con medaglioni in pietra dura a rilievo, piedi in bronzo dorato»

n. 692, £ 73,75 corrisponde nel catalogo a «Tela, donna con velo in testa, in atto di scoprirsi il viso, cornice idem [dorata]. Scuola Veneziana» n. 129, £ 136,75 corrisponde nel catalogo a «Figurina di contadina con bambino in braccio.

Capodimonte».

171

Nel 1865 Giuseppe Laschi risulta tra gli acquirenti all’asta dell’eredità Galli Tassi, mentre nell’Archivio Horne sono conservate un paio di ricevute relative all’acquisto di mobili antichi, rilasciate nel 1897 e nel 1901 da «Arturo Laschi & F.llo, negozianti di antichità, Firenze via dei fossi n. 15, etoffe meubles marbres, bronzes et objects de curiosité».

172

Ancora nel ruolo di commissionario Settimio agisce pochi anni più tardi, nel 1883, su incarico di Giuseppe Toscanelli. Il Laschi partecip ò all’asta della collezione Toscanelli col compito di comprare per conto di Giuseppe alcuni oggetti dai quali quest’ultimo non intendeva separarsi, o che non voleva fossero venduti a prezzi troppo bassi173. Le carte dell’Archivio Toscanelli documentano che l’accordo fu stipulato all’insaputa di Giulio Sambon, curatore della vendita, al quale Giuseppe spedì una lettera il 6 aprile 1883 facendosi garante per 40000 lire di un anonimo amatore suo amico che avrebbe comprato all’asta per mezzo dell’antiquario Settimio Laschi e avrebbe pagato ad asta finita174.

Di Settimio Laschi il Toscanelli si era già servito nel 1873 facendogli assume il ruolo di mediatore in una vendita di oggetti antichi a favore del signor Durlacher di Londra175, mediazione nella quale il Laschi fu affiancato da Luigi Grassini e da Gaetano Bianchi176. Un resoconto di “entrata e uscita” della Banca Nazionale e della Cassa di Risparmio di Pisa conservato nell’Archivio Toscanelli che dimostra come vennero impiegate le 128.000 lire incassate dalla vendita a Durlacher, oltre ad annotare il risarcimento per i servizi svolti da Grassini, Laschi e Bianchi, registra un pagamento al «Custode del Bargello », a cui Toscanelli assegna una somma di denaro «per regalo». Significativo il termine ‘regalo’, se messo in relazione con quanto emerge dai documenti dell’Archivio delle Gallerie fiorentine circa una vicenda di esportazione illegale che proprio nel 1873 coinvolse Giuseppe Toscanelli a proposito di una «bellissima collezione di oggetti antichi» che aveva in deposito presso il Museo Nazionale, ceduta per £ 130.000 ad un certo Sig. Mosel177.

173

ASPi Fondo Toscanelli, f. 943, ins. 29, c. 34, memorie di Nello per l’avv. Bianchi. Non è escluso che Giuseppe Tosccanelli si sia servito di Ciampolini allo scopo di sfruttare la sua notorietà e spingere altri collezionisti all’acquisto.

174

ASPi Fondo Toscanelli, f. 473, ins. 1883, vedi Documento 73 in Appendice. 175

Durlacher era un noto antiquario inglese che, come molti altri, visitava periodicamente l’Italia in cerca di appetitosi affari; la sua presenza a Firenze è registrata, nelle cronache de «La Nazione» in occasione della famosa vendita Demidoff del 1880, dove si assicurò «un mobile Luigi XIII, che appartenne alla celebre artista madamigella Mars» e «i porta fanali della gondola dei Foscari». Un catalogo di vendita della collezione George Durlacher, relativo a maiolica, bronzi e oggetti d’arte italiana, mobili, tappezzeria e tessili del Rinascimento italiano e francese (Londra 1838) è conservato presso il Museo Nazionale del Bargello.

176 ASPi Fondo Toscanelli, f. 473, Laschi e Grassini rilasciano una dichiarazione in cui affermano di essere stati pagati da Giuseppe per il servizio svolto, vedi Documenti 74 e 75 in Appendice. Il ruolo svolto da Gaetano Bianchi è attestato in un Conto bancario che giustifica l’impiego della somma incassata con la vendita a Durlacher.

177

La vicenda è tratta nel capitolo dedicato alla circolazione delle opere d’arte; sembra ragionevole supporre che i due episodi siano collegati e che Toscanelli abbia dichiarato alle autorità di aver venduto gli oggetti a Mosel, anziché all’inglese Durlacher.

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II.8 Giuseppe Pacini

Le prime notizie riguardanti Giuseppe Pacini risalgono al 1865 quando, sebbene il suo nome non compaia tra i richiedenti di licenze di esportazione relative ai quattro anni precedenti -cosa che indurrebbe a supporre una limitata estensione della sua attività-, è tuttavia incluso nella lista di antiquari da convocare per la licitazione privata dell’eredità Galli Tassi178.

I documenti tacciono fino alla fine degli anni Settanta. Tra il 1877 e il 1879 il suo nome appare di nuovo nelle carte d’archivio sia come richiedente di quattro licenze di esportazione ma soprattutto in veste di proponente : sono numerose le proposte relative alla vendita di oggetti di scavo inoltrate dal Pacini ai Musei fiorentini, ma non vennero accolte dal Governo che, seguendo la solita prassi di cui Carlo Cinelli evidenzia le conseguenze negative, rifiutò per questioni di bilancio. Nell’ottobre del 1877 Pacini offre sei vetri antichi al Museo Etrusco, ma il Ministero fa sapere che gli impegni finanziari già stanziati per l’acquisto di alcuni bronzi di Talamone e per il sarcofago Casuccini, sono di tale entità che «la dotazione ordinaria del Museo Etrusco di cotesta città dovrà per qualche anno avvenire sentire il peso degl’impegni incontrati o che sono prossimi ad incontrarsi» e si risolve quindi, vista anche la non eccezionalità degli oggetti in questione, alla rinuncia all’acquisto179. Nell’agosto dell’anno seguente Pacini offre alle Gallerie «due ornamenti per le spalle (spallini) […] dei tempi dei Longobardi […] trovati a Chiusi presso il Camposanto» per i quali chiede £ 2500 pagabili anche l’anno successivo; «un bel piatto in bronzo con quattro bassorilievi, un poco restaurato a dir vero, ma pur tuttavia assai ben conservato, questo venne trovato a Talamone e se ne domanda £ 1000»; infine «per £ 500 tre idoletti benissimo conservati, […] ritrovati nelle vicinanze di Cecina in riva al mare». Nella lettera che il Direttore Aurelio Gotti scrive al Ministro per attendere istruzioni, aggiunge che gli oggetti sono ben conosciuti dal Marchese Strozzi e dal Sig. Gamurrini, ma ancora una volta ragioni finanziarie guidano la scelta del Ministro verso la rinuncia all’acquisto180.

178 Documento 55 in Appendice. 179 (ASGFi, 1877, C, pos. 7, n. 13). 180

(ASGFi, 1878, B, pos. 1, n. 128 e ACSR, 201, ins. 46-58). Circa l’operato del Ministero vedi CINELLI 1997. Il Marchese Carlo Strozzi (1821-1886) era noto per i molteplici interessi coltivati nel campo dell’archeologia. La sua passione verso le monete e i sigilli antichi lo portò a dirigere il «Periodico di numismatica e sfragistica per la storia d’Italia» (1868-1874), fondato insieme a Gian Francesco Gamurrini, e a mettere insieme un’importante collezione di monete che alla sua morte venne ceduta ad un commerciante e andò dispersa in seguito all’asta tenutasi a Roma per cura di Sangiorgi, con un catalogo redatto dal famoso numismatico Arthur Sambon. Una parte di essa venne acquistata da L. A. Milani e si trova presso il Museo Archeologico di Firenze , fondato nel 1870 proprio grazie all’interessamento di Carlo Strozzi e Gian Francesco Gamurrini. Il marchese Strozzi non fu solo un esperto numismatico, fu anche un appassionato raccoglitore di oggetti antichi: nel 1866 venuto in possesso di un frammento del vaso François, lo donò al Museo Archeologico di Firenze perché fosse riunito al resto e dalla sua collezione altri pezzi andarono in dono al Museo di Fiesole città dove, nel 1873, fu chiamato a dirigere gli scavi che riportarono alla luce i resti del teatro romano; altri scavi vennero da lui eseguiti nel 1876 insieme a Francesco Vivarelli nel Comune di Orbetello. Grazie a queste numerose e valide esperienze, era considerato un esperto in campo archeologico. Vedi L.A.MILANI 1885, M.DE BENEDETTI 2010.Gian Francesco Gamurrini (1835-1923), archeologo, storico e numismatico discendente di una nobile famiglia

Da questo momento in poi, sebbene le licenze dimostrino che Pacini trattasse oggetti di vario tipo (le cinquantacinque richieste di esportazione presentate negli anni Ottanta riguardano in egual misura dipinti, sculture, mobili, armi, maioliche, stoffe) ed epoca, come confermato anche dagli acquisti da lui effettuati presso l’Amministrazione dell’Eredità Galli Tassi e presso l’Arcispedale di Santa Maria Nuova181, i documenti d’archivio relativi alle offerte di acquisto che propone ai Musei fiorentini indicano invece un suo interesse quasi esclusivo per i reperti

archeologici182.

Figura 27

Di fatto Giuseppe Pacini, in rapporto con rinomati ‘scavini’ e collezionisti di antichità, non solo risulta acquirente di oggetti provenienti dai vari scavi effettuati nelle zone di Chiusi, Città della Pieve, Tarquinia, Cecina, Castel Ritaldi e Spello, ma è documentata anche la sua partecipazione in prima persona agli scavi. Gli acquisti effettuati dal Pacini sono documentati già dal 1872 quando gli oggetti provenienti dagli scavi effettuati nei pressi di Tarquinia da Federico Baietti andarono in parte a Gian Francesco Gamurrini -all’epoca conservatore del Museo Etrusco di Firenze-, in parte a Giuseppe Pacini che, a sua volta, li vendette ai Musei europei (tra questi il calice di bucchero del Kunstistorisches Museum di Vienna e gli oggetti giunti al museo

aretina fu fondatore insieme al marchese Carlo Strozzi del «Periodico di numismatica e sfragistica per la storia d’Italia». Nel giugno del 1867 fu nominato Direttore del Museo Archeologico di Firenze ed entrò anche nella Deputazione per la Conservazione e l’Ordinamento dei Musei e delle Antichità Etrusche. Grazie al suo sostegno vennero istituiti musei archeologici in alcuni piccoli centri come Chiusi, Fiesole e Orvieto. Nel 1875 divenne Commissario per l’Italia settentrionale presso la Direzione centrale degli scavi e musei del Regno, incarico che lasciò presto a causa di contrasti con il direttore generale Giuseppe Fiorelli, ma che ottenne di nuovo nel 1880 quando prese parte anche alla Commissione che si occupò di istituire il nuovo Reale Museo Archeologico fiorentino, che ebbe sede nel Palazzo della Crocetta. Fu nominato socio nazionale dell’Accademia dei Lincei nel 1895.

181

Già nel 1882 Giuseppe Pacini aveva fatto un’offerta all’Amministrazione dell’Eredità Galli Tassiper l’acquis to, tra le opere invendute all’asta, di 2 sibille in marmo (andate nel 1887 al collezionista tedesco Adolf Von Beckerath) e un crocifisso in bronzo su croce in pietra trasparente e nel 1889 per l’acquisto di tre dipinti, ma ciò che riuscì ad acquistare (1889) fu: il crocifisso (ancora in possesso di Pacini nel 1892 anno in cui viene messa in vendita la sua collezione a Roma e la croce è descritta nel catalogo al n. 336) e tre busti in marmo (vediASFi, eredità Galli Tassi, 160; ASFi, Eredità Galli Tassi, 12, Affari diversi dal n. 504 al n. 555, filza 12°; ASFi, Eredità Galli Tassi, 14, Affari diversi dal n. 621 al n. 630, filza 14°, Ins. 621 e 622; l’argomento è trattato nel capitolo dedicato all’asta della collezione Galli Tassi). Dall’Arcispedale di S. Maria Nuova acquistò, nel 1883, 36 cassoni del XV secolo (vedi C. DE BENEDICTIS,E.DIANA 2006, p. 46).

182

Una ricevuta rilasciata da Pacini nel 1883, conservata all’Archivio Storico delle Gallerie di Firenze riporta nell’intestazione la seguente dicitura: «Magazzino d’oggetti di Belle Arti e Laboratorio di Mobili artistici d’Intaglio e di Intarsio. Maioliche antiche di varie fabbriche e specialità in oggetti etruschi. Mobili, Stoffe, Bronzi, ed altro e si ricevono commissioni» (ASGFi, 1883, K, Pos. 9 Museo Nazionale, n. 87).

Tesi di dottorato di Barbara Bertelli, discussa presso l’Università degli Studi di Udine

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