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40 sottovalutati documenti 54 restituiscono una fotografia abbastanza verosimile sia dei meccanismi

e delle strategie adottate, sia della quantità di opere d’arte in movimento in un dato arco temporale , sia –infine- dell’identità delle persone attive in questo tipo di commercio e dei rapporti tra esse. E si scoprono anche fonte di preziose informazioni, altrimenti sconosciute relative ai passaggi collezionistici di gruppi di opere o di acquisizioni di intere collezioni.

L’insieme dei cataloghi analizzati manifesta una chiara evoluzione nel tempo in fatto di forma e struttura.

Cataloghi degli anni Sessanta

Per quanto riguarda gli anni Sessanta i soli tre esemplari rintracciati risalenti a quel periodo sono un campione numericamente e qualitativamente insufficiente per poter trarre conclusioni di carattere generale: inoltre uno di essi -l’unico degli 89 esaminati- concerne una vendita libraria al ribasso (vendita con prezzi stabiliti)55 e gli altri due riguardano la vendita di importanti collezioni fiorentine ma entrambe avvenute presso l’Hôtel Drouot di Parigi, sotto la direzione di Charles Pillet: la raccolta di oggetti d’arte e medaglie appartenuti a Marco Guastalla56 e i dipinti della collezione Demidoff. Non può essere un caso che per due collezioni così importanti fu scelta Parigi come vetrina per la loro alienazione: è un’indicazione importante di come, in quel momento, Firenze non fosse ancora considerata uno dei grandi centri del mercato antiquario internazionale.

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Paola Barocchi e Giovanna Gaeta Bertelà osservavano nella premessa al repertorio di Giovanna De Lorenzi, quanto deplorevole fosse la carenza riscontrata nelle biblioteche italiane di cataloghi di raccolte private e delle loro vendite, considerati materiali di consumo indegni di conservazione e quanto invece questi materiali, seppur relativi ad eventi effimeri, fossero preziose fonti di informazioni per una storia capillare del collezionismo e utili per seguire l’evoluzione degli orientamenti di gusto (DE LORENZI, 1988, pp. VII-XV).

55 La copia consultata fu inviata dall’editore libraio Carlo Usigli a Torello Sacconi, che fu bibliotecario e per alcuni anni direttore reggente della Biblioteca Nazionale di Firenze. Usigli era solito inviare proposte bibliografiche alle biblioteche italiane (nell’Archivio del Comune di Prata, provincia di Sondrio, è conservata la Nota delle opere offerte da Usigli Carlo, libraio editore di Firenze, per le biblioteche dei comuni d'Italia datata 1864) quindi non è possibile sapere se il catalogo fu redatto in forma di elenco per precisi destinatari o per una diffusione più ampia. Il testo ha il ‘formato lenzuolo’, simile ad un foglio di giornale, ed è composto da un totale di quattro fogli stampati sul recto e sul vers o in cui i libri sono elencati, come di norma, in base all'autore, in ordine alfabetico. La loro descrizione comprende l’indicazione dell’autore, del titolo, dell’anno di edizione, del formato, della presenza di figure e dell’eventuale edizione dell’opera in più volumi. Vengono infine indicati due diversi prezzi: il prezzo originale e quello ribassato con cui il testo viene offerto in vendita.

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La copia consultata è conservata presso la Biblioteca degli Uffizi (id cat. 78) e fu donata a Nerino Ferri dagli eredi Carrand. Si tratta della vendita di oggetti d’arte e di curiosità e di una collezione di medaglie e placchette del XV e XVI secolo «le tout provenant du cabinet de M. le Dr M. G., de Florence»; a mano è stato annotato il nome di Marco Guastalla. La vendita è stata effettuata seguendo l’ordine dato al catalogo; ebbe inizio il giorno 14 gennaio 1867 quando vennero battuti all’asta 116 pezzi tra oggetti in ferro battuto, maioliche, vetri e sculture in avorio; il giorno successivo venne dedicato esclusivamente ai gioielli (per un totale di 142 lotti); poi fu la volta di 217 lotti tra sculture diverse, smalti, porcellane, bronzo e cuoio goffrato, oggetti vari; infine, il giorno 17 vennero battuti all’asta 469 lotti tra medaglie, placchette e gioielli antichi. Il catalogo presenta per ogni oggetto, anche quello di minor valore, una descrizione abbastanza dettagliata, completa, quando possibile, dell’epoca di riferimento.

A giustificazione dell’assoluta scarsità di cataloghi d’asta che è stato possibile reperire relativamente agli anni Sessanta si possono avanzare due ipotesi, l’una che vede tale scarsità come conseguenza di una limitata produzione dell’oggetto-catalogo, l’altra che la interpreta invece come conseguenza del naturale deperimento. Dando per scontata l’improbabilità che i cataloghi degli anni Sessanta siano andati tutti perduti, più verosimilmente la prima ipotesi propone che inizialmente il catalogo fosse un oggetto poco utilizzato durante le aste e quindi prodotto in quantità minime, l’altra ipotesi considera invece la possibilità che in quegli anni il catalogo fosse uno strumento molto ridotto nella consistenza, composto da un numero limitato di fogli, probabilmente organizzato in forma di lista breve, dunque facilmente deperibile.

Si può anche ipotizzare che una così limitata produzione di cataloghi sia la conseguenza non tanto del loro scarso uso durante le aste, bensì del fatto che in quegli anni si ricorresse prevalentemente alla vendita diretta, sicuramente più agevole nell’attuazione. Ma se è innegabile che la vendita diretta fosse il meccanismo più praticato, è anche vero che non è la forma più idonea nel caso di vendite di grandi quantità di oggetti specialmente da realizzare in un’unica occasione.

Lo studio condotto ha infatti dimostrato come l’esiguo numero dei cataloghi d’asta rintracciati risulti fuorviante ai fini della valutazione della mole del commercio antiquario “organizzato” di quegli anni, evidenziando quanto lo svolgersi di aste negli anni Sessanta non sia testimoniato tanto o soltanto dai cataloghi, quanto da fonti indirette (cronache, documenti d’archivio, annunci sul quotidiano «La Nazione»): con l’ausilio di una tabella (Tabella Aste) è stato possibile riunire le informazioni relative alle aste provenienti dalle varie fonti consultate, ottenendo un quadro cronologico completo dal quale è facile verificare oltre alla distribuzione degli eventi negli anni, anche la validità delle fonti in periodi diversi. Negli anni Sessanta e per la prima metà degli anni Settanta, la maggior parte delle informazioni provengono dal quotidiano «La Nazione», mentre nella seconda metà degli anni Settanta sono i cataloghi d’asta a prevalere come fonte e lo stesso succede negli anni Ottanta: per la prima metà del decennio la validità delle due fonti si equivale poi, a partire dalla fine del 1884, l’unica fonte rimane il catalogo d’asta.

Cataloghi degli anni Settanta

Nel decennio successivo, probabilmente sulla scia dei più rodati mercati inglese e francese, anche a Firenze fanno la loro comparsa i primi cataloghi d’asta. Molto semplici nella forma diventano strumenti indispensabili nel meccanismo della vendita di oggetti d’arte. Si presentano come agili strumenti di consultazione per gli addetti ai lavori con un’utile sezione relativa alle informazioni riguardanti le regole di compravendita e le date prefissate di esposizione e di vendita, e una sezione dedicata al catalogo degli oggetti. Di formato quasi sempre in ottavo con copertina morbida sono privi di illustrazioni e presentano descrizioni degli oggetti in vendita

Tesi di dottorato di Barbara Bertelli, discussa presso l’Università degli Studi di Udine

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estremamente schematiche. Dal 1872 al 1879 si contano 18 cataloghi, tutti prodotti dall’Impresa del Mediatore, ad eccezione dell’ultimo, relativo ad una vendita di stampe, ad opera di Franchi e Mennozzi (probabilmente il P. Mennozzi che nel 1872, sul catalogo della vendita Trollope, è indicato come esperto di libri).

Cataloghi degli anni Ottanta

A partire dagli anni Ottanta i cataloghi mutano il loro aspetto e la loro sostanza assumendo una veste editoriale più elegante ed un impianto assai diverso. Variano i formati e spesso i testi sono corredati da illustrazioni, quando non addirittura da costosi album fotografici57. Se l’asta è particolarmente importante può accadere che vengano pubblicati cataloghi di formati diversi per rispondere alle diverse esigenze e alle diverse tasche dei possibili acquirenti58. I cataloghi più raffinati hanno formati molto grandi (in folio o atlante) e spesso sono impreziositi da copertine in marocchino col titolo impresso a lettere dorate. Quasi sempre il catalogo è preceduto da un’introduzione di un esperto che, se inizialmente coincide con l’impresario di vendita, in seguito può identificarsi con un conoscitore, o antiquario. Rispetto al decennio precedente le descrizioni degli oggetti posti in vendita si fanno più dettagliate e tecnicamente più precise, introducono elementi di giudizio e valutazione (dalle poche righe dei cataloghi degli anni Settanta si può arrivare, in qualche caso, a descrizioni che superano la mezza pagina), informano (quando possibile o utile) sui passaggi collezionistici e forniscono notizie storico-critiche.

Sia negli anni Settanta che negli anni Ottanta l’organizzazione avviene per categorie o per stanze mentre dagli anni Novanta si utilizza sempre più spesso un’organizzazione degli oggetti in base alle giornate di vendita; l’unico caso di organizzazione del catalogo per autori è quello della vendita dei ventitré fiamminghi della Galleria Demidoff avvenuta a Parigi nel 1868. Infine osserviamo che allo scadere degli anni Ottanta fa il suo ingresso un tipo di catalogo la cui veste è legata ad un indirizzo commerciale che si sviluppa (secondo i dati raccolti) in quel periodo ad opera di Giulio Sambon: in un’epoca in cui la riproduzione fotografica è ancora

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Tra i nomi dei fotografi rintracciati sui cataloghi completi di immagini, l’unico fiorentino risulta L. Ciardelli.

58 Ne è un esempio la vendita Demidoff del 1880, in occasione della quale vennero pubblicati cataloghi molto raffinati e costosi per i quali erano state disposte delle liste di richiedenti («La Nazione» 7 gennaio 1880, p. 3) (se ne sono conservati alcuni esemplari nelle biblioteche dell’Istituto germanico di Firenze, nella Biblioteca degli Uffizi, nella Biblioteca del Bargello), ma furono pubblicati anche cataloghi di formato ridotto, sebbene ancora con copertina rigida e alcune foto, sicuramente più economici (un esemplare è conservato all’Istituto Germanico). Un secondo esempio è la vendita Toscanelli del 1883. Anche in quel caso vennero pubblicati ctaloghi di diverso formato: sia una versione economica, di piccolo formato, con copertina morbida e priva di immagini, sia una versione più ricca, di grande formato, con copertina rigida e album fotografico separato.

molto costosa e si cerca di limitarne l’uso, la descrizione estremamente dettagliata e tecnica degli oggetti favorisce la vendita per catalogo.

Un caso esemplare in cui si dettero alla stampa cataloghi di diverso formato è la vendita della collezione Demidoff di S. Donato. In quell’occasione vennero pubblicati tre diversi tipi di catalogo: di lusso, medio ed economico. Per la versione di lusso, raffinata e costosa, vennero aperte delle sottoscrizioni nell’ufficio del Prefetto e nell’ufficio del Sindaco e il ricavato, per volere di Paolo Demidoff, destinato in parte ai poveri, in parte alla costruzione della facciata del Duomo di Firenze. I cataloghi di formato ridotto –comunque molto voluminosi-, avevano anch’essi una copertina di pregio e alcune illustrazioni. Più agile e funzionale la versione economica, era costituita da piccoli libretti dedicati ad alcune selezioni di oggetti59.

Tre anni

più tardi anche per la vendita di Giuseppe Toscanelli vennero pubblicati cataloghi di

diverso formato: sia una versione economica, di piccolo formato, con copertina morbida

e priva di immagini, sia una versione più ricca, di grande formato, con copertina rigida e

album fotografico separato

Nonostante le diverse fogge con cui si presentano, i cataloghi manifestano caratteristiche basilari comuni, (ancora presenti in quelli moderni) sia nella struttura, sia nei contenuti; le prime pagine forniscono dati utili ai partecipanti -e al moderno studioso- per capire il funzionamento dell’asta. In genere già dal frontespizio si apprendevano le informazioni di base (cosa, dove e quando): il nome dell’impresa che si occupava di gestire l’asta, l’oggetto della vendita, il luogo e le date in cui sarebbe avvenuta.

L’oggetto della vendita era individuabile dal titolo, che nei primi esempi rinvenuti risulta assai lungo perché offriva una concentrazione di informazioni ritenute invitanti agli occhi dei compratori: si descriveva la natura degli oggetti, si specificava se sarebbe stata venduta un’intera collezione, singole sezioni di essa, parte degli arredi di una dimora, oppure un insieme di oggetti privi di un legame storico o stilistico fra loro e si segnala va la presenza di oggetti ritenuti di maggior pregio o di gran moda. Già dalle prime battute, quindi, si intuisce la volontà dell’impresario di indirizzare la comunicazione verso una determinata fascia di pubblico sperando che i partecipanti siano spinti da un vero interesse, che il commerciante esperto sa essere uno degli elementi con buone probabilità di tradursi in acquisto.

Inoltre con un’operazione dal valore promozionale facilmente comprensibile , sempre nel titolo, alcune volte veniva rivelata l’identità del venditore, generalmente omesso per ragioni di riservatezza. Ma se il collezionista era noto per il suo gusto e la sua fama di conoscitore,

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Una versione economica del catalogo è conservata presso l’Istituto Olandese di Firenze ed è un «Resumé du catalogue» delle tavole messe all’asta tra lunedì 15 e mercoledì 17 marzo 1880. Sull’argomento si ritorna più avanti in questo stesso capitolo.

Tesi di dottorato di Barbara Bertelli, discussa presso l’Università degli Studi di Udine

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