fondamentale importanza per il controllo avvertire la dogana di confine di Narni (passaggio d’obbligo da Foligno a Roma). Il Ministro delle Finanze prendeva spunto da questo caso specifico, per suggerire la necessità di un provvedimento generale. In casi come questo il Ministero della Pubblica Istruzione avrebbe dovuto impartire gli ordini opportuni alle dogane di confine in modo da non lasciar passare le casse contenenti oggetti d’arte non accompagnate da un permesso.
Sul tema della spoliazione delle opere d’arte e dell’esportazione dei “beni nazionali” l’opinione pubblica comincia a far sentire la propria voce solo intorno agli anni Ottanta.
Già nel 1877 Luigi Grazzini scriveva un breve manifesto a stampa per lamentare l’indecenza della facile dispersione di opere d’arte in Italia e cita la recente vendita di due quadri di Salvator Rosa della già Galleria Guadagni (venduti per 55.000 lire) e quello attribuito a Botticelli della famiglia Digerini Nuti (venduto per 24.000 lire) dietro la spinta di Alessandro Foresi: «Si dice infatti che l’esimio Dottor Alessandro Foresi, introdotto nella Galleria, o Gabinetto che sia, ove il quadro di Botticelli trovatasi, datogli un soll’e rapido sguardo e volgendogli tosto le spalle abbia esclamato ma che Botticelli….; quanto vi offrono? – 24000 lire – eh datelo!
Con tal prestezza si pretende che il prelodato dottor Foresi abbia dato il suo parere intorno ad una pittura di uno de’ più celebri artisti»247
Altre testimonianze emergono dalle pagine de «La Nazione». Il giorno 8 aprile 1880 usciva un articolo di protesta contro la politica degli acquisti adottata dallo Stato in merito all’affresco del Beato Angelico, già offerto in vendita da Bardini a Julius Meyer, Direttore Generale dei Musei Di Berlino, nel 1876 e rifiutato da una Commissione di esperti.
«Abbiamo saputo con dispiacere che uno dei celebri affreschi del Beato Angelico esistenti nell’ex convento di San Domenico di proprietà della nobil Casa Capponi venne acquistato dal Museo del Louvre. Il Ministero dell’istruzione Pubblica, che ha nelle sue casse circa 300,000 lire, retratto dalla tassa d’ingresso delle nostre Gallerie e Musei, non credè di dovere acquistare quella magnifica opera, che fu venduta per un valore uguale ad un quinto del denaro che dovrebb’essere destinato esclusivamente ad arricchire di nuovi oggetti d’arte le nostre pinacoteche»
(«La Nazione» 8 aprile 1880, p. 3)
Pochi giorni più tardi un secondo articolo esponeva un diverso episodio
«Cose d’arte. Tristo titolo questo, a dir vero, se il più delle volte ci deve servire per registrare il lento, ma continuo depauperamento di graziose opere d’arte a cui
247
andiamo soggetti, un po’ da per tutto in Italia, ma da qualche tempo più specialmente a Firenze.
Al Ministero della Pubblica Istruzione pare che ci sia una Direzione di Belle Arti, di cui sia cura principale far sì che l’Italia mandi via più che può degli oggetti d’arte che possiede: la famosa tassa sulle Gallerie e sui Musei non si sa a che serve, se non si spende a preservarci per queste vergogne. L’egregio signore che ci scrive la lettera seguente ci esorta a valerci della nostra influenza per ottenere qualche rimedio. Ma che influenza di giornale! Ci vuol altro! Noi gridiamo tutti i giorni; ma a che pro? Ci sono in Firenze Autorità che hanno voce presso il Governo e nella Città: perché non si fanno vive? E i cittadini? … Ecco la lettera:
Illustrissimo signor Direttore, Firenze 8 aprile 1880
Ho letto nel numero d’oggi del suo Giornale l’annunzio della vendita dell’affresco dell’Angelico esistente nella villa Capponi, con parole di giusto compianto per la poca pena che il R. Governo si piglia intorno a siffatti tesori – Fiorentino per cuore e amante dell’arti belle, veggo con rammarico ogni giorno più spogliarsi questa povera città delle sue gloriose tradizioni. Pur troppo, se si può dar fede alle voci che corrono, anche due altri pezzi importantissimi minacciano di andarsene all’estero, cioè gli affreschi del Botticelli che si trovano nella villa del signore X – Chi conosce l’importanza di codesti due affreschi, sì intrinseca come relativa, deve mal sopportare che esteri Musei vadano superbi di siffatte spoglie a nostro scorno e detrimento. Io non intendo danneggiare interessi privati; ma, se è vero ciò che ho letto nel suo giornale sulle somme di cui dispongono le Regie Gallerie, io spero che Ella userà della influenza del suo autorevole Giornale per appoggiare gli interessi della povera Firenze, e farsi interprete presso il Governo de’ voti che ogni amatore di oggetti d’arte deve fare, perché non siano persi anche questi due pezzi, per me importantissimi. Mi serva di scusa della libertà presami di rivolgermi a Lei, la nobiltà della causa. Suo devotissimo A. Mariani» («La Nazione» 12 aprile 1880, p. 3)
Tesi di dottorato di Barbara Bertelli, discussa presso l’Università degli Studi di Udine
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PARTE IVSTUDIO DI UN CASO
L’Ospedale di Santa Maria Nuova e la dispersione degli oggetti d’arte della collezione Galli Tassi
Si è visto quanto scarse siano le testimonianze relative ad aste avvenute negli anni Sessanta sia sotto forma di cataloghi, che di avvisi o articoli di cronaca apparsi sui quotidiani. Anche nelle
Memorie248 di Alessandro Foresi si rintraccia un’unica indicazione riguardante un’asta per quegli anni e riguarda le opere d’arte appartenute al conte Angiolo Galli Tassi e lasciate in eredità agli Ospedali toscani.
Proprio in virtù della carenza informativa, l’episodio citato dal Foresi assume un certo peso e richiama su di sé l’interesse dello studioso.
Per l’autore la vicenda è tanto irrilevante, che decide di trattarla solo marginalmente all’interno di una più ampia polemica diretta all’avvocato Giuseppe Tassinari249; il racconto è privo di coordinate cronologiche, e la sua collocazione agli anni Sessanta è affidata allo spirito di deduzione del lettore (e nel nostro caso confortato dall’esistenza di altre fonti)250.
La collezione Galli Tassi non gode di una bibliografia specifica e il riferimento presente nel testo di Foresi poteva apparire cosa di poco conto, se non fosse che quelle pochissime informazioni relative ad un’asta andavano ad aggiungersi ad alcuni riferimenti alla vendita di oggetti della stessa collezione, emersi nel corso della ricerca tra i documenti pertinenti alle Gallerie fiorentine e al Museo del Bargello i quali in parte confermavano quanto ipotizzato per la cronologia dei fatti esposti da Foresi, in parte aiutavano a caratterizzare la raccolta Galli Tassi come assai ricca e importante finendo per rappresentare la stimolante base per l’approfondimento, che ha spinto la ricerca verso il tentativo di ricostruzione delle sorti della collezione251.
248
FORESI 1886. Per le notizie su Foresi vedi paragro a lui dedicato. 249
Giuseppe Tassinari, nato a Firenze il 3 settembre 1802 conseguì la laurea in giurisprudenza all’Università di Pisa nel 1824. Profondamente interessato di letteratura, fu anche un appassionato studioso di agraria. Secondo quanto riportato da Alessandro Foresi nelle Memorie (p. 259) fu deputato al Parlamento Toscano e membro del Consiglio Provinciale fiorentino e collezionista entusista.
250 Dopo il racconto del rocambolesco acquisto da parte di una Venere scolpita da Antonio Novelli, l’autore scrive: «andiamo avanti. Sul principio del 1866 […]», un’annotazione che suggerisce il 1866 come terminus ante quem, e che concorda con le date di pubblicazione sul quotidiano «La Nazione» di alcuni avvisi di incanto relativi all’eredità Galli Tassi. Gli avvisi, pubblicati dal febbraio 1865 al febbraio 1868, riferiscono di vari incanti andati deserti; quasi tutti relativi ad immobili, ad eccezione del primo che comprende anche «oggetti preziosi, argenti e diversi oggetti di mobilia».
251
La collezione Galli Tassi, insieme a fondi urbani (case, palazzi, botteghe) e beni rurali (ville, poderi, fattorie)252, fu lasciata dall’ultimo discendente della famiglia, Angiolo Galli Tassi, in eredità agli ospedali toscani253. La donazione destò una vasta risonanza per l’enorme consistenza (quasi tre milioni di lire) e in particolare per le condizioni espresse nel testamento dal benefattore. Il conte infatti imponeva che i beni venissero venduti e il ricavato impiegato a favore degli istituti pii. La collezione venne così incorporata nel complesso di oggetti d’arte dell’Ospedale di Santa Maria Nuova ed è stata studiata per le vicende che la legano a quel patrimonio254.
252 Secondo quanto risulta dal « Giornale dell’eredità» nel luglio del 1863 tra i beni urbani sono menzionati: «Palazzo in via Pandolfini, casa in via Pandolfini contigua al palazzo e casa annessa in via degli Albizi, Palazzo in S. Maria Maggiore detto delle cento finestre, Palazzo in via delle Belle Donne, casa in Borgo la Noce, Bottega in mercato vecchio, casa in via della Colonna, casa in vicolo del guanto»; tra i beni rurali si annotano: «fattoria con villa a Scandicci e villa dell’Arone, fattoria con villa a Montespertoli, fattoria con villa a Carmignano, fattoria con palazzetto all’Incisa, Villa grandiosa con giardino all’inglese e tre poderi alla Pietra, 11 poderi in diverse località» (ASFi, Eredità Galli Tassi, 157, Giornale dell’eredità Galli Tassi, c. 1)
253
Valerio Cantafio Casamaggi espone con chiarezza le origini della famiglia del conte in un breve articolo dedicato ad un ritratto di Baccio Bandinelli presente nella collezione del principe Strozzi dal quale è tratta una stampa eseguita da Francesco Allegrini, dedicata al conte Angiolo Baldassarre Galli Tassi. La famiglia Galli originaria di Prato, da cui discendeva quest’ultimo, si imparentò con i Tassi nel 1600, grazie al matrimonio di Lorenzo Galli e Cornelia Tassi. Fu Agnolo Galli Tassi, il padre di Angiolo Baldassarre, ad essere insignito del titolo di conte il 15 marzo 1734 per volontà del granduca Gian Gastone che, insieme alla duchessa Dorotea di Parma, ne tenne a battesimo il figlio. Angiolo Baldassarre ebbe un unico figlio, Pietro Leopoldo, dalla cui unione con Elisabetta Ganucci nacque il conte Angiolo (1792-1863), ultimo erede d ella famiglia (CASAMAGGI 2000, pp. 53-54).
254
Tra primi ad occuparsi dell’Ospedale di Santa Maria Nuova fu Ottavio Andreucci (1871) che, nell’esporre la storia della creazione della biblioteca e della pinacoteca dell’Ospedale, accenna alla raccolta di dipinti donata dal conte Galli Tassi definendoli «l’avanzo di quei molti che costituivano la galleria di questa antica casata fiorentina» (p. 21). L’autore dà rilievo all’aspetto legale della questione, sottolineando che l’Ospedale disponeva dei dipinti non in quanto proprietario, ma solo in provvisorio deposito avendo il donatore espresso volontà testamentari che fossero venduti e che il ricavato fosse ripartito tra tutti gli ospedali toscani. A più di un secolo di distanza Agostino Lucarella (1986), chiarisce la questione riguardante la gestione dell’ente. Con l’annessione della Toscana all’Impero francese l’Ospedale di S. Maria Nuova nel 1811 passò sotto la dipendenza della Commissione Amministrativa degli Ospizi, costituita dal Sindaco, dal Presidente e da quattro Consiglieri, che rimanevano in carica tre anni. Ci fu un periodo di crisi e per risolvere la situazione il Consiglio Provinciale (27 giugno 1865) decise di dividere la complessa gestione dell’Opera Pia di S. Maria Nuova e Stabilimenti Riuniti, prima gestite dal solo Commissario, e creò una Direzione tecnico-amministrativa ed una tecnico-sanitaria che, separatamente, dovevano rendere conto al Consiglio Ospitaliero (il provvedimento fu attuato il 10 gennaio 1867). Il 12 dicembre 1871 il Re Vittorio Emanuele istituì per l’Ospedale un Consiglio di Amministrazione retto da un Presidente. Tre anni più tardi il testo di Francesca Brasioli e Laura Ciuccetti (1989) ripercorre le vicende della storia delle raccolte d’arte dell’Ospedale, offrendo al lettore un utile catalogo delle opere, completo delle provenienze, dal quale risulta la probabile provenienza dalla collezione Galli Tassi per tre dei dipinti ancora presenti nella collezione. Di recente il Centro di Documentazione per la Storia dell'Assistenza e della Sanità Fiorentina attraverso i contributi di Esther Diana, Cristina De Benedictis, Alessandro Coppellotti, si è occupato delle vicende storiche, architettoniche e collezionistiche dell’Ospedale di Santa Maria Nuova e del suo rapporto con lo Stato e con gli enti pubblici, affrontando il tema della conservazione e della dispersione del patrimonio artistico e il connesso tema dei controversi rapporti dell’ente con lo Stato. Dopo la costituzione nel marzo del 1871 della Pinacoteca all’interno dell’Ospedale -fallito per ristrettezze economiche-, nel 1900 l’Ospedale tentò comunque di realizzare l’intento di vedere le opere raggruppate in un Museo cittadino, cedendo 83 opere d’arte allo Stato, oggi disperse in vari Musei e magazzini. Segnalo il saggio di Esther Diana (2005, pp. 313-351), per l’importante supporto documentario sul quale si basa. La studiosa esamina la storia della
Tesi di dottorato di Barbara Bertelli, discussa presso l’Università degli Studi di Udine