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Premessa

Nell’ultimo decennio, sulla scia degli accordi internazionali sullo sviluppo sostenibile e con l’intento di mitigare il contrasto città porto manifestatosi nelle ultime decadi del secolo scorso, la maggioranza dei porti europei e mediterranei hanno dato inizio ad un vero e proprio processo di conversione funzionale, ambientale e sociale. Lo stato d’attuazione di questa “conversione” è molto diversificata e avanza secondo quelle che sono le tempi- stiche legate ai procedimenti burocratici ed amministrativi, molto diversificati da nazione a nazione; il processo è però da considerarsi avviato e può essere oggetto di valutazioni e considerazioni.

L’insieme delle nuove politiche di sostenibilità dei porti, note col termine “Green Port”, stanno creando una vera e propria “corrente” di pen- siero, alimentando un dibattito internazionale che appare avanzato sul piano teorico, ma ancora in fase sperimentale dal punto di vista pratico1. Dall’analisi di quanto fatto in materia

a livello europeo e in Italia, da Barcellona a Rotterdam, da Genova a Venezia, da Livorno a Gioia Tauro, si evincono situazioni complesse e diversificate, che delineano un vasto campo d’azione, articolato in varie modalità attuative, non sempre in linea con le direttive generali. Queste direttive trovano una sistematizzazio- ne in alcuni documenti di indirizzo varati da varie associazioni portuali quali ad esempio “l’Europian Sea Ports Organizzation”, meglio conosciuta come ESPO che ha pubblicato, per i propri soci, studi specifici in materia, tra cui il “Codice di buone pratiche per l’integrazione sociale dei porti” e la “ Green guide”. L’AIVP, ossia “Association Internazional ville ed Port”, (o meglio conosciuta come IACP Internacional

Association cities and port) con sede a Ha- vre, presente in 49 Paesi, è una società non governativa che promuove il dialogo tra le città e i porti; interviene nei problemi di sviluppo sostenibile, nelle politiche di asseto territoriale e nelle problematiche relative alle aree di in- terfaccia urbano-portuali; di recente sono stati aggiunti temi come l’integrazione sociale dei porti e la questione del cambiamento climatico. Questi documenti, che hanno assunto validità generale di indirizzo in materia di sostenibilità portuale, hanno così contribuito a consolidare, assieme alle normative europee e internaziona- li, una visione più attuale del rapporto tra por- to e città e delle procedure utili all’implementa- zione della sostenibilità in ambito portuale. Intorno a queste tematiche generali si è presen- tata la necessità, nel processo più generale di rigenerazione urbana avviato da alcune città fin dagli anni ‘70, di prestare una maggiore attenzione al rapporto città e porto, alle aree portuali degradate ed agli ambiti urbani di frangia, alfine di agevolare un maggiore gra- dimento della popolazione locale e ottenere il consenso popolare al progetto più generale di sviluppo urbano. Un processo diverso di quello avviato negli anni ‘70, dove gli interventi sui waterfront sono stati concepiti come progetti di rigenerazione urbana e di sviluppo complessi- vo della città più che orientati all’adeguamento delle attività portuali. Negli ultimi decenni, infatti, i porti, a causa dei profondi cambia- menti della tipologia di sviluppo economico produttivo, hanno visto allentare il rapporto con le città di appartenenza; la trasformazione dei processi industriali, le grandi espansioni infrastrutturali, il gigantismo navale, nonché la separazione imposta dalle rigide norme doga- nali e dai protocolli di sicurezza, acuiti dopo l’11 settembre 2002, hanno, progressivamente

delocalizzato ed estraniato i porti dalle proprie comunità locali. Appare evidente come una maggiore attenzione agli aspetti sociali ed il rafforzamento dei rapporti e della progettualità con i centri urbani d’origine abbia comportato, là dove è stato attuato, degli indubbi vantag- gi: l’ammodernamento delle strutture portuali viste come fattore di sviluppo della città nel suo complesso, la rigenerazione delle aree di frangia alle aree portuali, l’adeguamento delle strutture di mobilità, territoriale ed urbana e il recupero della memoria storica, dei beni culturali e di archeologia industriale presenti nelle aree portuali. A tal fine appare necessa- rio integrare le politiche ambientali del porto con le strategie urbane di sviluppo, attraverso la riappropriazione dell’identità storica, il potenziamento delle strutture di trasporto, viste in un’ottica metropolitana e la rigenerazione urbana delle aree di margine, nell’ottica dello sviluppo sostenibile.

Le Aurorità Portuali di Sistema nella normativa vigente

Nella G.U. n. 203 del 31/08/2016 è stato pubblicato il Decreto legislativo n. 169/2016 che ha aggiornato l’ordinamento e le attivi- tà portuali nazionali, apportando rilevanti modifiche ed integrazioni alla L. n. 84 del 28/01/1994. Con questo decreto si avvia un processo di accorpamento e riorganizzazione di organi dello Stato ai fini di una maggiore economicità e razionalizzazione dei servizi. In particolare, il Decreto legislativo in que- stione, che è entrato in vigore il 15 settembre 2016, ha previsto l’istituzione di quindici Autorità di sistema portuale (AdSP) che assorbi- ranno le attuali ventiquattro Autorità Portuali. Il Decreto, di “riorganizzazione e semplifica- zione della disciplina concernete le Autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994 n. 84” è stato varato in attuazione dell’art. 8, comma1, della legge 7 agosto2015, n.124,” di riordino dell’Amministrazioni Pubbliche, con l’intento di avviare un processo di accorpamen- to e riorganizzazione di organi dello Stato. Le APdS rientrano in tale normativa in quanto “ente pubblico non economico di rilevanza nazionale a ordinanza speciale”. In particola- re, in materia di porti si prescrive “l’individua- zione di Autorità di sistema e nuove strutture

di governace, tenendo conto del ruolo delle regioni e degli enti locali e della semplificazio- ne e unificazione delle procedure doganali e amministrative”.

Già nella scorsa legislatura si era tentato di varare una nuova legge del mare in sostituzio- ne della legge fondamentale n. 84/94 che, pur avendo il merito di rendere obbligatorio la redazione del Piano Regolatore del Porto (PRP), mostrava elementi di inadeguatezza in rapporto all’accelerazione delle dinamiche di trasformazione dei porti. Il decreto 169/16, pur non essendo una nuova legge generale, af- fronta compiutamente il riordino delle autorità portuali, oggi presenti in tutti porti, introducen- do il concetto di “autorità portuali di siste- ma”(APdS)” e della pianificazione energetica, nell’intento di contenere le emissioni di CO2. Questi piani regolatori portuali di sistema, riferiti ad ambiti territoriali più vasti e comples- si delle vecchie Autorità Portuali, dovranno dotarsi di una “preventiva valutazione di fatti- bilità” anche mediante analisi costi e benefici e prevedere misure di monitoraggio, al fine di consentire una valutazione della loro effica- cia. Il Piano Regolatore Portuale di sistema che comprende tutti i porti ricadenti nell’area di competenza delle APdS è approvato dalla Regione di appartenenza; se ricade in più Re- gioni la competenza è assegnata alla Regione sede dell’APdS, Analogo iter ha l’approvazio- ne della Vas che rimane sempre lo strumento cardine della pianificazione ambientale. Sede dell’APdS è il porto centrale (c.d.core) secon- do il regolamento 1315/2013/ Ue, relativo alla nuova rete transeuropea di trasporto. È fatto salvo la facoltà delle Regioni richiedere l’inserimento di un porto di rilevanza econo- mica regionale di propria competenza, nelle APdS2. Nella delimitazione delle nuove APdS,

prevale il fattore geografico, determinante per l’assetto complessivo della portualità, da cui si evince la debolezza della rete infrastrutturale nel suo complesso, in rapporto all’estensione delle coste e del sistema portuale meridionale in particolare.

Gli accorpamenti maggiori si riscontrano, infatti, in quest’ambito: nell’Autorità di Sistema Portuale Dei Mari Tirreno Meridionale e Jonio e Dello Stretto localizzata tra due regioni, Calabria e Sicilia, che comprende il porto di Gioia Tauro, uno dei porti transcipment più

importanti del Mediterraneo, sede dell’APdS, Messina, Tremestieri, Milazzo e altri piccoli porti calabresi in numero complessivo di dieci; il Sistema Portuale Del Mare Di Sardegna-Porti di Cagliari, Foxi-Sarroch, Olbia, Porto Torres, Golfo Aranci, Oristano, Portoscuso-Portovesme e Santa Teresa Di Gallura (Solo Banchina Com- merciale) ne comprende otto. Infine anche l’Au- torità Di Sistema Portuale Del Mare Adriatico Centrale comprende sei porti- Porto Di Ancona, Falconara, Pescara, Pesaro, San Benedetto Del Tronto (Esclusa Darsena Turistica) e Ortona; solo alcuni porti mantengono l’autonomia am- ministrativa, come i porti di Ravenna, Taranto e Trieste gli altri si aggregano intorno ai porti maggiori sedi di APdS. Complessivamente le nuove ripartizioni si pongono l’obiettivo di razionalizzare l’esistente più che prefigurare nuovi assetti funzionali in grado di compe- tere a livello globale; nel corso del tempo si potranno registrare, tuttavia, aggiustamenti in rapporto ad effettive esigenze di economici- tà ed efficienza, nelle more di attuazione di una nuova legge sulla portualità, presente nel dibattito parlamentare fin dal 2012, ma mai attuata; l’attuale dl n. 169/2016 rappresenta pertanto un’anticipazione dei temi più generali di riassetto complessivo3. La competizione tra

le regioni per aggiudicarsi l’APdS è dovuta all’aumentato potere delle stesse in vari settori tra cui quelli di indirizzo, programmazione e coordinamento, regolazione promozione e controllo: esse inoltre coordinano le attività amministrative degli enti e organi pubblici nell’ambito dei porti e, in via esclusiva, le aree e i beni del demanio marittimo; infine godono di autonomia amministrativa, organizzativa, di bilancio e finanziaria.

Bisogna inoltre sottolineare che nel futuro saranno le APdS a promuovere le forme di raccordo con i sistemi logistici retro portuali e interportuali e delle aree di interfaccia cit- tà-porto. L’APdS, ai fini di una maggiore effica- cia amministrativa di alcuni porti, può istituire nelle città capoluogo di provincia non sedi dell’APdS, un ufficio amministrativo decentrato. Gran parte dei poteri dell’ente sono concentra- ti nelle mani del Presidente che nomina e pre- siede il Comitato di Gestione a cui sottopone il piano operativo triennale, il bilancio preventivo e consuntivo e relative variazioni; promuove programmi di investimento infrastrutturali.

In definitiva il presidente dell’APdS compendia nelle sue mani gran parte dell’autorità e del potere di promuovere sviluppo e adeguamen- to dei porti di sua competenza alle direttive nazionali e comunitarie nel campo dei trasporti marittimi. Presso il Ministero delle infrastrut- ture e dei trasporti è istituita la Conferenza nazionale di coordinamento delle APdS, con il compito di armonizzare e coordinar a livello nazionale le scelte e le strategie che attengono ai grandi investimenti infrastrutturali, le scelte di pianificazione urbanistica in ambito portua- le, delle procedure concessorie del demanio marittimo e delle strategie di marketing e pro- mozione del sistema portuale nazionale. Per quanto attiene la pianificazione portuale l’art. 6 del citato decreto, reca la nuova disci- plina del Piano regolatore di sistema portuale, per la programmazione e la realizzazione del- le opere portuali nelle APdS. La nuova norma (che aggiorna l’art. 5, della l. n. 84 del 1994) prevede che tale Piano delimiti e disegni l’am- bito e l’assetto complessivo del porto, compre- se le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, nonché le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree inte- ressate. D’altra parte è intuibile che il piano regolatore portuale di sistema della APdS non potrà essere la sommatoria dei piani regolatori dei singoli porti, dovrà contenere indicazioni più generali sulle aree in cui ricade, anche se non contigue, e dovranno pertanto avere una più stretta collaborazione con gli strumenti di pianificazione di area vasta regionale e con i piani strutturali urbani.

Uno strumento urbanistico corredato dalla VAS di non facile redazione se si pensa alla centra- lità che stanno assumendo le questioni ambien- tali, in primo luogo l’abbattimento delle CO2 particolarmente presente nelle aree portuali, assieme alle questioni sociali, volte a sviluppa- re una nuova sinergia tra le varie istituzioni e tra la popolazione. Nelle more di redazione dei nuovi PRP di sistema si prevede che gli attuali piani regolatori portuali vigenti alla data di emanazione del decreto, restino in vigore fino all’adozione dei nuovi piani. Nell’imme- diato sarà dunque la normativa vigente ad as- solvere alle necessità e governabilità dei porti: strumenti che dovranno garantire la transizione da un sistema decentrato, basato sulle singole

unità portuali, ad una tipologia di pianificazio- ne integrata e fortemente centralizzata. I porti italiani nel contesto internazionale

La situazione portuale italiana, come risulta dal Piano Strategico Nazionale della Por- tualità e della Logistica4, da cui sono tratte

queste note, evidenzia alcune peculiarità, dovute alla presenza di molti porti distribuiti su una costa molto estesa e alla conforma- zione geomorfologica, che rendono difficile, a differenza di altri Paesi, la concentrazione di funzioni che beneficiano, più di altre, di economie di scala; inoltre i porti italiani sono quasi tutti collocati nei pressi del centro delle città storiche che spesso condizionano, attra- verso le strutture fortemente inquinanti e da cui sono, contestualmente, condizionati. Il “Global Competitiveness Index 2014-2015” del World Economic Forum, ha collocato le infrastrutture portuali italiane al 55° posto nella graduatoria di competitività, a fronte del 9° posto della Spagna, del 23° posto del Portogallo, del 32° della Francia, del 49° della Grecia e del 51° della Croazia. Tra gli elementi di debolezza del sistema portuale italiano, assumono rilievo la carenza di infrastrutture fisiche e di intermo- dalità, arretrate rispetto agli standard europei; la perdita di competitività del sistema portuale nel sistema del transhipment; l’incremento delle quote di mercato dei sistemi portuali del Nord Europa sui traffici tra paesi extra-UE ed Italia. Tra le potenzialità del sistema portuale italia- no, assumono rilievo la possibilità di costituire “un nuovo gateway di ingresso da Sud per le merci con origine/destinazione i Paesi/regio- ni dell’Europa continentale, dalla Svizzera, all’Austria e alla Baviera, nonché le opportuni- tà offerte dalle economie in forte crescita della sponda Sud-occidentale (nonostante l’instabilità determinata dalla c.d. primavera araba) ed orientale del Mediterraneo”. L’Italia settentrio- nale è caratterizzata da due sistemi portuali, quello tirrenico (Savona, Genova, La Spezia) e quello Adriatico (Trieste, Venezia e Ravenna), che hanno i loro punti di forza nell’offerta di servizi a filiere produttive a forte tasso di inter- nazionalizzazione, nella riconversione e nella possibilità di costituire nodi di transito per flussi di merci da e per l’Europa continentale.

Gli scali dell’Italia centrale tirrenica ed adria-

tica rappresentano importanti esempi di porti commerciali a carattere regionale ed interre- gionale, con funzioni di supporto dei sistemi produttivi e dei distretti industriali. L’Italia meridionale è caratterizzata dalla presenza del sistema Napoli-Salerno (che insiste su un grande bacino demografico e importanti poli produttivi), dal sistema calabro e di Gioia Tauro (che dà segni di ripresa, nonostante la concorrenza di Malta, Pireo e Tangeri, ferma restando l’esigenza di trovare vie di sviluppo alternative alle sole attività di transhipment, eccessivamente dipendenti dalla volontà delle compagnie marittime), dal sistema siciliano (caratterizzato dalla presenza del traffico Ro-Ro (roll on-roll off) petrolifero energetico di Augusta e per il cabotaggio nazionale e inter- nazionale e dal sistema pugliese (caratterizza- to dalla presenza del cabotaggio nazionale e internazionale, con il porto di Taranto che si caratterizza invece per la sua duplice natura di porto industriale e di porto di transhipment). Il contesto normativo europeo è caratteriz- zato dai regolamenti sulla rete transeuropea dei trasporti (rete TENT, reg. (UE) n. 1315 e 1316/2013) e dal piano di azione per i trasporti per la regione del Mediterraneo che valorizza il ruolo dell’Italia nella costruzione di una rete di trasporto euromediterranea. Con riferimento all’andamento economico del settore è utile invece richiamare i seguenti dati contenuti, come detto, nel Piano Strategico nazionale della portualità e della logistica: tra le imprese dell’economia del mare, la cantieri- stica occupa il primo posto, con circa 27.000 attività imprenditoriali, il 64,2% delle quali localizzate nei comuni costieri; la cantieristica incide per il 15,2% sul totale delle imprese dell’economia del mare, mentre le imprese di trasporto fluvio-marittimo di persone e merci rappresentano il 6%. I porti italiani sono carat- terizzati anche da una forte presenza del traf- fico passeggeri, con una quota vicina al 20% del traffico complessivo europeo, seconda solo alla Grecia, mentre l’Italia occupa, con circa il 35%, il primo posto nel traffico crocieristico europeo. A livello globale, il traffico internazio- nale di merci ha raggiunto, nel 2013, i 9.548 milioni di tonnellate, con un incremento costan- te nell’ultimo trentennio (fatta eccezione per gli anni 1985 e 2009). D’altra parte, l’anda- mento internazionale del settore va verso una

concentrazione del mercato in alcuni grandi attori multinazionali e un aumento della cre- scita dimensionale delle navi: tendenza legata alla crescita della rotta Asia-Europa che, dal 2009 al 2011, ha superato la rotta transpacifi- ca ed è percentualmente cresciuta più di quella transatlantica. Il trasporto marittimo merci occupa, pertanto, un posto rilevante nell’econo- mia italiana: avvengono via mare il 70% delle importazioni e il 50% delle esportazioni; an- che se la crisi economica ha determinato una diminuzione delle importazioni via mare, si deve registrare, dopo il forte calo del 2009, un aumento delle esportazioni in particolare verso Asia, Mediterraneo, Medio Oriente, America. In rapporto alla situazione internazionale, in Italia, si registra una carenza infrastrutturale indotta dal gigantismo delle navi container che richiedono lavori di adeguamento e appro- fondimento dei fondali e l’allungamento delle banchine; molti porti del Nord Europa hanno profondità almeno pari a 16 metri, mentre di- versi porti italiani con rilevanti flussi container sono al di sotto di tale soglia (Napoli, Livorno, Venezia, Genova e La Spezia); le profondità dei principali porti italiani, comprese tra i 9,8 metri e i 18 metri, consentono comunque complessivamente di ospitare l’armamento attuale. “Per il collegamento ferroviario alla

rete ferroviaria “collegamenti di ultimo miglio” appaiono necessari investimenti; al riguardo la società RFI Spa prevede investimenti di medio periodo con interventi sulle linee che abilite- rebbero il transito di treni con moduli da 750 metri nella zona Nord e di treni con moduli da 650 metri nella zona Sud, con interventi sulle sagome che porterebbero ad una copertura molto ampia della rete ferroviaria naziona- le”; il sistema degli interporti, infine, presenta criticità quali l’insufficienza dei flussi merci, la concentrazione dei flussi sulla logistica di terra, la scarsa integrazione con le realtà portuali nazionali.

Il Piano regolatore portuale e l’integrazione porto-città

Il Decreto legislativo n. 169/2016, ha dato ai piani regolatori di sistema dei porti una nuova prospettiva, accentuando la funzione di strumenti promotori di complessi processi di pianificazione e gestione dei territori in cui ricadono le infrastrutture portuali. Il porto, in questa visione, è da ritenersi l’interfaccia di due sistemi gestionali complessi, in un con- testo in cui è in gioco l’intero territorio che li circonda, con il potenziale intermodale e di servizio esistente. Permane, tuttavia, malgrado le sperimentazioni in atto, una diversa velocità di trasformazione delle aree portuali rispetto a quelle urbane: fattore che fa percepire il porto come sistema chiuso e separato dalla città, in rapporto, anche, all’incompatibilità di molte attività portuali rispetto a quelle urbane. Recentemente, in concomitanza con i processi di dismissione e di sottoutilizzazione delle aree portuali, molte amministrazioni locali, hanno redatto piani regolatori generali e piani parti- colareggiati, avviando con le Autorità Portuali azioni concertate, volte a trasformare i vincoli posti dalle esigenze funzionali del porto, in nuove opportunità, affermando la tendenza a fare del porto un nodo complesso, connesso, a sua volta, con i nodi trasportistici distribuiti sul territorio e con le aree produttive: un nuovo polmone per le città. “L’intersezione, l’incontro, sostiene l’Assoportiil grado d’integrazione con le reti insediative, ambientali e produttive, ca- ratterizzano l’identità e l’efficienza del porto; si costituisce, così, una rete che per la sua dimen- sione sovraregionale apre il porto al mondo e

al circuito della globalizzazione; nello stesso tempo, il suo rapporto con la rete insediativa gli restituisce il radicamento con il luogo. In questo modo tra città e porto si stabili sce un nuovo dialogo, in cui alcune aree possono restituire alle urbanizzazioni contemporanee nuove centralità e nuovi ambiti progettuali per il loro riordino funzionale e qualitativo”5. Com-

pito della pianificazione ricomporre il senso delle singole identità, partendo da un adegua- to Quadro Conoscitivo, in grado di restituire le prospettive di trasformazione nel breve e medio periodo.In quest’ottica diventa partico- larmente importante individuare una serie di nodi infrastrutturali di interscambio tra porto e