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Premessa

Riflettere sulle periferie urbane in un momento di grande cambiamento sociale ed economico come quello che viviamo, non è affatto sempli- ce: si può facilmente sbagliare il tiro, attestarsi su generiche affermazioni di rigenerazione o piuttosto delineare scenari eccessivamente futuribili. Si tratta però di un’attività conoscitiva importante perchè può contribuire a chiarire e a riformulare alcuni concetti su cui tutt’ora si basa la pratica progettuale urbana ed è sotto questo aspetto che intendiamo fornire il nostro contributo.

Le nostre città sono cresciute moltissimo nel corso del novecento e hanno strutturalmente modificato sia i rapporti con il territorio esterno che le relazioni con i nuclei identitari interni. Se limitiamo l’analisi agli ultimi cinquanta anni, dal 1970 ad oggi, possiamo constatare come la crescita urbana delle città italiane sia il ri- sultato di un’onda demografica ed economica molto lunga che si è arrestata definitivamente solo agli inizi degli anni 2000.

Se consideriamo il caso romano, media nazio- nale di quanto è accaduto nella penisola, pos- siamo affermare che più del 50% degli italiani residenti nelle grandi città, vive ed abita in par- ti di città costruite tra la fine degli anni sessan- ta ed oggi che costituiscono buona parte delle cosidette periferie urbane. Vivere lontano dai centri storici identitari è quindi una condizione generale, di cui noi siamo i primi interpreti: se la metà della popolazione urbana italiana abi- ta le periferie siamo costretti a ritarare il nostro sguardo, non ha grande senso infatti parlare di

periferia come se stessimo parlando di qualche frangia urbana dissestata, posta ai limiti del centro urbano, perché in realtà ci riferiamo (a seconda dei filtri temporali che utilizziamo e

delle situazioni specifiche, sempre diverse) ai due terzi del corpo urbano delle nostre città e alla metà della sua popolazione. Se questi sono i dati di partenza il tema di fondo, su cui riflettere, è la riorganizzazione della città esi-

stente, centro e periferie insieme, di cui si parla da tanti anni (il progetto dell’esistente) senza essere riusciti a fare granché.

Le periferie appaiono ancora allo sguardo e nell’esperienza viva del loro corpo come un enorme detrito della crescita del nucleo interno, un grande avanzo della storia, men- tre sono (da un punto di vista demografico e spesso anche economico) i nuovi luoghi della

contemporaneità, gli spazi dove vive e lavora la maggior parte della popolazione urbana e dove, nel bene o nel male, stiamo costruendo il nostro futuro. Sarebbe un errore pensare di riflettere sulle sole periferie, intese come parti

separate della città perché questo mettereb- be fuori gioco una più grande questione che riguarda la forma dei corpi urbani nel loro

complesso. Alcuni studiosi sostengono che non esiste più una vera e propria forma della città perché è l’intero territorio ad essersi polarizza- to e la città è diventata un campo di forze1, un

insieme di nodi da interpretare all’interno di un territorio-città2. Secondo questo approccio,

gli studiosi della città dovrebbero riflettere su una forma urbanizzata nuova, nella quale le di- stinzioni nette tra città e campagna, tra centro e periferia tendono a rimescolarsi, creando di volta in volta fratture o zone grigie di interse- zione, sulla base delle tensioni e dei movimenti che attraversano i territori su più livelli.

Le tensioni che attraversano il territorio deter- minano localmente la necessità di interventi progettuali per cui l’organismo complessivo tende a diventare un insieme di nodalità. A no- stro avviso questo approccio, pur significativo,

tende ad eludere un dato fondamentale che riguarda la questione della struttura e della for- ma complessiva della città, che non può essere un risultato inatteso, frutto della sommatoria di processi di natura locale. La forma urbana è infatti un elemento fondamentale di ricono- scibilità e di identità che vale tanto localmente quanto per l’intera unità urbana. Quando par- liamo di forma urbana non intendiamo riferirci a geometrie esplicite che sarebbe inutile ed antistorico proporre ma ci riferiamo a quegli elementi (esistenti o di progetto) che attraversa- no il tempo della costruzione urbana rimanen- do stabili (o quantomeno più stabili degli altri) e che forniscono la struttura resistente delle

città. La riorganizzazione della città, a nostro avviso, necessita quindi di un chiaro quadro ideale che va formalizzato nelle sue indica- zioni di fondo, senza il quale qualsiasi opera- zione progettuale apparirà priva di un radi- camento di livello urbano e perciò tenderà ad aggiungersi alle altre aumentando il senso di confusione e di dispersione collettiva. Le nostre città sono letteralmente frantumate: esplose in un numero imprecisato di schegge, vicine nello spazio ma separate le une dalle altre. Nella pratica urbanistica corrente, al piano strutturale o (PRG) è solo formalmente ancorata una dis- seminazione di programmi attuativi, per lo più di iniziativa privata, che non aiuta il formarsi

Fig. 1 - Forma urbis romae il nucleo consolidato e le 9 micro-città di roma Verso la realizzazione delle microcittà di Roma, propone un modello policentrico di città che è stato già indicato come strategia di fondo nel nuovo PRG di Roma (2008) ed è stata confermato dal PTPG provinciale (2012). Al di la delle dichiarazioni e degli atti ufficiali, il policentrismo romano rimane una chimera, un’idea brillante che non viene perseguita da nessun programma concreto non avendo il PRG individuato e sviluppato alcun approfondimento strutturale e formale delle polarità urbane esistenti: ovvero sia la configurazione delle microcittà esistenti.

di parti di città strutturate, anzi determina le fratture nel corpo urbano contemporaneo che indichiamo come un problema.

Di fatto le analisi e le indicazioni del Piano Regolatore elaborate generalmente in scala 1:25.000 - 1:10.000 subiscono un passaggio di scala non governato da alcuno specifico strumento riapparendo in scala 1:2000 come frammenti di una unità invisibile. C’è un enorme vuoto progettuale tra le due scale di riferimento che andrebbe colmato attraverso un insieme coordinato di progetti urbani in grado di formalizzare le indicazioni urbane e di dare la necessaria continuità alle diverse scale di riferimento. Da questo punto di vista vorremmo proporre una recente riflessione sulla struttura urbana di Roma3 che si misura con un

programma di carattere sistemico e relazionale

che mette al centro, dopo molti anni di assen- za, le questioni di struttura e di forma di ampie porzioni di città, rimescolando gerarchie sociali e territoriali che diventano sempre più dure e consentendo una migrazione concettua- le dell’idea di periferia, da una dimensione di marginalità ad una di nuova centralità.

Verso la realizzazione delle microcittà di Roma

si è occupato di definire fisicamente le mi- crocittà del settore occidentale del Grande Raccordo Anulare (dalla Roma Fiumicino alla via Cassia) chiarendo i perimetri e fornendo un primo ventaglio di ipotesi rigenerative: la metodologia utilizzata nel settore occidentale è stata applicata a quella orientale e la figura risultante mostra l’esistenza delle nove microcit- tà anulari di Roma a cui andrebbero aggiunte le due microcittà della piana e della costa tirrenica comunque individuate dalla figura del sistema ambientale.

Riconoscere l’esistenza di queste microcittà è fondamentale per almeno due ragioni: per conferire al policentrismo urbano di cui parla- no gli strumenti urbanistici più aggiornati (PRG e PTPG) una struttura formale sufficientemente chiara: ad un modello urbano policentrico deve corrispondere una forma urbana policen- trica.

La seconda ragione è la semplificazione enorme che un ragionamento sulle microcit- tà produce. Nove grandi progetti urbani in grado di dare un senso alla espansione della città anzichè una messe enorme di Programmi attuativi che non risolvono i problemi perchè

non vedono o non possono riconsocere alcun modello urbano. Lo sviluppo di questo progetto fornirebbe alle città metropolitane una possi- bilità reale di definizione del sistema urbano, il più delle volte esploso in un numero impre- cisato di programmi urbanistic,i ciascuno dei quali disegna un frammento solitario e celibe di città.

Nuove prospettive di sviluppo urbano per Roma

La grande sfida dello sviluppo della metropoli

di Roma è innanzitutto legata all’organizzazio- ne del suo corpo, ancora oggi programmato come un unica, sfilacciata, struttura insediativa, dentro alla quale, mancando una regia e un modello di crescita delle sue parti componenti, ogni iniziativa, tende ad aumentare il senso di dispersione, di disordine e di dissipazione generale delle risorse, anzichè contribuire a costruire l’orditura della struttura metropolitana

della città. Ciò che manca, con tutta evidenza, è il progetto della struttura e della forma della

città, che, nel corso del novecento è diventata, in buona parte fuori dalla programmazione dei Piani Regolatori, una metropoli globale di medie dimensioni. La domanda è quindi semplice: è possibile individuare un modello di rigenerazione del corpo della città di Roma che ci consenta di riorganizzare le sue strutture secondo una visione metropolitana multipolare, oppure dobbiamo condannare Roma ad essere il risultato della frantumazione dei poteri, della parcellizzazione della proprietà, dell’esplosio- ne dell’iniziativa privata non coordinata? È possibile, in altre parole, dare una struttura e

una forma alla metropoli romana?

La riorganizzazione per microcittà sembra dare una risposta positiva alla domanda ini- ziale, poichè interviene su un corpo complesso come quello romano individuando dieci diverse

aggregazioni urbane, sulla base delle letture per tessuti che lo stesso nuovo Piano Regolato- re ha sviluppato.

La proposta, definisce un nuovo principio di perimetrazione dell’intera città di Roma, attra- verso una strategia morfologica che intreccia i tessuti urbani con i vuoti naturali che la struttu- rano4. Il riconoscimento di queste aggregazioni

urbane come vere e proprie microcittà oltre ad essere un passaggio fondamentale per la

realizzazione del policentrismo urbano, già indicato dal PRG come obiettivo da perseguire, può contribuire a restituire una struttura e una

forma riconoscibile al corpo sfibrato di Roma individuando un nucleo centrale e dieci centri

urbani satelliti; può favorire una diversa e più efficiente organizzazione della città e dei suoi grandi spazi naturali, specie se l’individua- zione delle microcittà sarà corroborata dall’i- stituzione di nuovi municipi al posto di quelli attuali, vetusti e di matrice radiocentrica. L’isti- tuzione delle microcittà5 sarebbe una novità

strutturale importante per la governance delle aree metropolitane, per una serie di ragioni che cercheremo di chiarire.

Sia sufficiente considerare,sotto questo aspetto, che l’istituzione delle microcittà consentirebbe di dotare l’area metropolitana di Roma, una delle più complesse in Italia, di una struttura più equilibrata di quella attuale, articolando il principale polo urbano e produttivo6, in una

pluralità di centri integrati, più piccoli, più vici- ni alle realtà locali, alle risorse dei territori; alle comunità. Inoltre l’istituzione delle microcittà contribuirebbe in modo determinante al riequi- librio strutturale del conflitto centro-periferia favorendo, anche a livello metropolitano, la re- alizzazione di una costruzione urbana a rete, che moltiplica i centri, riducendo marginalità e lontanza, come d’altronde più volte richiamato dagli stumenti di governo delle aree metropoli- tane e in particolare dal PTPG di Roma . Integrazioni territoriali e fondazione di nuovi municipi

L’individuazione delle dieci microcittà di Roma proposta da questo studio può essere assunta come base territoriale su cui fondare l’istituzio- ne di nuovi municipi. I nuovi municipi proposti da questa ricerca, disegnati sulla base della nuova organizzazione policentrica della città dovranno, nel tempo, aumentare competenze e finanziamenti e tendere a diventare delle città

municipali vere e proprie7.

I nuovi municipi, sono concepiti, innanzitutto, come strutture utili a fornire una regia alle diverse iniziative di trasformazione urbana delle microcittà. L’individuazione delle mi-

crocittà di Roma è infatti, la base territoriale indispensabile, per promuovere operazioni di rigenerazione del corpo urbano della città di

Roma, non episodiche ma strutturali, incardi- nate cioè su un’idea precisa di riorganizza- zione complessiva della città e in particolare dei materiali contemporanei, assunti non più come frammenti, come lacerti, ma riorganiz- zati in nuove unità urbane (città municipali) da promuovere nella loro potenziale unità ed autonomia. L’individuazione delle microcittà, consente di costruire il quadro di riferimento progettuale intermedio, tra Piano Regolatore e programmazione attuativa, che oggi manca, secondo un modello organizzativo che dovrà porre al centro della riflessione la questione della riconnessione spaziale e della valorizza- zione dei frammenti di città esistente, non per volontà generica di ricucitura, ma come pro- getto di nuova coesione sociale e di sviluppo territoriale di Roma e della città metropolitana. È per questa ragione che riteniamo importante l’istituzione di nuovi organismi democratici di coordinamento territoriale: le città municipali,

all’interno del corpo urbano di Roma8. Dagli

attuali quindici Municipi, ritagliati secondo uno schema radiocentrico che rispecchia una idea monocentrica di città, si passerrebbe ad un massimo di 10 città Municipali9. Si tratterebbe

di una devolution amministrativo/territoriale uti- le a chiarire i programmi e gli obiettivi di ogni singola microcittà; ad avvicinare le comunità locali alle scelte programmatorie (intensifica- zione della democrazia) e ad intensificare il controllo tecnico urbanistico sul territorio. Prima ancora di essere un programma, con obiettivi e finalità specifiche, le nuove città municipali de- vono essere concepite, infatti, come un dispo- sitivo di riappropriazione della dimensione di

comunità urbana che tende a dissolversi nella metropoli contemporanea ed anche a Roma, secondo due dimensioni ugualmente negati- ve: la chiusura volontaria in piccole comunità socialmente omogenee, le gated communities10

e la complementare creazione di ghetti poveri, socialmente marginali.

L’individuazione delle microcittà e l’istituzio- ne di appositi municipi per il loro sviluppo, devono agire come antidoto rispetto a queste tendenze, valorizzando ed incrementando il senso di appartenenza delle comunità locali al loro territorio; dissipando le paure e l’insicu- rezza generate dalla lontananza, anche fisica, delle istituzioni della città; riportando al centro i valori di appartenenza delle diverse classi

sociali, alla stessa comunità; rafforzando la coesione sociale che è alla base dell’identità urbana delle parti più significative delle nostre città; rinsaldando le connessioni sia fisiche che simboliche tra la popolazione più svantaggiata e quella più tutelata. I nuovi municipi, attivati

per dare corpo alle dieci microcittà, indivi- duate, per la prima volta, da questo studio, realizzaranno un nuovo e migliore coordina- mento delle diverse iniziative territoriali, oggi frantumate in un numero enorme di programmi attuativi, più di 360 intorno all’anulare, sulla base di specifici modelli di sviluppo urbano per ogni singola microcittà.

Verso l’innovazione delle nostre tradizioni: la costruzione e il progetto degli habitat11

I nuovi municipi dovranno indirizzare i progetti di rigenerazione urbana verso la costruzione di specifici habitat, che possano contribuire innanzitutto a rinnovare i caratteri dello spazio pubblico di ogni microcittà, rinforzando lo spirito di coesione sociale e di comunità. Questo significa che, a monte dei programmi attuativi, dovrà esserci uno strumento urbanisti- co finalizzato ad indicare i temi su cui impo- stare la rigenerazione, che potranno essere diversi a seconda delle condizioni locali, dei diversi ambienti nei quali intervengono, ma ac- comunati dall’obiettivo di garantire la massima coesione sociale oltre che fisica, dei frammenti di città in cui è esploso il corpo di Roma. Progettare un habitat significa infatti riflettere sulle condizioni di vita che vorremmo si svilup- passero in un determinato ambiente, conside- rare in una scala gerarchica di valori prima le relazioni umane e poi le strutture (edifici), pensare alla memoria condivisa e alla storia dei luoghi come a fattori determinanti per il progetto e per la qualità degli spazi, puntare alla loro differenziazione, per restituire l’infini- ta pluralità di bisogni e condizioni degli indivi- dui. In questo solco, ci sembra si possa colloca- re lo specifico apporto delle nostre microcittà: superamento della logica della separazione per parti del corpo della città, della sua cre- scita e della sua rigenerazione12. Gli habitat

che saranno proposti, saranno innanzitutto il risultato di un processo che metterà al centro le comunità e la storia materiale di questi luoghi, rinnovandola e consentendo la formazione di

veri e propri organismi urbani. L’individuazio- ne delle microcittà di Roma favorirà, come più volte detto, il passaggio da un modello urbano

dispersivo, quello attuale, composto da più di 360 programmi attuativi ad un modello urbano

sintetico, per città municipali (microcittà), nel quale i programmi attuativi dovranno fare rife- rimento a non più di 10 schemi quadro13.

Risorse locali e struttura metropolitana Una tale impostazione libererà una quantità enorme di risorse e di valori, già in parte riconosciuti dal territorio, che rimangono silenti perchè imbrigliati dalla mancanza di una regia e di una struttura, in grado di fare emergere le potenzialità presenti in ciascuna parte della città. È sufficiente, a questo proposito, indicare un solo fatto, marginale ma esemplificativo della condizione in cui si trova Roma, a ripro- va di quanto andiamo sostenendo, circa la dissipazione delle risorse presenti sul territorio: chiunque consulti una qualunque guida della

città eterna, rimarrà stupito dal fatto che al di fuori delle Mura Aureliane, sono segnalate, a fini turistici, soltanto l’Appia antica, Tivoli (Villa Adriana), Ostia (antica) e Preneste (santuario della Dea Venere Primigenia), come se la cul- tura della città non avesse prodotto nient’altro dopo la fine dell’impero romano e nel corso di secoli a noi più vicini: l’ottocento e il novecen- to.

In realtà la città metropolitana e la stessa me-

tropoli romana, contengono ben altre risorse che la cultura contemporanea è in grado di riconoscere, a partire dalla morfologia del suolo romano, straordinariamente ricco di varietà geologiche, spaziali, storiche, socia- li, che poche altre città al Mondo possono vantare: pensiamo al sistema delle forre14, alle

dune del litorale romano, alla valle del Tevere, ai pianori vulcanici e al sistema naturale che le tiene insieme, in una relazione complessa, alla conurbazione sociale ed urbana15; alla

rete naturale dell’acqua, costituita dal Tevere e dai suoi tredici corsi d’acqua, che impongono un loro specifico disegno al territorio abitato contemporaneo e che avrebbero potenzialità enormi di costituire una rete alternativa di spazi per collegamenti lenti tra parti di città; alle grandi aree naturali e ai grandi parchi agricoli, recentemente istituiti dal nuovo Piano

Regolatore Generale ma ancora privi di una coerente programmazione e pubblicizzazione; alla ricchissima disseminazione delle testi- monianze della storia di Roma, che esistono innumerevoli anche ben oltre le Mura Aurelia- ne e infine agli stessi insediamenti residenziali pubblici, alcuni dei quali costituiscono dei punti di riferimento della cultura architettonica italiana ed europea16.

Le microcittà potranno rimettere a regia le risor- se uniche del territorio romano, considerandole parte di un disegno complessivo di valorizza- zione e riaggregazione urbana. Risorse locali, risorse urbane e risorse metropolitane tende- ranno a coincidere, come sempre è avvenuto nella storia di Roma, ma potranno giovarsi di un nuovo coordinamento e di una nuova pro- grammazione, che stimolerà lo sviluppo delle parti attualmente più svantaggiate della città, dentro ad un quadro di rapporti più chiaro. Tenere insieme l’unità della struttura urbana di Roma, prodotto plurisecolare di trasformazioni e di storia, con lo sviluppo e la diversità delle sue parti componenti, sempre più estese e lontane dai nuclei identitari originari, è infatti la principale sfida del progetto per la realizza-

zione delle microcittà. Note

1. Vedi, tra gli altri, Sulla città futura, a cura di A. Franceschini, Listlab, 2014, in particolare gli interventi di M. Carta, A. Cle- menti, M. Ricci, R Pavia.

2. G. Caudo recentemente ha usato il termine di città-territorio, usando in modo nuovo un espressione utilizzata già negli anni settanta. Anche ad evitare incomprensioni e ambiguità io pre- ferisco parlare di territorio-città. Tra gli altri anche W. Tocci ha preso posizione in questo dibattito a favore di una lettura territoriale dei fatti urbani.

3. M.Pietrolucci, Verso la realizzazione delle microcittà di Roma, Skira, 2016

4. Noi riteniamo che le strategie di lettura che separano il pieno dal vuoto siano superate. Le piu’ innovative strategie proget- tuali degli ultimi anni sono improntate ad una idea di rete

continua che coinvolge tanto lo spazio pubblico quanto il dise-