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Maria Maddalena Simeone

Premessa

Si descrive una delle tappe di uno studio su territori degradati dell’Agro Aversano, condot- to negli ultimi cinque anni da studiosi e profes- sionisti, studenti e ricercatori anche attraverso due protocolli d’intesa tra diversi Dipartimenti e Università della Campania1.

La prima fase dello studio, corrispondente ad un primo protocollo, è stata finalizzata ad una ricerca multidisciplinare sul degrado dei pae- saggi e delle città locali e sulle vie di riabilita- zione, con il contributo dell’arte figurativa. Le principali finalità:

• La promozione di un’etica ecologica; • La sperimentazione di una relazione tra

Arte Architettura, declinabile in diversi modi;

• L’approccio multidisciplinare allo studio del territorio;

• La partecipazione delle persone alla com- prensione del proprio paesaggio, per il riconoscimento di valori identitari. La seconda fase di questo studio, strutturata anch’essa attraverso un protocollo d’intesa inti- tolato Prototipi di Bellezza, tra diverse Univer- sità ed enti per la riabilitazione di beni degra- dati e confiscati, è stata strutturata con le stesse finalità generali, ma con lo scopo di realizzare linee guida di riabilitazione dei paesaggi e interventi di riabilitazione su aree, immobili o contesti degradati o confiscati alla camorra, mediante pratiche sperimentali che prevedono il contributo di procedimenti artistici.

In questo secondo protocollo, in sintesi, si è inteso produrre ‘prototipi di bellezza’, appunto, ovvero interventi paradigmatici di un metodo e di un approccio in cui la multidisciplinarità, la partecipazione della gente e l’uso di procedi- menti artistici fossero la struttura portante.

I processi partecipati per sollecitare consapevolezza e conoscenza

Riguardo i paesaggi degradatati o scartati, l’approccio partecipato alla progettazione sembra oggi il percorso più adeguato per af- frontare le complesse e urgenti istanze che ne derivano, tra le quali la necessità di ricostruire, materialmente ed immaterialmente, il ‘senso’ comune dei luoghi su cui si interviene e con esso la ‘responsabilità’ da parte delle popola- zioni della cura e della custodia della propria architettura, delle proprie città e o dei propri paesaggi. Le esperienze di partecipazione, realizzate sia in scala architettonica sia urba- nistica o paesistica, che dagli anni settanta ad oggi hanno contribuito a costruire una tradi- zione di progetto, ci sembrano particolarmente utili oggi anche per il valore educativo e di dis- seminazione culturale che tale tipo di pratiche comporta. Affianco alla necessità di realizzare progetti partecipati in quanto meglio adeguati al ‘sentire comune’ dei futuri utenti, sembra altrettanto necessaria, infatti, la rieducazione alla ‘consapevolezza’ ed alla ‘cura’.

Il progetto partecipato si sviluppa come pratica alternativa in occidente, in un periodo, gli anni settanta, in cui l’architettura è messa in crisi da diversi fattori, primi fra i quali la consapevolezza che la vivibilità e la qualità urbana siano legate a questioni più complesse di una ingenua e totale fiducia nella tecnica, ma piuttosto alla specificità di ogni contesto e comunità. Insomma la partecipazione, sin dalle prime esperienze, ha restituito centralità alle persone e quindi alle comunità e un ruolo diverso al progettista, a cui si richiede una particolare dote di ascolto. Uno dei precursori italiani del progetto partecipato, Giancarlo De Carlo, che pone al centro della sua ricerca

sull’argomento il tema dell’identità e, quindi, il bisogno di consapevolezza critica, scrive: ‘Quando si colpisce alla radice il principio di identità si apre la strada alla formazione di sta- ti di passività generalizzata dove non c’è posto per la critica. La critica comincia infatti dalla registrazione del proprio modo di consistere nello spazio fisico e si sviluppa attraverso il confronto con i modi di consistere di altri nello stesso spazio fisico ed in altri vicini e lontani’3.

La relazione, quindi, è il fondamento neces- sario per riconoscere, divenire consapevoli e produrre scelte per riabilitare. In termini specificatamente architettonici, quando in un contesto si perde il senso dell’identità, si riduce ogni forma di comunicazione e con- fronto critico, che rappresenta la base del senso comune dello spazio. Si perde il comune riconoscimento degli spazi collettivi come beni della comunità, proiezioni di un’idea comune. Il progetto partecipato, invece, prevedendo di misurarsi con la realtà vissuta dei contesti in cui si interviene, in particolare quelli degradati o scartati, si relaziona fortemente al senso di identità collettiva, alla sua componente ‘imma- teriale’, all’idea condivisa che ogni collettività potrebbe recuperare ed alle pratiche necessa- rie per farne emergere i caratteri specifici e le aspirazioni comeuna propria idea di bellezza e felicità.

In questo studio, la messa a punto di un meto- do partecipato è stata finalizzata a innescare un processo di consapevolezza e conoscenza della realtà circostante attraverso procedimenti intuitivi affini a quelli dell’arte.

Il valore della conoscenza intuitiva: i procedimenti dell’arte

Uno dei limiti rilevabili nei processi di studio e d’intervento in paesaggi degradati è, in molti casi, l’inadeguata conoscenza della vita vissu- ta dei luoghi e delle persone. Anche quando si decide di operare secondo criteri di sosteni- bilità, spesso si procede applicando modelli di intervento desunti esclusivamente da statistiche e finalizzati a risolvere problemi funzionali o tecnici. All’individualità di ogni contesto si affida, in casi di emergenza, un ruolo margi- nale o addirittura negativo, soprattutto quando i caratteri che emergono si allontanano dai canoni più comuni e condivisi di abitabilità e

decoro. Tutti gli aspetti individuali, che conno- tano un paesaggio, sono spesso risolti e so- praffatti da processi di omologazione in nome di un’emergenza e di uno stato di necessità. Ciò che riguarda lo sguardo delle persone che abitano i luoghi, come l’idea di bellezza e, in generale le qualità immateriali, per propria natura di difficile catalogazione e razionaliz- zazione, è spesso considerato secondario o addirittura marginale. Eppure il valore imma- teriale dei luoghi o dei paesaggi rappresenta una gran parte della nostra vita e della realtà in cui viviamo, e nutre i nostri desideri. Tutto il materiale emozionale che connota la nostra esistenza e che spesso collochiamo in catego- rie di giudizio come bello-brutto, felice-infeli- ce, desunte dalla sfera affettivo-emozionale, contribuisce a definire la qualità dell’abitare e, di contro, lo stato di degrado. Le normative più recenti sul paesaggio danno nuovo valore a questo approccio immateriale. La definizione stessa di paesaggio, nell’articolo primo della Convenzione Europea del Paesaggio, è affi- data alla percezione della popolazione; l’idea comune di un paesaggio, quindi, nasce e si forma a partire da un punto di vista specifico non generalizzabile, che fa riferimento alla conoscenza di dati materiali e immateriali, relativi e contestualizzati. La caratterizzazio- ne di un paesaggio è affidata allo sguardo dei fruitori e ne consente l’identificazione. La conoscenza intuitiva in questo caso, di fatto, assume un significato fondamentale per la com- prensione. L’arte figurativa ed i processi affini sono gli strumenti da noi utilizzati per arrivare a questa forma di conoscenza più ampia della realtà vissuta3. La nostra convinzione ha una

radice teorica nell’ interpretazione ermeneutica della realtà, in particolare nelle ricerche di H. Georg Gadamer e nella sua ricerca sul valore dell’arte e del procedimento artistico4. Nei suoi

studi, che si possono ricollegare al filone di ricerca esistenzialista europeo del novecento, si intende il procedimento artistico come stru- mento di “svelamento della verità” del reale. Questa affermazione ha per noi un doppio valore. Da una parte si sottolinea una distanza dall’idea che la conoscenza della realtà proce- da esclusivamente con metodologie razionali, affini al metodo scientifico del vero e falso, che appare particolarmente diffusa nelle metodo- logie progettuali architettoniche. Dall’altra si

evidenzia che i fenomeni artistici, sia nella produzione che nella fruizione, procedono al di fuori di campi organizzati con metodo scientifico; anzi, l’esperienza estetica è l’em- blema di ciò che non è metodico. Per questo essa è indispensabile per completare la nostra conoscenza del mondo, che è insieme raziona- le ed intuitiva. Il procedimento artistico, diverso da metodologie organizzate come quelle della scienza, è uno strumento di verifica del reale più vero delle scienze. L’arte, e quindi l’espe- rienza estetica che deriva dalla sua fruizione, oltre che dalla produzione, è uno strumento di conoscenza del vero che non deve rispondere a principi generali o a leggi entro le quali postulare le domande, come per il metodo delle scienze, ma confrontarsi con fatti speci- fici. L’esperienza artistica, in altre parole, si può assimilare all’esperienza di viaggio. Ogni volta che compiamo un’esperienza di viaggio entriamo in un mondo che ci cambia, in una visione del mondo “altra”, che ci scuote o che ci arricchisce. Nell’agro aversano, attraverso lo sguardo degli artisti, lo scopo è far emerge- re la consapevolezza dell’orizzonte culturale cui apparteniamo, da cui osserviamo, entro cui ci muoviamo, insieme al valore che attribuiamo alle cose che appartengono a questi luoghi. Lo scopo è comprendere il nostro modo di guardare il mondo.

La bellezza

Lo sguardo intuitivo è stato necessario, inoltre, per individuare l’idea della bellezza di questo paesaggio. Le domande fondamentali sull’ar- gomento sono state: cos’è oggi la bellezza e perché proporla come fondante nella ria- bilitazione di paesaggi degradati? Riguardo la prima, siamo certi di poter individuare e raccogliere nel concetto di bellezza tutti quegli aspetti qualitativi dell’esistenza, come le aspi- razioni individuali e collettive o, in generale, l’idea di pienezza cui aspiriamo. La bellezza, o il desiderio di bellezza, quando è condivisa da una comunità o quando è riconosciuta da essa, è un valore in cui si può anche individua- re il fondamento della stessa comunità o di una regione geografica, se ci riferiamo ai luoghi, di un’epoca storica se facciamo riferimento alla sfera temporale, o dell’esistenza di un singolo individuo se parliamo del sentire delle persone5. È un valore relativo e spesso insta-

bile e ciò si può comprendere se si risale al

significato che la parola “bellezza” assume nelle diverse culture del mondo, attraverso la stratificazione di senso che acquista nel tempo. La bellezza, infatti, non ha un’espressione assoluta né una struttura formale definitiva che permanga immutabilmente nel tempo e nei luoghi6. È possibile, invece, individuare singo-

lari idee di bellezza relative a specifici ambiti culturali o geografici, i cui nomi fanno risalire al senso più profondo. Da questi nomi ci si può anche ricollegare filologicamente al loro senso originario, radicato nelle diverse culture e nature specifiche. Ne deriva che alle parole che indicano la bellezza, in luoghi e culture diversi, corrispondono spesso opposte idee relative ai valori culturali o naturali specifici. Ogni nome con cui definiamo la bellezza por- ta in sé aspirazioni, potenzialità, stratificazioni di senso differenti, legate ai contesti ed alle tradizioni cui si riferisce, ai cambiamenti: “la bellezza non è mai stata qualcosa di assoluto e immutabile, ma ha assunto volti diversi …”7

La bellezza, dunque, non può che nascere dal proprio orizzonte naturale e culturale, ma è necessario entrare in relazione con il contesto reale, con il tessuto materiale e immateriale del vivere collettivo spesso lacerato, inquinato, apparentemente distrutto.

È necessario prendere coscienza del contesto vissuto e cercare vie di trasformazione; esse si perseguono prima con l’immaginazione, l’uni- co strumento di trasformazione potenziale della realtà8 che rompe preconcetti, ed è in grado,

addirittura, di sovvertire i modelli precostituiti. Come è stato usato il procedimento artistico: ‘Esperimenti di bellezza’

L’approccio conoscitivo attraverso il procedi- mento artistico ha coinvolto artisti locali, che hanno lavorato collettivamente e singolarmen- te, in collaborazione con progettisti ed agro- nomi.

Sono stati messi in campo tre tipi di approcci al degrado:

- nella prima esperienza è stato chiesto agli artisti coinvolti di produrre un’opera che fosse in relazione con il paesaggio oggetto di studio e potesse diventarne parte;

- nella seconda esperienza gli artisti hanno contribuito ad una performance collettiva, strutturata come una passeggiata ‘nomade’,

alla stregua degli approcci dei situazionisti ai paesaggi degradati;

- nella terza esperienza è stata svolta una serie di seminari destinati ad un pubblico scelto, quello di una comunità scolastica locale, in cui gli artisti, insieme ad architetti e docenti, hanno condotto i seminari. Tali esperienze, tutte finalizzate ad un approccio conoscitivo per sollecitare l’immaginario sul paesaggio locale, sono state definite ‘Esperimenti di bellezza’. Esse hanno prodotto diversi punti di vista sul territorio e messo in evidenza carat- teri e connotazioni. Infine l’esperienza con la comunità scolastica della scuola media Don Diana a Casal di Principe, ha prodotto risultati inaspettati, tali da raccogliere elementi proget- tuali originali utili per l’allestimento di un’area dedicata ai bambini, immaginata come riciclo estetico del paesaggio degradato locale.

La prima esperienza di approccio intuitivo al degrado: opere artistiche individuali

Durante questa fase gli artisti, chiamati a collaborare, hanno prodotto immagini o opere legate strettamente ai paesaggi degradati, per sottolinearne il carattere o per rileggerne un nuovo valore.

Otto artisti hanno prodotto un lavoro che in- terpretasse il proprio sguardo sul paesaggio9.

L’osservazione del degrado è stato materiale emozionale e di ricerca di senso. Lo sguardo dei fotografi, a volte lucido e agghiacciante, a volte drammaticamente malinconico, ha rappresentato la denuncia dello stato attuale. I procedimenti di rielaborazione creativa, attra- verso istallazioni, fotografie, opere pittoriche, come l’opera ‘I paesaggi interiori’ di Peppe Ferraro, o le istallazioni di Felix Policastro, o le rielaborazioni di Liberato Aliberti, hanno de- nunciato o reinterpretato creativamente il senso drammatico della realtà.

È emerso un monito contro l’abbandono dei luoghi o un desiderio di ricostruire antichi lega- mi con la terra. Dalle istallazioni disegnate da Liberato Aliberti emerge il bisogno di ri-orienta- mento nella storia e natura locale.

Dolore, stupore, senso del distacco, morte, paura, solitudine, abbandono, ma anche luce, calore, memoria, familiarità, comunan- za, riscatto, appartenenza, speranza, sono parole-concetti espressi in modo completo dallo sguardo degli artisti. Esse sono l’espressione di un primo approccio conoscitivo.

La seconda esperienza di approccio intuitivo al degrado: passeggiata nomade per le strade di Casal di Principe

I partecipanti sono architetti, artisti, studiosi, abitanti. L’esperienza è stata svolta in più in- contri ed è consistita in una serie di escursioni per le vie della città, alla maniera ‘situazioni- sta’10.

Tale pratica, messa a punto e sperimentata sin dagli anni sessanta nelle aree urbane degrada- te come approccio ludico/creativo al disagio dei paesaggi urbani contemporanei, è stata, nel corso degli ultimi anni, continuamente ag- giornata, fino alla contemporaneità, da gruppi che hanno considerato l’esperienza di Debord, il fondatore del movimento, un riferimento. Gruppi come Luther Blisset, Stalker, o artisti come P. Vassart, G. Orozco, F. Alyper hanno indagato in territori degradati o difficili con un approccio situazionista ed hanno contribuito a realizzare un’amia documentazione.

Nella esperienza di Casal di Principe la prati- ca situazionista è stata utilizzata come metodo base di approccio alla vita vissuta urbana. È stata condotta, in questo caso, da un gruppo di artisti ed architetti con lo scopo di entrare in relazione emotiva e concreta con i luoghi mar- ginali. In numerose escursioni messe a punto in periodi differenti e condizioni diversificate, è stata attraversata l’area urbana secondo un procedimento di ‘deriva’ che consiste, in linea di massima, nell’ attraversare a piedi e senza scopi pratici il territorio su cui si vuole inda- gare, affidando l’esperienza al caso ed agli incontri.

Durante le escursioni sono stati raccolti dati di diverso tipo: di tipo percettivo, relativamente ad elementi fisicamente emergenti sull’orizzon- te, di tipo emozionale, relativamente a stati d’animo; sono stati rilevati elementi sull’orien- tamento e sul disorientamento, sulle persone, sui racconti comuni, segni, tracce, frammenti utili a ricostruire una mappa territoriale della vita urbana. In questa fase sono state raccolte inoltre, attraverso le conversazioni libere con la gente, alcune visioni del paesaggio locale, poi confrontate con gli esiti di una serie di interviste strutturate su un campione catalogato di persone ed utilizzate come base conoscitiva di partenza11.

La terza esperienza di approccio intuitivo al degrado: seminario con studenti di una scuola media a Casal di Principe

È stato svolto un seminario di cinque incontri con venticinque studenti della scuola media di Casal di Principe, Don Diana, con la parte- cipazione di architetti, artisti, un fotografo, alcuni docenti interni alla istituzione scolastica. Il seminario è stato strutturato in modo tale da sollecitare, in più riprese, l’immaginario degli adolescenti sul paesaggio locale, proponendo differenti scenari a partire da una prima rap- presentazione del ‘proprio orizzonte’ da parte di ogni studente. L’esperienza ha lo scopo fondamentale di guidare alla consapevolez- za dei luoghi e degli spazi in cui si svolgono diverse attività, proprie e dei propri familiari. Si è svolta una fase preparatoria in cui sono stati descritti alcuni caratteri del paesaggio, e lo stesso significato di paesaggio, al fine di fornire strumenti minimi di informazione. È stato poi richiesto di descrivere il proprio orizzonte, in particolare quello riguardante la vita quotidiana. L’osservazione del proprio modo di abitare, attraverso procedimenti intuitivi proposti dai conduttori del laboratorio, finalizzati a mettere in gioco l’immaginario, ha permesso di produrre disegni privi di punti di vista precostituiti e di smontare e rimontare gli elementi del paesaggio disegnato, imma-

ginando di poterne ricostruire, alla fine, uno stralcio, secondo i propri desideri di bellezza. In particolare le attività sono consistite in due fasi. Nella prima fase sono stati prodotti alcuni disegni del proprio orizzonte sotto la guida degli artisti in veste di animatori culturali, e completati con didascalie e/o pensieri liberi. I disegni prodotti, in numero di quattro, hanno riguardato i seguenti temi: ‘Il proprio orizzonte reale’ ‘ la città distrutta da un evento cata- strofico’ ‘ la città ricostruita’. Infine, ad opera di gruppi di più studenti, sono stati realizzati disegni collettivi con ‘i pezzi’ dei precedenti disegni, ritagliati e poi incollati con un nuovo senso e funzione. Quindi, nelle immagini finali, alcune rappresentazioni negative dei primi disegni sono entrate a far parte di un nuovo immaginario paesaggio con un nuovo senso, questa volta positivo. Ad esempio, il disegno di finestre rotte è divenuto una nuova partitu- ra – colorata – di vetrate per nuovi edifici, un fungo atomico appartenente al paesaggio di ‘distruzione’ è stato riproposto come fontana di una piazza; oggetti simbolo di guerra e violenza, quali corna di animali feroci, sono stati trasformati in elementi di decoro di giochi per bambini. Insomma è stata riprodotta una pratica artistica molto diffusa nell’arte d’a- vanguardia della prima metà del ventesimo secolo, consistente nella trasfigurazione di

Fig. 1 - Seminario scuola media Don Diana, Casal di principe Fig. 2 - La città immaginata dai bambini

elementi del paesaggio, e trasformazione positiva, attraverso una sorta di riciclo estetico delle immagini disegnate. A conclusione del se- minario tutto il gruppo di lavoro ha incontrato l’architetto artista Riccardo Dalisi, con il quale sono state discusse e confrontate le immagini degli studenti e le opere dell’architetto sul tema del riciclo. Il lavoro, che può intendersi come analisi preliminare per una agenda strategica, è ora in una fase di messa a punto per verifica- re la possibilità di usare le immagini prodotte, frutto di rielaborazioni del paesaggio locale, come componenti di un progetto di riabilitazio- ne di un’area degradata.

Utilità dei procedimenti intuitivi e artistici L’arte ed i procedimenti artistici, negli esperi- menti condotti e qui descritti, così come nelle esperienze registrate nell’ultimo secolo nel mondo dell’arte e dell’architettura, sono stati utilizzati soprattutto come strumento conoscitivo sul degrado. Attraverso la sfera emozionale e creativa, che occupa una parte considere- vole dei processi conoscitivi, è stato possibile predisporre i fruitori a visioni non preconcette sulla realtà ed ha consentito di entrare nel lato oscuro delle cose, in opposizione ad un’idea di purezza astratta. La realtà degradata è stata considerata solo attraverso l’approccio emozio- nale con lo scopo di aprire lo sguardo anche su una parte dell’esistenza in genere censurata