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Cosa era previsto

La politica di coesione europea riconosce le città come priorità nell’ambito delle politiche di sviluppo territoriali. Traccia di tale rilevanza si rinviene nei documenti del Parlamento Euro- peo, della Commissione Europea, del Comitato delle Regioni e anche nei Regolamenti del periodo di programmazione vigente 2014-20 che puntano molto sulle città: sono questi i luoghi, infatti, in cui si gioca la maggior parte delle sfide economiche, sociali, climatiche e ambientali, tutte strettamente interconnesse. La strategia dei fondi europei 2014-20 ha fortemente incoraggiato a coniugare le misure concernenti il rinnovamento materiale urbano con misure intese a promuovere l’istruzione, lo sviluppo economico, l’inclusione sociale e la protezione ambientale. Un elemento indispensabile di tale processo è individuato nella promozione di intense collaborazioni tra cittadini, società civile, economia locale e i diversi livelli amministrativi. Numerosi obiettivi tematici sostenuti attraverso i fondi strutturali e d’investimento europei presentano priorità di investimento specifiche per le zone urbane, quali la promozione di strategie a bassa pro- duzione di anidride carbonica, il miglioramen- to dell’ambiente urbano, incluso il recupero di aree industriali dismesse e la riduzione dell’in- quinamento atmosferico. A esse si aggiunge- vano la promozione della mobilità urbana e dell’inclusione sociale attraverso il sostegno per il recupero materiale, economico e sociale di zone urbane svantaggiate (di cui all’art. 5 del regolamento concernente il FESR, fondo europeo di sviluppo regionale). Queste priorità di investimento possono essere inserite nella strategia di sviluppo urbano integrato di una determinata zona urbana (articolo 7 del rego-

lamento concernente il FESR, fondo europeo di sviluppo regionale), accompagnate da azioni sostenute attraverso il FSE (fondo sociale euro- peo) nell’ambito delle priorità di investimento da esso previste. In questo quadro, le Regioni sono state chiamate, nell’ambito dei program- mi operativi, a prevedere delle risorse specifi- che e a prevedere che l’attuazione delle stra- tegie di sviluppo urbano sostenibile implicasse anche di un processo di delega di gestione alle autorità locali. Gli Stati membri potevano, dun- que, offrire alle città l’opportunità di progettare e attuare strategie pienamente integrate, anche attraverso i programmi operativi. L’attuazio- ne di strategie di sviluppo urbano integrato poteva dunque essere potenziata grazie alla possibilità di combinare azioni finanziate attra- verso il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo e attraverso il Fondo di coesione, a livello di programma o a livello operativo. Lo sviluppo urbano sostenibile e integrato sembrava essere, dunque, un elemen- to fondamentale del quadro strategico della Politica di coesione 2014-2020. Ciò doveva comportare una serie di conseguenze pratiche nei vari livelli di governance riguardo dell’ela- borazione e dell’attuazione dei programmi. Le autorità urbane che avrebbero ricevuto fondi, in linea con quanto previsto dal regolamento concernente il FESR, dovevano elaborare stra- tegie di sviluppo urbano capaci di rispondere alle molteplici sfide che le loro città si trovano ad affrontare. Inoltre, esse dovevano avere maggiori responsabilità a riguardo dell’effet- tiva attuazione delle strategie specifiche, in quanto era necessario un grado minimo di de- lega per la gestione. La Commissione europea si impegnava su diversi punti:

• garantire una maggiore integrazione delle risorse convergenti sullo sviluppo urbano,

esercitando l’attività di controllo su questo aspetto nel corso della valutazione dei Programmi operativi;

• promuovere innovazione attraverso alcune iniziative;

• potenziare le capacità e lo scambio di esperienze attraverso la Rete di sviluppo urbano e il programma URBACT III, poten- ziato dal punto di vista finanziario. In questo quadro, le città metropolitane do- vevano valorizzare le attività economiche, tecnologiche, culturali e sociali che si trovano nel loro territorio, divenendo elemento di connessione tra dimensione statale e dimen- sione locale. Ci si aspettava, dunque, che le regioni adottassero una strategia territoriale e, possibilmente integrata, nell’utilizzo dei fondi, come auspicato nell’Accordo di partenariato nazionale italiano (cioè il documento pro- grammatico nazionale per l’utilizzo dei fondi europei 2014-20). Le politiche di coesione, così, dovevano rafforzare le politiche nazio- nali, in direzione del rafforzamento del ruolo delle istituzioni di governo urbano. Non dove- vano, in altri termini, essere l’unico contesto di policy che interviene sullo sviluppo urbano, ma accompagnare e coordinarsi con le politiche ordinarie. In Italia, però, la legge di riforma costituzionale e amministrativa (legge 7 aprile 2014 n. 56 “Disposizioni sulle Città metro- politane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di comuni”), pur riconoscendo il ruolo di tali soggetti, non ha accompagnato tale processo di riforma con adeguate risorse finanziarie in modo da garantire che le politiche di coesione potessero porsi realmente come aggiuntive e non sostitutive dei trasferimenti nazionali ordinari. Il quadro delle politiche di coesio- ne, è stato caricato perciò, di un significato notevole e ha difficoltà nel portare a termine i processi di sviluppo prefigurati nell’ambito della strategia di sviluppo territoriale urbana. L’Agenda urbana europea poteva declinarsi su due tipologie di territori:

• le 10 città metropolitane individuate con legge nazionale (tra cui Napoli) e le 4 in- dividuate dalle Regioni a statuto speciale. Su queste era prevista anche l’azione del PON METRO, precisando però che questo programma doveva agire in via non sosti- tutiva dell’azione regionale ma aggiuntiva; • le città medie e i poli urbani regionali su

cui intervengono i Programmi operativi regionali.

Lo strumento più adatto poteva essere la delega alle città in qualità di organismo intermedio, delega della quale la città di Napoli aveva già beneficiato nell’ambito dei 19 Programmi Integrati Urbani (PIU) finanziati nella programmazione in corso 2007-2013. Occorreva però potenziare alcune strutture tecniche di gestione dei fondi per evitare le problematiche connesse alla carenza di capa- cità istituzionale, come ad esempio un Tavolo tra Comune di Napoli, in qualità di responsa- bile dell’attuazione dell’Area metropolitana, e Regione Campania, insieme ad altri interventi per gestire efficacemente i processi.

Cosa è accaduto

Il processo di realizzazione dell’Area metropo- litana di Napoli si è iscritto in questo proces- so. In Campania, la nuova programmazione FESR 2014-20 prevede un asse dedicato allo sviluppo urbano sostenibile (asse 10) con una dotazione finanziaria di 214.522.701 euro. L’asse ha un carattere pluritematico, rispecchiando le indicazioni dell’Accordo di Partenariato, e di per sé si configura secondo l’integrazione degli OT richiamati (OT 3, 4, 6, 9) e si basa su 4 driver (contrasto alla povertà ed al disagio, valorizzazione dell’identità cul- turale e turistica delle città, miglioramento della sicurezza urbana, accessibilità dei servizi per i cittadini) che rispondono all’obiettivo generale del miglioramento della qualità, e rappresenta il frame entro cui le 19 città devono costruire la loro strategia in coerenza con l’asse e con i fabbisogni rilevati. I destinatari della strategia sviluppo urbano sostenibile riguardano le 19 città con popolazione superiore ai 50.000 abitanti1, beneficiarie nella precedente pro-

grammazione 2007-2013 dei fondi FESR per l’attuazione dei PIU Europa (Programmi Inte- grati Urbani). Il capoluogo di regione, però, risulta escluso dalla strategia dello sviluppo urbano sostenibile in quanto beneficiario delle azioni previste dal PON Città metropolitane (Metro) 2014-20.Per quanto riguarda la go- vernance relativa all’attività di coordinamento e supporto delle azioni dell’asse, si prevede la costituzione di un ufficio regionale dedicato allo sviluppo urbano sostenibile con l’assisten-

za tecnica.Si è pensato inoltre di garantire la complementarietà delle azioni per le 12 città che fanno parte dell’area metropolitana di Na- poli con il PON Metro che interessa la città di Napoli. Da poco la Regione ha dato il via al finanziamento di interventi di Assistenza tema- tica agli Organismi intermedi e Città di Napoli per l’importo complessivo di 11.000.000 a valere sulle risorse dell’Asse Assistenza Tecnica POR FESR 2014/2020 l’intervento; tali risorse (cfr. DD DIP 50-03 del 7.7.2017) serviranno per avviare la pianificazione degli interventi di assistenza tecnica tematica a supporto dell’attuazione del POR FESR da parte degli organismi intermedi e della Città di Napoli, stabilendo le modalità di erogazione sia delle anticipazioni – per la preparazione di un Programma Integrato Città Sostenibile (PICS) – che delle successive tranches a seguito della pianificazione degli interventi veri e propri. L’area metropolitana di Napoli, dunque, non è prevista nell’azione regionale relativa allo sviluppo urbano bensì sono presenti molti dei comuni che la costituiscono in veste singola. Essa beneficia attualmente di un pacchetto di interventi di una certa rilevanza finanziaria, ereditati in parte dalla programmazione pre- cedente. Nelle suddette Linee guida regionali, infatti, viene richiamato come “… il POR FESR 2014/2020 prevede quale linea di intervento anche lo sviluppo urbano per il Comune di Na- poli che è perseguito prevalentemente attraver- so il completamento dei Grandi Progetti (Sito Unesco Mostra d’Oltremare, Linea 1 e Metro nord est e Porto di Napoli), la cui realizzazio- ne insiste sul territorio cittadino e risponde ad un disegno complessivo teso ad affrontare le problematiche strutturali (trasporti sostenibili, riqualificazione ambientale delle aree dismes- se e potenziamento del ruolo attrattivo del Capoluogo) attraverso la massima concentra- zione degli investimenti”. È evidente come, in una situazione di non facile dialogo politico e interistituzionale tra i due enti, il Comune di Napoli dispone di pacchetti di risorse ma non viene riconosciuto come soggetto rilevante nel processo di programmazione metropolitano: il PON Metro interviene sulla sola città di Napo- li, le risorse ordinarie scarseggiano e le risorse regionali si concentrano sui singoli comuni che costituiscono l’area, oppure vanno ad alimen- tare vecchie progettazioni ereditate dal passa-

to, per le quali è difficile pensare di disegnare ex post una strategia di sviluppo credibile. La Regione stanzia risorse per la pianificazione di attività di assistenza tecnica e rafforzamento amministrativo dialogando autonomamente con molti dei Comuni dell’area metropolitana, lasciando alla città di Napoli il completamento di grandi interventi infrastrutturali mai com- pletati e, con molta probabilità, difficilmente realizzabili. Se si esamina, infatti, il Patto per la città metropolitana di Napoli, questo ha un valore complessivo di 630 milioni di euro e si compone di 189 milioni di risorse prece- dentemente assegnate, 133 milioni di risorse comunitarie e 308 milioni di FSC 2014-20. Le possibili evoluzioni

Il dibattito su come valorizzare le aree me- tropolitane si sta facendo più fitto anche a livello europeo. La riforma delle politiche di coesione è uno dei temi rilevanti che già viene evocato in maniera significativa nel corso della programmazione attuale. Alcuni vedono le regioni come un livello istituzionale non sempre adeguato a sostenere una strategia di sviluppo, perché anziché prevedere dei quadri programmatici super partes, in un’ottica unitaria e possibilmente sovraregionale, dando spazio e attenzione al ruolo di traino delle città metropolitane, sembrano invischiate in proces- si molto lontani dalla tutela e valorizzazione dell’interesse pubblico, agendo da freno rispet- to alle istituzioni comunali quando non allinea- te politicamente. Per questo motivo Barca (cfr. anche Barca F., 2009) suggerisce una riforma delle politiche di coesione che punti a dare più potere ai comuni, dato che “le politiche di coesione non servono a fare investimenti” ma a portare “sviluppo e cambiare le istituzioni sul territorio” come ha affermato al recente 7° Forum europeo per la coesione. Il negoziato sul Quadro Finanziario Pluriennale 2021+ è caratterizzato da una certa complessità. Da un lato cresce l’euroscetticismo (stessa dinamica che ha condotto alla Brexit), dall’altro cresce la diffidenza sulle politiche di coesione; il populi- smo crescente si accompagna spesso allo stile di governo del “fare a meno del pubblico” e rinunciare alla gestione delle sue risorse, che non hanno saputo trasformare effettivamente i contesti nei quali sono state utilizzate. Il proces-

so di integrazione europea con i nuovi paesi entranti e le dinamiche di crisi dei paesi esi- stenti è, inoltre, molto critico. Nel Libro Bianco sul futuro dell’Europa si sottolinea come molti cittadini europei considerino l’Unione distante dalle loro vite e dal dare valore aggiunto al loro contesto. Il ripensamento delle politiche di coesione passa attraverso quanto appreso dalle passate programmazioni; a dispetto di alcuni orientamenti locali, che considerano fondamentale l’assistenza tecnica a svantaggio della valutazione, l’importanza e il peso delle valutazioni condotte è andato via via aumen- tando. Proprio da alcune analisi condotte è emerso chiaramente come il divario territoriale non si è ridotto in questi anni, ma è addirit- tura aumentato. L’Unione Europea ha subìto, poi, in questi anni, dinamiche abbastanza complesse: il fenomeno Brexit testimonia la sfiducia nelle istituzioni europee di gruppi di popolazione evidentemente scontenti, anche a fronte dei Paesi nuovi entranti che, talvolta, si sono mostrati anche più efficaci nella spesa, sia in termini quantiativi che qualitativi, rispetto a regioni che ormai erano e sono considera- te perennemente in via di sviluppo. Eppure le sfide che le politiche europee si pongono rappresentano un elemento trainante delle politiche nazionali, regionali e locali verso temi che altrimenti risulterebbero forse trascurati; la sfida al cambiamento climatico, la sicurezza ed efficienza energetica, l’agenda digitale applicata al miglioramenti dei servizi essen- ziali per i cittadini (istruzione, salute, trasporti, pubblica amminstrazione etc.) e, come tema più recente, quello dell’integrazione di migranti e rifugiati. Sarebbe opportuno, che le regioni guidassero il rafforzamento amministrativo delle aree metropolitane, e non dei singoli co- muni, essendo attente a costruire un quadro di sviluppo programmatico metropolitano, senza il quale non è possibile, è bene sottolinearlo, alcuno sviluppo regionale. Negli Stati Uniti le città e le aree metropolitane sono da tempo considerate i luoghi della crescita economica e dell’integrazione sociale; Chicago offre un sistema formativo che valorizza le risorse umane, Miami e Jacksonville adottano strategie di modernizzazione dei loro hub commerciali cielo-terra-mare, Los Angeles e Denver puntano su sistemi di trasporto efficienti per le imprese e i cittadini come volano di sviluppo, e così via

(cfr. Meldolesi L., 2015). Le aree metropolitane americane hanno intrapreso cinquant’anni fa un dialogo con il governo federale per finan- ziare infrastrutture, trasporti, edilizia, innova- zioni e capitale umano; oggi esse possono dia- logare alla pari con il governo perché hanno mostrato che le loro strategie di investimento sorreggono e suscitano, a loro volta, investi- menti privati e crescita. Una visione moderna del federalismo democratico punta proprio al dialogo alla pari tra livelli di governo diversi: non è possibile che il governo italiano affian- chi le aree metropolitane aiutandole nelle loro politiche di investimento? Solo in un contesto in cui siano assegnate alle Città Metropolita- ne risorse e poteri di governo e di gestione delle medesime, che consentano l’effettiva attuazione delle strategie, è possibile fare un vero salto da Città metropolitane con funzioni di indirizzo a enti con capacità di intervento effettivo. Quale sarebbe, in questo quadro, il ruolo delle regioni? È fondamentale che le regioni rinuncino a una fetta del loro potere e che si concentrino sullo sviluppo delle macro regioni, facilitando l’integrazione tra Stato e Città Metropolitane, magari attraverso l’istitu- zione di un Tavolo ad hoc (cfr. Moccia, F.D., De Luca, G., 2017). Recentemente le nostra 14 città metropolitane si sono incontrate a Milano per poter discutere del riparto di una finestra di finanziamento nazionale pari a 12 milioni di euro; sembrerebbe che tale finanziamento sia stato interamente devoluto dal tavolo, su implu- so dei principali sindaci del Sud, al sindaco di Milano per risanare il suo bilancio (cfr. Napoli A., 2017). Una recente ricerca mette in eviden- za come le difficoltà persistenti delle politiche di coesione in Italia dipendono da un fattore principale: la capacità amministrativa regio- nale (cfr. Terracciano, B., Graziano, Paolo R., 2016). Tale studio è stato condotto con un focus su due regioni specifiche: la Campania e la Puglia. La capacità amministrativa è stata misurata tenendo in considerazione quattro fattori fondamentali: la programmazione, il ma- nagement, il monitoraggio, la valutazione. Per ciascuno di questi fattori sono stati esaminati alcuni sotto-fattori.

Programmazione. Gli autori sono partiti dal presupposto che la qualità della programma- zione influenza l’azione amministrativa. I fatto- ri di una corretta programmazione sono tre:

• l’utilizzo di una swot analisys che tenga conto dei fabbisogni espressi dal territorio e dei budget disponibili e il coinvolgimento dei principali stake holder socio-sconomici ed istituzionali nel processo di programma- zione;

• documenti di programmazione non vaghi e indeterminati ma che presentano obiettivi chiari e più “stabili” possibile per evitare cambiamenti programmatici frequenti e non motivati. È importante inoltre che i do- cumenti programmatici contengano target, indicatori e interventi coerenti. Molte ripro- grammazioni, infatti, richiedono tempi di verifica e un’attività amministrativa aggiun- tiva e non trovano la loro giustificazione in fabbisogni specifici individuati;

• approvazione tempestiva dei programmi rispetto all’inizio del negoziato. Dato il pesante accavallarsi della chiusura delle programmazioni e dell’inizio delle nuove, a cui assistiamo oramai da un paio di cicli, si suggerisce di avere sin da subito una visione chiara avendo, possibilmente, già in mente di cosa fare dei residui delle programmazioni pregresse.

Management. La qualità del management di un

programma è stata misurata da tre sotto-fattori: • la chiarezza nella definizione dei ruoli

tra uffici, le autorità e il personale. Molto spesso ruoli e personale sono il frutto di scelte che non rispondono all’efficienza amministrativa;

• il coordinamento e la cooperazione tra diversi uffici. Conflitti tra uffici o scarso coordinamento minano la capacità ammi- nistrativa;

• un corretto mix di risorse interne ed esterne alle amministrazioni. Molto spesso sono state rilevate modeste conoscenze degli interni, anche in posizione di vertice, del funzionamento dei Fondi Strutturali; in questo caso l’assistenza tecnica è richiesta in maniera pressante, ma viene utilizzata con funzioni sostitutive del managament interno nel processo decisionale, non di supporto (così dovrebbe essere).

Monitoraggio. Il monitoraggio è stato analizza- to esaminando i seguenti sotto-fattori:

• l’introduzione di un sistema di indicatori e di monitoraggio delle procedure coerente con gli standard nazionali ed europei e

asseverato dai valutatori. Molto spesso i sistemi di monitoraggio non sono coerenti con gli strandard nazionali o europei, o i valutatori ritengono che, anche se il sistema è teoricamente soddisfacente, non è ben sviluppata la procedura di raccolta dei dati;

• la disponibilità di dati finanziari, fisici e procedurali. Molto spesso i sistemi di moni- toraggio consentono di disporre solamente di dati finanziari, più raramente degli indi- catori fisici e procedurali. I dati sono rara- mente disponibili se non in concomitanza di scadenze europee. I valutatori spesso devono redigere relazioni su dati provvi- sori, che vengono validati quando i report sono già stati impostati e commentati; • l’uso corretto di tali dati per le finalità del

management. Il management non sempre usa i dati correttamente, per finalità di miglioramento dell’azione amministrativa, bensì ritiene che il sistema di monitoraggio serva unicamente a dimostrare i target finanziari di spesa al referente europeo e quindi sia un adempimento più che un’op- portunità.

Valutazione. È interessante come la l’utilizzo della valutazione sia stato considerato, a giusto titolo, come un fattore fondamentale per misurare la capacità amministrativa. D’altra parte la letteratura (cfr. Stame N., 2016) ha riconosciuto da tempo che una delle funzioni ri- levanti della valutazione è quella dell’apprendi- mento delle amministrazioni; valutare vuol dire produrre conoscenza utile per il miglioramento dell’azione amministrativa, consentendo di innescare processi di cambiamento. Nel caso specifico dell’analisi della capacità ammini- strativa, sono stati considerati due aspetti della valutazione:

• l’effettuazione di valutazioni ex ante, in itinere ed ex post, cioè di valutazioni che accompagnino tutto l’arco della program- mazione. Molto spesso vengono condotte soltanto le valutazioni obbligatorie da regolamento comunitario, in particolare le ex ante, e talvolta neanche bene quelle. Ritengo, inoltre, che occorra presidiare nell’ambito dell’attuazione, il processo di selezione dei progetti, che rappresentano l’unità minima in cui, alle fine si traducono importanti programmi, garantendo che sia

affidato a professionalità elevate e super

partes;

• il ruolo istituzionale dei Nuclei di valuta- zione. Un ruolo rilevante dei Nuclei e la loro partecipazione alle attività relative al programma viene considerato un fattore in grado di influenzare la qualità della capacità amministrativa regionale. Per esperienza personale ultraventennale pos- so affermare, in linea con la letteratura esi- stente, che un’amministrazione che vuole