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La dimensione istituzionale dello sviluppo locale

Lo sviluppo locale è la capacità dei soggetti istituzionali di cooperare per avviare e condur- re percorsi di sviluppo condivisi che mobilitano risorse e competenze locali, in modo da “usare

le risorse esterne per valorizzare quelle interne: attrarre investimenti, imprese, risorse scientifi- che o culturali” per arricchire le competenze e le specializzazioni locali (Trigilia, 2005) in ma- niera durevole, andando oltre un mero dinami- smo, quantificabile in una crescita economica a tempo determinato, misurabile in termini di PIL e aumento dell’occupazione. Uno sviluppo locale all’altezza della attuale competizione tra territori non può prescindere dall’adozio- ne di adeguati modelli di governance. Sono infatti le strutture istituzionali che determinano l’attuazione delle politiche e la loro efficacia. Tuttavia l’importanza delle reti istituzionali per la valorizzazione dei territori è ancora oggi sottovalutata. L’esempio palmare è la rappre- sentazione più conosciuta della sostenibilità, che comprende le sole dimensioni sociale, economica ed ambientale, che intersecandosi in un grafico di Venn, individua altre tre cate- gorie: vivibile, equo e realizzabile. Al centro, come risultante, la sostenibilità. In una visione strategica, invece, proiettata all’implementazio- ne delle politiche pubbliche, è imprescindibile menzionare la dimensione istituzionale, come nel prisma (Spangenberg e Bonniot, 1998), che presenta ai vertici le quattro variabili e agli spigoli le loro sei interconnessioni (fig. 1). In questa rappresentazione il vertice istituzionale vede la specificazione rafforzare la parteci- pazione – e da esso si dipartono i segmenti cura, giustizia e democrazia, che lo uniscono rispettivamente al vertice ambientale, a quello

economico e a quello sociale. Le tre tradizio- nali dimensioni della sostenibilità: sostenibilità economica (la capacità di generare, in modo duraturo, reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione); sostenibilità sociale (la capacità di garantire condizioni di benesse- re – sicurezza, salute, istruzione divertimento, serenità, socialità – distribuito equamente tra strati sociali, età e generi); sostenibilità am- bientale (la capacità di mantenere nel tempo qualità e riproducibilità delle risorse naturali) sono state così integrate dalla sostenibilità istituzionale, come capacità di prendersi cura responsabilmente delle persone e dell’ambiente amministrati. La dimensione istituzionale assi- cura l’integrazione delle altre tre dimensioni fondamentali tra loro, così come l’organicità delle loro interconnessioni e interdipendenze, e garantisce la coerenza delle decisioni. Il com- pito è però arduo, visto anche il coacervo di norme e strumenti per il governo del territorio, che vedono il sovrapporsi di competenze da parte di molteplici soggetti istituzionali, riuniti in reti di relazioni complesse e a volte inestrica- bili. Oltre alla inadeguatezza delle reti istitu- zionali, schiacciate dal peso della loro stessa complessità, esistono innegabilmente anche resistenze individuali politiche – legate al man- tenimento di ruoli e poteri e tecniche – dovute alla ancora scarsa diffusione della cultura della

Fig. 1 - Prisma della sostenibilità, fonte: SERI, 2002

sostenibilità; tuttavia la maggiore difficoltà nel- la governance è di tipo cognitivo (Meadows et. Al, 1972), la capacità cioè di comprensione e adattamento alle innovazioni. È noto infatti che ogni processo di governance tende a produrre delle prassi supportate da norme certe e valori che nel tempo si istituzionalizzano, sviluppan- do dipendenze di percorso e rendendo difficile lo svincolarsi dalle routine, le pratiche afferma- te, che sono in grado di sopravvivere anche a numerosi ricambi di personale (Cyert e March, 1963). È per questo che i pianificatori e le amministrazioni locali, mentre affrontano la sfida creativa nell’immaginare scenari futuri, si trovano a sostenere una sfida altrettanto impor- tante proprio nel campo della governance. Allo stato attuale, più che stabilire se le conoscenze teoriche e tecniche per realizzare lo sviluppo di un territorio siano adeguate, appare priori- tario chiedersi se l’approccio alla conoscenza sia appropriato.

Il modello di apprendimento lineare

Nonostante il fatto che nella letteratura riguar- dante le organizzazioni private il modello di apprendimento lineare sia ritenuto superato da più di venti anni, esso continua ad essere dominante per pensare all’apprendimento nella pubblica amministrazione (Owens et al., 2006). Questo modello – radicato nel moder- nismo e assimilato dal mondo della politica – è tuttora quello più usato nella formulazione e nell’implementazione delle politiche pubbliche (Rydin, 2010), anche a livello europeo. In questo modello l’apprendimento si verifica solo attraverso evidenze passate e funziona con un ciclo di retroazioni: prese le decisioni, si svolgono le attività conseguenti, poi si raccol- gono informazioni su risultati che andranno ad alimentare di nuovo il processo decisionale, i cui risultati possono essere ancora modificati per avvicinarsi sempre di più agli obiettivi e agli scopi del processo. Se la forma di ap- prendimento lineare rappresenta la modalità ineludibile per effettuare le scelte alla luce della razionalità, tuttavia essa non è sufficiente ad affrontare con successo la complessità cre- scente dei problemi da affrontare, visto anche il numero rilevante degli attori in gioco nei processi amministrativi. I soggetti istituzionali deputati all’attuazione delle politiche territoria-

li, infatti, non hanno alcuna possibilità di agire singolarmente, in quanto dalla formazione fino alla implementazione e verifica delle policy, nei processi intervengono numerosi altri sog- getti delegati ad esercitare diversi compiti di supporto e controllo. Gran parte della ricerca empirica ha dimostrato come il processo poli- tico sia meno netto e ordinato rispetto a quello previsto dal modello lineare (Wibeck ed al., 2006), in quanto la definizione degli obiettivi, la formulazione di politiche e la loro attuazio- ne, che in questo modello appaiono separati, nella realtà si influenzano reciprocamente (Rydin, 2010). L’apprendimento lineare sem- plifica artificialmente il processo cognitivo in una attività solitaria e interiorizzata, piuttosto che in una attività sociale, quale invece è nella realtà, tanto più nel caso di nuove conoscenze, che per loro stessa natura non possono essere elaborate e diffuse in modo lineare, in quanto le innovazioni sono prodotte proprio attraver- so relazioni e interazioni tra persone (Rydin, 2010). Vi sono poi altre importanti osservazio- ni da fare: la prima attiene al fatto che il pro- cesso politico può utilizzare il feedback come legittimazione a posteriori delle scelte, per cui spesso sono le soluzioni a cercare i problemi piuttosto che il contrario (Shulock, 1999) e i ri- sultati sono sottoposti a travisamento strategico per giustificare a posteriori le scelte (Feldman e March, 1981); la seconda riguarda le possibili deformazioni indotte dal ricorso ai metodi clas- sici di valutazione, che spesso celano un uso simbolico della razionalità (Feldman e March, 1981) a cui ci si affida ciecamente (Shulock, 1999) o ingenuamente (Davoudi, 2006) op- pure si limitano a rendicontazioni che enume- rano i destinatari, descrivendo i programmi e i risultati (Chen e Rossi, 1989), senza apportare alcuna utilità al processo; non ultimo, in questo modello di apprendimento i dati possono essere raccolti più per esercitare una azione di controllo che per essere integrati in un proces- so decisionale (Mark e Henry, 2004). Il contributo delle reti

Gli strumenti finanziari e normativi possono risultare insufficienti al raggiungimento degli scopi delle politiche di sviluppo nell’attuale contesto se non sono supportati da adeguate forme di apprendimento. Il modello di appren-

dimento a rete risulta quello più adatto alla complessità perché, piuttosto che avvalersi di singole risposte alla retroazione, è dialogico e comunicativo, basa cioè la sua riuscita sul riconoscimento reciproco dei soggetti respon- sabili delle politiche, che si impegnano in uno scambio di informazioni e conoscenze, consen- tendo l’apprendimento sia da parte dei singoli individui che della rete nel suo complesso. Una rete è composta da due tipi di entità: i nodi e le relazioni che li legano. Nelle reti istituzionali i nodi sono i soggetti collettivi pubblici e priva- ti, dotati di espliciti ruoli di rappresentazione di interessi e di regolazione di processi. L’ap- prendimento all’interno delle reti non si verifica attraverso il mero trasferimento cognitivo, ma tale processo, che coincide con un processo di creazione di senso – modifica all’interno gli attori: la conoscenza non è trasmessa da un competente ad un altro, ma è attivamente costruita da chi impara e anche nella fase del trasferimento dell’apprendimento permane la centralità della questione della adesione ad una motivazione, cioè della costruzione del senso – sensemaking (Weick, 1995).L’appren- dimento è perciò possibile esclusivamente se vi è desiderio di apprendere al di là delle demar- cazioni e se la rete ha la capacità di imma- gazzinare e scambiare l’apprendimento al suo interno e attraverso i suoi confini (Rydin 2010). Ciò evidenzia l’importanza di rafforzare l’aspetto qualitativo delle reti, basato non solo sulle informazioni e la loro comunicazione tra gli attori ma anche sulla motivazione, piuttosto che quello meramente quantitativo, ottenuto semplicemente aumentando le connessioni o favorendo quelle di maggiore successo (Rydin 2010). Nell’attuale quadro normativo le reti istituzionali non possono considerarsi alterna- tive alle forme burocratiche ufficiali, tranne in casi particolari, quali i tavoli di concertazione e le conferenze dei servizi, che hanno dimo- strato quanto sia vantaggiosa la collaborazio- ne per la riuscita dei processi di creazione ed implementazione delle politiche. Si dovrebbe continuare in questa direzione, superando la classica organizzazione gerarchico funzionale – che segue il principio di divisione del lavoro secondo precise assegnazioni di compiti e responsabilità, sottoposte a rigide forme di indirizzo, coordinamento e controllo – in favo- re di forme di organizzazione reticolari che,

presentando strutture più flessibili, potrebbero assicurare la necessaria permeabilità ai confini delle diverse entità coinvolte nelle decisioni istituzionali “con un effetto di riduzione delle

distanze fra le singole posizioni puntuali, attra- verso la creazione di spazi naturali di mediazio- ne” (Ruffino e Mainetti, 2012). Un altro buon motivo per preferire le forme organizzative non strutturate in modo rigido, quali ad esempio le comunità di pratiche, si basa sull’eviden- za che in condizioni di incertezza tali forme organizzative possono riuscire a rielaborare in modo creativo modelli mentali obsoleti; talvolta è proprio l’assenza di soluzioni note ad uno specifico problema che permette la sospensio- ne della routine e diventa il fattore di successo per il raggiungimento degli obiettivi, sulla base di intuizioni suggerite dalle pregresse espe- rienze di ciascun soggetto. La maggior parte dei sostenitori dell’apprendimento basato sulla rete enfatizza anche l’importanza di impara- re da non esperti e pensa che un approccio aperto sia in grado di apportare creatività alle discussioni (Glasbergen e Driessen, 2005). Gli eventuali conflitti che si dovessero ge- nerare possono trovare composizione nella stessa natura dell’esercizio di apprendimento di gruppo, che favorisce la convergenza dei pensieri e delle energie delle persone in vista di un obiettivo (Flood, 1999): in tale contesto sia la collaborazione che il conflitto possono portare all’acquisizione di nuove conoscenze, perché gli sforzi per giungere ad una visione condivisa rendono proficua la coesistenza di visioni differenti, come sanno bene i cultori della pianificazione strategica. Infine, ma non ultimo, un ulteriore elemento a favore delle reti di apprendimento è offerto dalla larga diffusione delle tecnologie di comunicazione. Queste hanno esteso la portata degli individui oltre i confini dei luoghi fisici, consentendo loro di sviluppare e mantenere facilmente legami a distanza (Castells, 1996) e permettendo la diffusione di conoscenze e competenze con una velocità precedentemente mai raggiun- ta, anche se alcune aspettative utopistiche, come l’atteso villaggio totale sostitutivo delle relazioni dirette, profetizzato all’inizio dello sviluppo delle comunicazioni tramite internet, non si è attuato (Moccia, 2008).Nonostante la diffusione dei mezzi di comunicazione per- metta di ampliare le possibilità di interazione

a distanza, però, resta fondamentale l’impor- tanza dell’interazione diretta tra le persone (Rydin, 2010): gli incontri faccia a faccia giocano un ruolo chiave nella costruzione e nel mantenimento del capitale sociale, attraverso la fiducia, il rispetto, la credibilità e l’impe- gno reciproci. Essi permettono una maggiore densità dello scambio rispetto alle interazioni a distanza e sono dunque preferibili e talvolta necessari (Boden e Molotch, 1994).

Conclusioni

In conclusione, se si può pensare agli insedia- menti umani come ad ecosistemi metabolici (Moccia, 2009) costituiti da reti interconnesse integrate in un disegno coordinato e gestito con nuove tecnologie, bisogna considerare la possibilità di un governance basate sulla medesima reticolarità, in cui la stessa relazione tra i soggetti, istituzionali e non, si trasforma in apprendimento attraverso l’impegno reci- proco, il senso di condivisione, la capacità e la volontà di trasferire tutte le informazioni, le conoscenze e le esperienze disponibili per il raggiungimento di un obiettivo comune. Come fare? Per cominciare, all’interno delle reti isti- tuzionali già esistenti, in contrapposizione alla ripetizione delle routine bisognerebbe puntare sul miglioramento dell’apprendimento, facen- done una priorità, elaborando chiare linee di indirizzo per la diffusione delle conoscenze, al loro interno e verso l’esterno, e determinando quali nodi possano agire come catalizzatori per raccogliere e distribuire i flussi di nuove informazioni. A lungo termine è invece auspi- cabile la costruzione di nuovi modelli organiz- zativi e adeguati quadri normativi, integrati e non solo supportati dalle tecnologie informati- che più recenti.

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IL CONSUMO DI SUOLO COME INDICATORE NELLA