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Irene Mortari | Giannicola Marengo

Premessa

La Legge 7 aprile 2014, n. 56 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”, in vigore da oltre tre anni, è stata presentata come il primo atto concreto per una riorganizzazione generale della geografia istituzionale italiana, da attua- re attraverso la soppressione definitiva delle province ed il rafforzamento di 10-14 aree metropolitane che, secondo una visione ormai consolidata in tutti i paesi della UE, avrebbe- ro dovuto assumere un ruolo fondamentale in termini di sviluppo del territorio e quindi trainare la ripresa e la crescita economica del Paese, contribuendo al suo riposizionamento nei confronti di realtà europee ed internaziona- li più forti.

Le difficoltà nel concretizzare sui territori tale riforma sono da subito risultate eviden- ti: cambio nelle modalità di elezione degli organi, non più diretta ma di secondo livello, nuove funzioni assegnate e funzioni “storiche” riassorbite dalle Regioni, necessità di costruire una nuova identità e ridefinire il ruolo del novo ente di area vasta, forte riduzione del persona- le, e soprattutto una sostanziale riduzione delle risorse economiche a disposizione delle nuove Città metropolitane.

In un quadro dunque già molto complesso ed incerto, la bocciatura del referendum costitu- zionale del 4 dicembre e il salvataggio delle Province (almeno sul piano formale), non ha certamente aiutato il processo di crescita delle neonate Città metropolitane, contribuendo piuttosto al loro posizionamento in una “terra di mezzo”. non più province, non solo aggre- gazioni di comuni.

La Città metropolitana di Torino è certamente tra quelle che più stanno soffrendo per tale

condizione di indeterminatezza, sia per le diffi- coltà relazionali con una Città Capoluogo (non di rado “confusa” nell’immaginario comune con l’ente metropolitano) e con la regione (nei confronti della quale il dialogo sembra essere complicato dalla poca chiarezza dell’effettivo ruolo che il legislatore ha inteso assegnare alle città metropolitane), sia per la forte carenza di risorse a disposizione.

Tale situazione è resa ancora più complessa per l’evidente peculiarità di un area frammen- tata in centinaia di piccoli e medi comuni, una parte dei quali organizzati in Unioni1, talvolta

prive al loro interno di continuità territoriale, dove la forza attrattiva e propulsiva del core ur- bano torinese si confronta con una consolidata presenza di sub polarità di livello medio, inter- medio e locale che danno origine a dinamiche complesse di interdipendenza sia con il centro, sia con i circondari più esterni (Cfr. PTC2, 2011). Ciò accade là dove con il termine “Città metropolitana” si tende generalmente ad indicare una ampia area urbanizzata e densa- mente popolata, costituita da un unico centro – la città principale – e da una serie di aggregati urbani con esso relazionati in maniera intensa, permanente e complementare.

Emblematico è il fatto che, se per un verso la Legge 56/14 ha voluto riconoscere talune aree urbanizzate come poli metropolitani di rilievo nazionale e contemporaneamente sostiene forme di unione e fusione per le realtà minori, nello stesso momento la Città metropolitana di Torino, già in testa alla classifica italiana per numero di Comuni, vede invece incrementare le proprie municipalità fino ad arrivare agli odierni 316 Comuni2.

Non da ultimo, la stessa scelta di far coinci- dere in un’unica figura il Sindaco della Città Capoluogo2 e il Sindaco della Città metropoli-

tana non può che essere di ardua applicazione in una realtà come quella torinese dove il 74% dei Comuni si colloca in territorio montano o collinare, con caratteristiche ed esigenze evidentemente diverse da quelle delle zone urbanizzate di pianura (il 44% dei comuni registra meno di 5.000 abitanti).

La sfida delle Zone omogenee

Fin dal primo momento la Città metropolitana di Torino ha preso atto e ha scelto di confron- tarsi in modo propositivo con le peculiarità che la rendono unica nel contesto nazionale, e per molti aspetti anche in quello internazionale; con un territorio di 6.830 kmq (pari a più di un quarto del territorio piemontese e al 2,26% dell’intero territorio nazionale) si colloca al 1° posto per estensione tra le CM italiane, oltre ad essere l’unica area metropolitana di confine con uno Stato estero (36% dell’intero confine italo-francese).

Per numero di abitanti (2.302.353 - censimen- to 2011), la CM di Torino segue Roma, Milano e Napoli, distaccandosi dal resto delle città metropolitane italiane (che si collocano tutte sotto la soglia di 1.500.000).

La CMTo è dunque la prima “esclusa” dal gruppo delle aree vaste con più di 3 milioni di abitanti: condizione fissata dalla Legge “Del- rio” per la definizione di un maggior numero di Consiglieri e soprattutto per accedere alla possibilità di un’elezione diretta del sindaco e del consiglio, a valle della costituzione delle zone omogenee e della ripartizione del terri- torio del comune capoluogo in zone dotate di autonomia amministrativa (art. 1, comma 22). Lo Statuto della Città metropolitana di Torino4,

approvato nell’Aprile 2015 dopo una intensa fase di coinvolgimento ed ascolto dei comuni, degli stakeholder e dei cittadini (“Operazione Statuto aperto”), ha voluto cogliere e valorizza- re le specificità dell’territorio introducendo fin da subito una nuova forma di organizzazione All’articolo 27 sono definite ed istituite le Zone omogenee quale strumento per un’efficace partecipazione e condivisione dei comuni al governo della Città metropolitana, nonché quale articolazione operativa della Confe- renza metropolitana. Lo Statuto (e successivo regolamento) disciplinano il funzionamento delle Zone, rette da Assemblee dei Sindaci

dei comuni e coordinate tra loro e con la CM attraverso un’Assemblea dei Portavoce. Si tratta di un modello organizzativo che è stato riconosciuto come un’ottima opportunità per coordinare e governare un territorio estre- mamente eterogeneo ed amministrativamente polverizzato, e per supportare un reale tentati- vo di superamento della storica dicotomia tra aree urbanizzate di pianura (ambito ristretto metropolitano) ed aree di montagna tendenti alla marginalizzazione e al sempre maggiore isolamento.

Le Zone omogenee, intese come strumento per garantire un maggiore grado di dialogo, con- fronto e coesione territoriale, sono la base per la costruzione di un sistema di relazioni diffu- se, ma al tempo stesso interconnesse e solide, in grado di rafforzare la capacità della Città metropolitana di Torino nel suo complesso nel competere sul piano nazionale ed internazio- nale con le altre realtà di rango metropolitano. In prospettiva futura, esse intendono prefigu- rare una configurazione organizzativa per at- tività e servizi decentrabili della CMTo, anche nella forma di ambiti ottimali, e per l’esercizio in forma associata di servizi comunali di fun- zioni delegate di competenza metropolitana. Il processo di definizione delle Zone omogenee ha impegnato la struttura tecnica della CMTo, due Commissioni consiliari appositamente individuate (una per la definizione delle zone ed una per la predisposizione dello Statuto metropolitano), l’intero Consiglio metropolitano ed il Sindaco, oltre che gli amministratori dei 315 comuni, fino ad arrivare ad una configu- razione condivisa in 11 Zone caratterizzate da contiguità territoriale e da una popolazione non inferiore a 80.000 abitanti.

La scelta, spesso criticata, di individuare Torino come singola zona omogenea5, è stata oggetto

di una intensa discussione sia sul piano tec- nico, sia politico, nei sei mesi di lavoro degli uffici e delle Commissioni metropolitane, e si fonda sostanzialmente su due considerazioni: la volontà di ricercare un bilanciamento del “peso” del Capoluogo rispetto al resto del terri- torio, in particolare quello montano; la costru- zione di una premessa utile a dettare le basi per l’addivenire all’attuazione del comma 22 della Legge 56/14 (elezione del Sindaco e del Consiglio metropolitano a suffragio universale). Il processo che ha condotto alla perimetra-

zione delle Zone omogenee, risultato di un confronto collaborativo con le amministrazioni locali, si inserisce in una più generale riflessio- ne sull’opportunità di un ridisegno “top down” della geografia istituzionale, e si pone come sperimentazione per il rafforzamento delle reti di relazioni e di cooperazione di livello inter- comunale, là dove la resistenza a forme più “hard” di semplificazione (fusioni di comuni), si mantiene decisamente alta6.

Il Piano strategico metropolitano

La Città metropolitana di Torino ha avviato già nel novembre 2015, con l’approvazione di una deliberazione di indirizzi, la forma- zione del proprio Piano strategico di sviluppo metropolitano da applicare al proprio territorio nella sua interezza, con l’obiettivo di lavorare in maniera sempre più incisiva per il supera- mento della dicotomia pianura-montagna e per il rafforzamento delle sinergie tra aree spesso anche molto differenti, così da trasformare in un’opportunità quella che da subito è parsa come una “anomalia” rispetto al panorama delle altre CM, la dove la differenza ed etero- geneità può e deve diventare elemento identita- rio distintivo e punto di forza e di competitività. Una delle prime criticità che la CMTo ha do- vuto affrontare è stata quella di comprendere cosa la Legge intendesse con “Piano strategico triennale, da aggiornare annualmente”.

Fin da subito è parso evidente che lo strumento pensato per le città metropolitane italiane non potesse rispondere, se non marginalmente, all’idea (e agli strumenti) di pianificazione strategica sviluppata fino a quel momento da molte realtà metropolitane, prima fra tutte dalla Città di Torino7.

Non volendo qui entrare nel merito del per- corso fatto dalla CMTo, anche attraverso un approfondito confronto con le altre CM8, è

necessario premettere che il Piano strategico metropolitano di Torino, benché sia il risultato di un lungo percorso di ascolto e condivisione con tutti i soggetti portatori di interessi (Ammi- nistratori, mondo economico ed accademico, associazioni, cittadini, tecnici e ricercatori...), non ha inteso focalizzarsi sul “processo” di costruzione di visioni di trasformazioni di lungo periodo (approccio difficilmente praticabile visto l’orizzonte temporale assegnato), quanto

piuttosto sulla ricognizione delle criticità del territorio, sulla individuazione delle sue poten- zialità, sulla definizione di obiettivi e strategie a medio termine, e sulla selezioni di azioni e progetti avviabili nel breve periodo.

Il Piano strategico metropolitano di Torino definisce dunque un quadro di strategie rivolte all’intera CM, all’interno del quale le singole Zone omogenee potranno inserire quanto a loro necessario per supportare le proprie vocazioni strategiche in una visione di svi- luppo metropolitano coerente ed unitario. La prima bozza di proposta di Piano strategico fu presentata pubblicamente nell’aprile 2016, a poche settimane dalle elezioni amministrati- ve. A seguito del cambio di Amministrazione, dopo una fase di assestamento istituzionale, i lavori sono ripresi all’inizio del 2017.

Il nuovo documento, rivisto e aggiornato, costituisce la proposta sulla base della quale la Città metropolitana ha avviato nel giugno 2017 una nuova fase di confronto con tutti i soggetti che vivono e operano sul territorio, e che sono coinvolti a vario titolo nella costruzio- ne ed implementazione del futuro della CMTo, comprese le Zone omogenee dove il Piano sarà presentato nei prossimi mesi. Il PSMTo propone un’idea di “Città metropolitana della qualità”: il raggiungimento di tale obiettivo generale è da attuarsi attraverso una ventina di strategie declinate in azioni e progetti (circa 50) strettamente relazionati con le funzioni dell’Ente e con le sue concrete possibilità di azione, e si articola in cinque piattaforme progettuali: una Città metropolitana capace,

attraverso una nuova governance integrata; una CM sinergica e coesa per il superamen- to della dualità pianura/montagna; una CM innovativa ed attrattiva nei confronti di imprese e talenti; una CM intelligente ed inclusiva; una CM sostenibile e resiliente.

Il PSM è accompagnato da un’Agenda opera-

tiva nella quale le progettualità sono graduate secondo una scala di priorità, da aggiornarsi annualmente, tenuto conto della reale fattibilità in termini risorse (economiche ed umane), oltre che di condizioni generali al contorno (quadro normativo ed esternalità). Il Piano strategico della Città metropolitana di Torino mira quindi a divenire il quadro di riferimento per la totalità dei comuni che sono in essa ricompresi; cornice coerente e condivisa dove ciascuno

possa collocare le proprie strategie ed azioni per il raggiungimento di un comune obiettivo di sviluppo economico e sociale, con un’atten- zione particolare ai temi quali l’abilitazione del territorio, l’attrattività dei talenti (startup...),

Smart specialisation strategy, circolar eco-

nomy...

La Pianificazione generale metropolitana, primi cenni

Un altro tema verso il quale la CMTo ha comin- ciato ad approcciarsi è quello della pianifica- zione territoriale di area vasta. Se il dibattito sul piano strategico metropolitano è oggetto di interesse ed attenzione già da tempo, sia a li- vello locale, sia nazionale (ANCI), sia europeo (ESPON), la nuova funzione di pianificazione attribuita dalla legge 56/14 alle città metro- politane pare non suscitare, almeno a livello regionale, particolare interesse.

All’interno di un contesto normativo ancora evidentemente incompleto, la Città metropolita- na di Torino ha cominciato ad interrogarsi sul significato di “piano territoriale generale” così come previsto al comma 44, let. b della legge “Delrio”, e sul suo rapporto con gli strumenti di pianificazioni preesistenti, primo fra tutti il Piano territoriale di coordinamento provinciale, nonché sulle relazioni e interazioni tra pianifi- cazione territoriale e pianificazione strategica metropolitana.

In un’ottica di semplificazione e razionaliz- zazione di strumenti e risorse, la CMTo ha previsto che il PTGM assuma: “l’efficacia a

tutti gli effetti di PTC ai sensi dell’art. 20 del d.lgs. 18.8.2000 n. 267” (Statuto, art. 8) ed ha formalmente dato avvio alla redazione del nuovo piano riconoscendo nel vigente PTC2 (2011) un valido punto di partenza, sia per la modernità dei contenuti (es. contenimento del consumo del suolo), sia per l’impianto normati- vo che prevede una gradualità di cogenza che si esplica in prescrizioni, direttive ed indirizzi rivolti alle amministrazioni comunali ed a tutti i soggetti pubblici e privati che operano sul territorio. L’avvio operativo della predisposizio- ne del nuovo PTGM è una delle azioni previste dal Piano strategico, tuttavia tale obiettivo trova un ostacolo nella legge regionale 56/77 “Tutela ed uso del suolo” della Regione Pie- monte che, ancora ad oggi impermeabile alla

riforma Delrio, di fatto non offre gli strumenti normativi necessari per la legittimazione di un nuovo strumento di pianificazione generale (e di coordinamento) metropolitano. Certamente la questione non è di facile soluzione e non potrà essere risolta con un semplice intervento sulla nomenclatura degli strumenti, e fortunata- mente il PTC2 è uno strumento tutto sommato recente e certamente ancora valido, d’altra parte la transizione da provincia a città me- tropolitana ha necessità di una forte e decisa accelerazione ad iniziare dal completamento del quadro normativo e dalla imprescindibile messa a disposizione di risorse economiche adeguate.

Note

1. Il Sesto stralcio della Carta delle Forme associative del Pie- monte approvato con D.G.R. n. 53-3791 del 4.8.2016, conta 27 unioni (montane e di comuni) nell’area della CMTo, alcune delle quali (Unione Montana Valli Orco e Soana, Unione mon- tana del Pinerolese, Unione montana Valle Sacra), non hanno continuità territoriale

2. Nel mese di giugno 2017, il nuovo comune di Mappano (nato ritagliando e riunendo in esso parte dei territori appartenenti a Leinì, Borgaro, Settimo e Caselle Torinese)

3. La sola Città di Torino ospita quasi il 40% della popolazione, a fronte di una superficie inferiore al 2% del totale della CMTo 4. Lo Statuto della CMTO si compone di 52 articoli. Di questi uno

è dedicato alla Pianificazione strategica, uno alla Pianificazio- ne territoriale, ed uno alle Zone omogenee

5. La Città metropolitana di Milano ha individuato 7 zone omo- genee, ritagliandone fuori il solo Capoluogo; la proposta di Zone omogenee della CM di Genova vede anch’essa il Capo- luogo come zona a sé stante

6. Le Zone omogenee, pur volendo superare i modelli a geogra- fia variabile, conservino un livello di dinamicità significativo là dove è stabilito che i loro confini possano essere modificati senza che ciò comporti variazione dello Statuto

7. Si veda la più volte citata esperienza di pianificazione strate- gica della Città di Torino che tra il 2000 e il 2016 ha prodotto tre Piani strategici

8. Cfr. Tavolo metropoli strategiche coordinato da ANCI (2015- 2017)

Riferimenti Bibliografici

Provincia di Torino (2011), “Piano territoriale di coordinamento provinciale PTC2”, Torino

Città metropolitana di Torino (2017), “Verso il Piano strategico metropolitano di Torino”

LA CITTà METROPOLITANA DALL’UTOPIA ALLA REALTà.