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Apertura e cooperazione oltre la pura applicazione delle ‘tecniche Freinet’

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 142-157)

La ferma autonomia di giudizio e la determinatezza nella specifici-tà della funzione professionale costituiscono i dati dominanti del carattere e conseguentemente dell’opera di Tamagnini. Militante comunista e contestualmente divergente pedagogicamente rispetto alle relative posizioni del PCI. Ammiratore del Freinet ma libero e aperto fin dall’inizio alla ricerca oltre il Freinet. Infatti già dalla sua quarta circolare, inviata ai primissimi colleghi, dopo gli incontri ini-ziali di presentazione delle ‘tecniche elaborate dal Freinet’ a Rimini e Firenze, il 3 settembre del ’51, cioè prima della costituzione della C.T.S. (che verrà formalizzata a novembre), egli scrive:

“Sia detto chiaro: noi ci ispiriamo nel nostro lavoro ad un’esperienza in atto le cui realizzazioni hanno un indiscusso valore pedagogico: le ‘Tec-niche Freinet’ e, pur riservandoci la più ampia libertà di applicazione e non volendo […] imitare pedissequamente nessuno, sentiamo la ne-cessità, la convenienza, l’utilità, di affiancarci a quella seria e poderosa organizzazione internazionale, unica nel suo genere, che è l‘Institut Coopératif de l’Ecole Moderne’, il che, mentre non ci impegna […]

all’accettazione di alcun presupposto, né ideologico, né pratico, né orga-nizzativo, ci permette al contrario di inserirci con la quella di preparare il bambino al ‘difficile mestiere di essere uomo’, ci consente di giovarci di una vasta esperienza didattica e di una preziosa collaborazione.

Noi cercheremo di fare qualcosa di nostro, di adeguare cioè il nostro la-voro alle reali ed attuali esigenze e possibilità nostre, delle nostre scuole, dei nostri alunni; ciò che ci porterà a fare qualcosa di diverso da quanto

è stato già fatto da altri (se non giungeremo a ciò non faremo nulla di buono e il nostro lavoro sarà stato pressoché sterile); tutto ciò è fuori dubbio, ma è anche vero che noi ora partiamo dal Freinet e non c’è alcuna ragione plausibile per tacerlo o sottovalutarlo.

Ciò premesso crediamo di non peccare di presunzione affermando che la nostra iniziativa ha in sé tutti i requisiti per un fecondo ed originale sviluppo: fecondo ed originale perché non sarà il Freinet e non saremo neppure noi a determinare l’orientamento, ma saranno gli stessi nostri alunni ad indicarcelo con i loro problemi, con le loro esigenze, con la loro inesauribile attività”.8

Posizione questa di Tamagnini che è insieme riconoscimento del sin-golare apporto pedagogico del Freinet quanto di autonomia critica, posizione che riconfermerà tre anni dopo nella sua presentazione della C.T.S., oramai consolidatasi, su “Scuola e Città”9. Atteggia-mento che manterrà costante nel tempo. In tale intervento infatti precisa:

“Sorvoliamo sul particolare significato che assume il termine tecniche attribuito al complesso dei procedimenti e sulle ragioni per cui è stato preferito al più impegnativo e più usato termine di metodo; ci limi-tiamo ad osservare che quella denominazione non sta ad indicare un insieme di espedienti, più o meno ingegnosi, empiricamente concepiti, ma un complesso organico e armonico di norme pratiche in armonia con i fondamentali principi della nostra moderna scienza pedagogica.

Non ci soffermeremo neppure nell’esame tecnico dei procedimenti ma cercheremo piuttosto di cogliere lo spirito informatore al quale noi in modo particolare, più che alle tecniche puramente dette, ci siamo ispirati.

Premettiamo subito che non abbiamo accolto passivamente, come nor-me definitivanor-mente acquisite, né le tecniche né i principi a cui esse

8 Vedi quarta Circolare-Bollettino della CTS inviata da Tamagnini, datata Fano, 3 otto-bre 1951, p. 1.

9 G. Tamganini, Le tecniche Freinet e la CTS, in “Scuola e Città”, anno V, n. 3, marzo 1954, pp. 103-104.

sono ispirate; ma abbiamo impostato in proprio le nostre esperienze, con serietà e gradualità, ci siamo posti innanzi ad esse senza fanati-smo e senza prevenzioni in un atteggiamento seriamente e criticamente sperimentale, pronti sempre a cogliere motivi nuovi ed a rimettere in discussione ogni principio o realizzazione qualora esigenze di fatto ne avessero rilevato l’opportunità. Del resto questo vigile senso critico è alla base di tutta l’opera del Freinet e ne tradirebbe lo spirito chi l’accettasse passivamente traducendo in dogma il dinamismo e la sempre insoddi-sfatta ricerca del più antidogmatico (vorrei dire del più eretico) fra i pedagogisti moderni.

Questo dinamismo permanente del Freinet è uno degli aspetti sui qua-li intendiamo qui richiamare l’attenzione dei lettori; l’altro aspetto e il presupposto cooperativo che è alla base di tutta l’attività di questo educatore: intendiamo soffermarci su questi due aspetti poiché a nostro parere son quelli che caratterizzano decisamente l’opera del Freinet e che noi abbiamo accolto senza riserve facendone i motivi dominanti della nostra attività.

Se si volesse definire con espressione sintetica la pedagogia del Freinet credo che non si potrebbe chiamare se non pedagogia cooperativa.”10 Come si può constatare l’atteggiamento e le indicazioni di Tamagni-ni sono del tutto corrette.

Rispetto invece ad un tale percorso di sperimentazione e ricerca aperta dell’attività – proposta dal Tamagnini e perseguita poi dalla C.T.S. – oltre ad incontrare l’avversione istituzionale e la contrarietà politica, viene fin dall’inizio sollevata in ambito pedagogico la critica di ‘tecnicismo’ o quantomeno vengono espressi dei dubbi sul fatto che la proposta costituisse una architettura tecnica priva di valenze didattiche ed educative. E ciò in aperto contrasto rispetto all’impo-stazione e al lavoro svolto da Tamagnini e compagni, opera sempre interconnessa su due livelli: teorico e pratico, principi e prassi di-dattica, finalità e strumenti connessi per perseguirle e raggiungere

10 Ibidem, p. 103-104.

concretamente gli obiettivi di apprendimento nella loro valenza di contenuto e di formazione.

Tamagnini infatti da subito risponde subito a tali critiche onde evi-tare fraintendimenti, affermando che:

“Pur partendo dalle ‘Tecniche Freinet’ ritenute le più adatte per un lavoro in cooperazione, non se ne fa un mito e ognuno non solo è libero di sperimentare ed applicare tutte le tecniche didattiche che riterrà più opportune, ma troverà nell’organizzazione uno strumento insuperabile per chiarire, approfondire, valorizzare, diffondere ogni nuovo procedi-mento che si mostri atto a facilitare l’opera educativa.

La nostra organizzazione deve avere un carattere eminentemente dina-mico, non deve irrigidirsi su alcuna posizione presa, deve essere aperta a tutti i nuovi interessi che sorgono dal mondo della scuola, attenta a tutte le esperienze, sensibile ad ogni nuova esigenza: le ‘Tecniche Freinet’, se giu-stamente intese, non solo non escludono tutto ciò, ma si trasformano esse stesse in strumento di rinnovamento, di perfezionamento e di progresso.”11 Successivamente, persistendo critiche, incomprensioni e perplessità, ritorna sull’argomento con una lettera inviata a tutti gli aderenti e gli amici, questo al fine di chiarire ulteriormente il senso e le moda-lità dell’azione didattica e associativa intrapresa. Pubblichiamo per intero la lettera della quale singole parti sono già presenti nel libro.

Carissimi amici,

finalmente la cooperativa è un fatto compiuto. L’abbiamo varata con tutti i crismi della legalità; ha preso il mare animata da una fede serena e sicura, aliena da ogni facile euforia, non ignara delle difficoltà che l’attendono.

Sappiamo che il nostro compito non sarà facile, che l’aver portato a compimento la costituzione della Cooperativa non vuol dire essere giunti in porto, ma viceversa accingersi a lasciarlo, il porto, affrontando i rischi di un mare non sempre tranquillo.

Avanti dunque con coraggio e fiducia.

11 Intervista di L. Bettini, cit., p.84.

TECNICI, NON EMPIRICI

Fino ad ora siamo stati presi prevalentemente dal problema organiz-zativo; ma siamo anche venuti affinando insieme gli scopi, le modalità e i mezzi del nostro lavoro. Ora però, all’inizio di questa nuova fase di attività, sentiamo la necessità di precisare la nostra posizione in relazio-ne soprattutto ad obiezioni e dubbi già formulati e possibili.

Abbiamo più volte, insistentemente, sottolineato la nostra volontà di larga collaborazione al di fuori e al di sopra di ogni considerazione estranea agli interessi della scuola e l’assoluta autonomia e libertà per ogni singolo socio su tutto quanto concerne il lavoro didattico. Il pro-gramma minimo comune all’accettazione del quale noi subordiniamo la nostra collaborazione, consiste fondamentalmente nell’impegno per ogni aderente di mettere in comune le proprie esperienze e di tenersi in contatto con l’organizzazione traducendo in sempre nuove iniziative gli stimoli delle esperienze collettive.

Nella nostra organizzazione non vi è posto per il semplice, disin-cantato, indifferente spettatore. Noi ci rivolgiamo a tutti coloro che si interessano attivamente ai problemi della scuola; ma, dichiariamo apertamente che il primo posto non spetta ai teorici, ai pedagogisti da tavolino, ma a coloro che nella scuola e per la scuola vivono; a coloro che i problemi pedagogici e didattici non li trattano metafisicamente, in astratto, ma li affrontano (e spesso ne sono affrontati) ogni giorno sul terreno pratico, trovandosi dinanzi sotto le concretissime specie di una classe di bambini (o giovanetti) in carne e ossa, ad essi affidati per essere educati.

Con questo non vogliamo dire che disdiciamo la teoria e la collabo-razione dei teorici: noi ci definiamo dei tecnici della scuola, o meglio dei tecnici dell’attivismo pedagogico; ma rifiutiamo come offensiva la qua-lifica di empirici. Ogni tecnica presuppone necessariamente una teoria:

parafrasando Kant potremmo dire che la tecnica senza la teoria è cieca e la teoria senza la tecnica è vuota; la tecnica dell’attivismo presuppone la teoria dell’attivismo, pertanto noi accettiamo in partenza i più profon-di principi ispiratori della pedagogia moderna: questo è un dato profon-di fatto sul quale riteniamo inutile ogni discussione e volgiamo invece tutta la

nostra opera alla ricerca di quei mezzi pratici, concreti, che permettono o facilitano il trasferimento di quei principi dalla stratosfera della teo-ria al terreno concreto della scuola, di ogni scuola naturalmente, e non di privilegiati vivai da esperimento.

Dobbiamo precisare ancora una volta che noi non siamo degli infa-tuati delle ‘Tenciche Freinet’ né di alcuna altra tecnica in particolare;

riteniamo e l’abbiamo esplicitamente sottolineato nello stesso statuto, che nessuna tecnica possa come tale risolvere tutti i problemi pedagogici;

del Freinet noi vorremmo esser capaci di interpretare lo spirito che vivi-fica la sua organizzazione e trasformarlo nella nostra, determinandovi quella volontà di cooperazione fattiva che si concretizza in un ininter-rotto processo di miglioramento e di realizzazioni di eccezionale valore.

Certo, per noi il Freinet rappresenta una guida, e la realizzazione delle sue esperienze di cui sappiamo di poterci giovare. I Ferrière, i Clapare-de, i Dewey, i Kenrschensteiner, i Decroly, i Lombardo Radice e tanti altri, anche i più vicini a noi, (e non solo nel tempo) noi li consideriamo e apprezziamo come grandi maestri, ma Freinet ci guida sul terreno pratico alla realizzazione dei più veri principi elaborati da quelli e ci fornisce gli strumenti tecnici per facilitarci tale realizzazione: ce lo sentiamo più vicino.

Questo discorso dovremmo continuarlo, ma lo riprenderemo un’al-tra volta poiché questo nostro surrogato di bollettino non comporta lun-ghe dissertazioni.

G. Tamagnini

Fano, 7 novembre 1951. 12

L’introduzione delle nuove ‘tecniche didattiche operative e coo-perative’ comporta un sovvertimento della ‘relazione formativa’ tra-dizionale, fondata su uno strumento rudimentale (il quaderno e i pochi manuali scolastici) e su una relazione a pioggia (l’insegnante in cattedra e di fronte, bene in vista, la schiera degli alunni disposti

12 G. Tamagnini, Tecnici non empirici, in “Cooperativa della Tipografia a Scuola”, circo-lare-Bollettino della CTS, n. 5, Fano, 7.11.1951, p.1-2.

in fila nelle bancate). L’azione non può quindi più semplicemente fondarsi su pratiche educative trasmissive e selettive, diventa perciò fondamentale affrontare il nodo di una nuova procedura didattica e di una diversa relazione educativa. Tamagnini quindi ritiene di dover insistere ed ulteriormente precisare il rapporto fra ‘tecnica e pedagogia’, cioè fra modalità operative e fini formativi, ciò ad evitare possibili equivoci e fraintendimenti.

TECNICA E PEDAGOGIA

Da vari amici e ripetutamente ci è stata espressa una preoccupa-zione degna di essere presa nella più seria considerapreoccupa-zione: - Voi – ci si dice – accentuate troppo il lato tecnico dell’attività scolastica, vi lasciate prendere la mano dagli strumenti che voi andate sperimentando, col rischio di perdere di vista gli stessi principi che vi hanno ispirato e il fine ultimo della scuola che è l’educazione: e ‘educazione non è tecnica’.

Questa obiezione ci è stata presente fin dall’inizio del nostro lavoro e abbiamo più volte cercato di rispondervi più o meno esplicitamente, ma vi ritorniamo su volentieri per evitare che su tale delicatissima que-stione possano sorgere equivoci.

L’educazione, si dice, non è tecnica: d’accordo, come non è tecnica la musica o l’architettura o la pittura ecc.: ma, mentre, pur sottolineando che l’arte in sé non è tecnica, nessuna persona di buon senso negherebbe che esiste una tecnica del costruire, una tecnica del dipinger, del suonare ecc.; nel campo invece dell’educazione non tutti sono disposti ad am-mettere che vi sia una tecnica dell’educare.

Questa è una semplice constatazione di fatto su cui non intendiamo discutere, vogliamo soltanto fare alcune considerazioni volte soprattutto a precisare e delimitare il carattere e le finalità della nostra attività pratica.

Il concetto di educazione comprende un campo vastissimo che ab-braccia, sì, l’attività scolastica, ma non si esaurisce in essa. L’educazione come finalità scolastica comprende a sua volta tutta l’attività della scuo-la, e le varie influenze che essa esercita sulla formazione dell’alunno. Un aspetto fondamentale di tale attività è costituito dall’insegnamento

pro-priamente detto di un complesso di nozioni che nelle sue linee essenziali sono ufficialmente programmate e impartite a tutti gli alunni delle scuole.

Ora, anche coloro che vedono nell’alto concetto di educazione qual-cosa di troppo elevato per poterne trattare in termini di tecnica, credo possano essere d’accordo con noi nell’ammettere che una tecnica dell’in-segnamento vi deve pur essere se non si vuol cadere nell’assurdo di con-siderare il fare scuola come un susseguirsi di atti compiuti dal primo venuto senza alcuna specifica preparazione.

Fermo dunque restando questo punto, che cioè esiste una tecnica dell’insegnamento o, per usare una espressione più precisa, una tecnica didattica, noi dichiariamo di voler limitare il nostro lavoro prevalen-temente a questo campo: la nostra organizzazione, ripetiamo, si pro-pone delle finalità eminentemente pratiche: raccogliere, sperimentare, valorizzare, migliorare e diffondere tecniche didattiche sempre più ri-spondenti alle attuali esigenze educative delle nostre scuole; e siccome

‘tecnica’ è da un lato ‘abilità tecnica’ di compiere determinati atti per il raggiungimento di un determinato fine, e dall’altro disponibilità di

‘strumenti tecnici’ capaci di rendere possibile o facilitare il compimento di quegli atti ed il raggiungimento di quel fine; nostro compito è anche dunque di cercare e mettere a disposizione del maestro ‘strumenti tecni-ci’ sempre più perfetti per facilitare e rendere più efficiente il suo lavoro.

Questo è il nostro compito e preghiamo gli amici di dover giudicare il nostro lavoro da ciò che facciamo, in relazione con le finalità limitate che ci proponiamo.

È un orizzonte troppo ristretto il nostro? Sarebbe tale se noi mirassimo a racchiuderci in esso e a racchiudervi il maestro: viceversa la nostra orga-nizzazione vuole, sì, aiutare il maestro limitatamente all’aspetto tecnico del suo lavoro (per il momento almeno non si sente preparata ad affron-tare un campo più vasto e più impegnativo); ma con ciò non si sogna neppure di pretendere che l’opera e la personalità del maestro si esauri-scano nell’aspetto tecnico del proprio lavoro: non solo non vogliamo co-stringere l’opera e la personalità del maestro in un orizzonte grettamen-te grettamen-tecnicistico, ma viceversa lottiamo per aprirgli un orizzongrettamen-te più vasto e più ricco comprendente anche dei motivi tecnici che senza dubbio gli saranno di grande ausilio al raggiungimento delle sue stesse mete ideali.

E ciò crediamo possa valere anche per la gentile collega, e carissima

amica, che ci scrive che noi con le nostre ’finalità limitate’, pratiche, ben definite con il nostro ‘creare strumenti’ rischiamo di ‘svuotare, di sterilire la scuola per alimentare il nostro sistema di scuola’.

Qui la prima risposta che viene alle labbra sarebbe che non c’è un nostro ‘sistema di scuola’ particolare che noi intendiamo affrontare con le nuove tecniche; ma la risposta non sarebbe esatta: infatti le tecniche Freinet per esempio non sono applicabili in una classe in cui il maestro se ne sta in cattedra solenne ed austero a dettare e comandare i bambini ben in fila seduti nei banchi a scrivere sincronicamente e ad ubbidire senza parlare. Le tecniche Freinet presuppongono una classe dalla quale sia scomparsa la cattedra (o se vi serva a tutt’altri usi che da piedistallo al maestro): ma questo non è il nostro ‘sistema di scuola’, è il sistema di scuola derivante da tutta la pedagogia contemporanea, è la scuola dell’attivismo, ed è anche la scuola del suo (e mio) Lombardo Radice, gentile collega.

Dice ancora la collega: ‘Tecnica, sì, certamente; ma su che principi e per quali scopi?’

Rispondiamo: sugli stessi principi a cui si ispira tutta la pedagogia contemporanea; per facilitare il raggiungimento degli scopi che quella pedagogia si prefigge: tecnica dunque non fine a sè stessa, ma in funzio-ne delle finalità educative poste dalla pedagogia nuova.

G.T.

Fano, 4 gennaio 1952. 13

Fin dall’inizio quindi l’azione di Tamagnini è tesa ad assumere l’e-sperienza e le tecniche del Freinet in modo aperto e critico. Un dato che caratterizzerà l’atteggiamento di fondo e che segnerà il percorso successivo dell’Associazione freinetiana italiana, quale movimento cooperativo di ricerca e di azione didattico-pedagogica permanente, perseguita in un rapporto aperto e dialettico fra principi e realtà.

Con molta lungimiranza e preparazione fin dall’inizio Tamagnini cerca di definire precise finalità al lavoro da impostare. Questo ad

13 G. Tamagnini, Tecnica e pedagogia, “Cooperativa della Tipografia a Scuola”, Circolare-Bollettino della CTS, n. 7, Fano, 5.01.1952, p.1-2.

evitare proprio quei limiti di parzialità e tecnicismo, cioè di improv-visazione e superficialismo, che egli aveva vissuto col primo tenta-tivo della messa in opera del complessino tipografico e che avrebbe successivamente registrato in talune esperienze troppo frettolose e non supportate da un’adeguata sensibilità sociale, apertura culturale e impostazione pedagogica. Così infatti scrive in un nuovo articolo di puntualizzazione.

COOPERAZIONE PEDAGOGICA

Dicevo nel precedente numero che noi vediamo nell’organizzazione cooperativa la sola possibilità di superare certi limiti, quelle deficien-ze organiche della nostra scuola che abbiamo individuate nella scarsa preparazione del personale insegnante e nella mancanza di idonee at-trezzature.

A sostegno di una tale tesi potrei richiamarmi alle norme statutarie della nostra Cooperativa e mi sarebbe facile dimostrare che da tutta l’at-tività di questa organizzazione consegue uno sforzo di rinnovamento e aggiornamento di cui si giovano tutti i suoi membri ed in ultima ana-lisi la scuola. Potrei sottolineare l’importanza che ha una Cooperativa per la produzione del materiale, degli strumenti tecnici indispensabili al rinnovamento della scuola stessa: sia perché una Cooperativa costi-tuita da insegnanti sperimentatori decide da sé del materiale necessario da costruire e della graduale messa a punto di esso prescindendo da ogni considerazione speculativa; sia perché consente di realizzare questo ma-teriale alle miglior condizioni possibili.

E ciò potrebbe essere sufficiente a concludere questa discussione che si protrae ormai da troppo tempo; ma qui si tratta di un problema troppo grave per rimanere in una vaga e semplicistica genericità, credo pertan-to sia necessario insistervi ancora un po’.

Ci è stato chiesto in che cosa l’opera di preparazione, di aggiornamento che noi ci proponiamo di svolgere si differenzia da quella che, certo con più competenza, svolge ogni rivista scolastica. Si potrebbe rispondere che noi presentiamo dei fatti e non delle parole, che impegnano i colleghi in esperienze dirette e non soltanto alla lettura degli articoli stando seduti

comodamente in poltrona, ecc. ecc. ma nella domanda è implicita una esigenza critica che oltrepassa la semplice distinzione tra teoria e pratica e investe la concezione base del problema educativo e della scuola stessa.

La scuola è un organismo vivente e come tale, deve necessariamente svolgersi e rinnovarsi; la scuola non è fine a sè stessa, ma è in funzione delle finalità umane e sociali storicamente poste e storicamente rinno-vantesi: la scuola pertanto è condizionata nella sua struttura e nelle sue finalità dalla vita a cui deve rimanere sempre aderente, ed è

La scuola è un organismo vivente e come tale, deve necessariamente svolgersi e rinnovarsi; la scuola non è fine a sè stessa, ma è in funzione delle finalità umane e sociali storicamente poste e storicamente rinno-vantesi: la scuola pertanto è condizionata nella sua struttura e nelle sue finalità dalla vita a cui deve rimanere sempre aderente, ed è

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 142-157)