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‘tecnica Freinet’

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 90-99)

Alla luce di quella prima frustrante esperienza Tamagnini comprende bene che quanto propone non è cosa facile da impostare e realizzare, se si vuole che essa assuma un autentico senso innovativo non solo sul piano operativo, ma anche su quello motivazionale e formativo.

Non basta porre in un angolo dell’aula il complessino tipografico e stamparvi un certo testo, magari di qualche bravo alunno. Occorre fare di questo strumento il fulcro di una riorganizzazione didattica e relazionale complessa, insieme spaziale, operativa, motivazionale e psicologica, frutto di nuovi rapporti interpersonali emotivi, espres-sivi e culturali. Insomma la stampa non può che essere l’esito finale di un articolato processo didattico educativo. Il tutto quindi esige-va una forte dose di coraggio e la necessità di una riprogettazione nell’impostazione delle relazioni nel lavoro didattico complessivo della classe. Cosa tutt’altro che facile. Anzi era rivoluzionario, allora, mutare anche parzialmente l’ordine dei ruoli e degli eventi didat-tici: estromettere concettualmente ancor prima che fisicamente la pedana, facendola diventare magari un comune tavolo da lavoro, coinvolgere e dare la parola e la capacità di espressione e di scelta di-rettamente ai bambini, organizzare l’attività della produzione e della correzione in gruppo con l’assunzione di diversi e specifici compiti e responsabilità nella conduzione del lavoro. Cose impensabili allo-ra perché ponevano in discussione l’immagine stessa dell’insegnante cattedratico. E purtroppo, talora, queste idee innovatrici sono rima-ste inconcepibili per tanti, docenti, dirigenti e genitori.

Egli è dunque pienamente consapevole di quanto sia arduo af-frontare un cambiamento così sostanzialmente complesso e radicale, di sconvolgimento dell’organizzazione materiale e operativa, cioè didattica, che investe la stessa relazione educativa e implicitamente pone in discussione il senso tradizionale dell’immagine e con essa del ruolo docente, le modalità e la medesima finalità formativa. Ma nonostante il concreto naufragio, registrato nel primo tentativo, Ta-magnini non desiste. Troppa è la distanza fra le teorie pedagogiche conclamate e le pratiche educative consuete e radicate nella scuola.

Troppo forte è la sua aspettativa scaturita da quei significativi ma-teriali ricevuti dal Freinet e dalla lettura di Nascita di una pedagogia popolare. Singolare è la sua caparbietà, che certamente la sua dura vita fin dalla preadolescenza aveva messo alla prova e insieme tem-prato. Prosegue dunque nella ricerca di un insegnante disponibile a ritentare in questa vera e propria impresa umana e professionale, che scardinava il tradizionale ordine didattico e modello scolastico cattedratico, fondato su dettato, compito e correzione, spiegazione, interrogazione e voto.

Poco tempo dopo l’infelice esperienza in una riunione di inse-gnanti al sindacato locale incontra una maestra, Anna Marcucci Fantini6, che da subito gli aveva dato un’ottima impressione

ascol-6 Anna Marcucci Fantini, (Fano, 1909 - Bologna, 1993). Orfana prima della madre poi del padre (deceduto nel 1927), a sedici anni dovette abbandonare gli studi ginnasiali e da privatista si diploma presso l’Istituto Magistrale di Fano, quindi affronta e supera il concorso magistrale (1928). Si sposa nel ’39, interrompendo gli studi universitari.

Nel ’45 rimane vedova con un figlio. Ripresi poi gli studi universitari nel ’48 consegue la laurea in Lettere. Conosce Tamagnini nel 1950. Nella sua casa a Fano si dà avvio e viene sistemata la sede della C.T.S. poi M.C.E. per un quindicennio. Trasferitasi a Bologna nel 1965 passa come insegnante di tirocinio all’Istituto Magistrale di Bologna.

Nel ’68 svolge seminari all’Università bolognese che proseguirà fino al 1977/78 in col-laborazione con il prof. di pedagogia Vittorio Telmon. Conclude la carriera scolastica come insegnante di Scuola Media sempre a Bologna nel 1979, dove si spegne il 24 marzo 1993. Nel 1996 le viene riconosciuto alla memoria il ‘Diploma di Medaglia d’Argento ai Benemeriti della Suola, della Cultura e dell’Arte’ dalla Presidenza della Repubblica e nello stesso anno le viene intitolata la scuola elementare di Marotta di Fano (oggi, Marotta di Mondolfo) (PU).

tando i suoi interventi nella discussione in atto fra i colleghi. Fra l’altro Anna era una donna … in un sindacato rappresentato so-stanzialmente da uomini, inoltre era maestra laureata, in quegli anni cose entrambe tutt’altro che ordinarie.

Così ricorda in proposito Tamagnini quell’incontro:

“Stavamo entrambi attraversando una crisi profonda nella ricer-ca di una metodologia non tradizionale e più consona all’anima del fanciullo”.7

È questa dunque l’occasione per far riaccendere in Tamagnini la spe-ranza di poter riaffrontare con maggior consapevolezza e prudenza un nuovo tentativo di sperimentazione. Le parla dei suoi propositi e le propone di avviare una collaborazione in tal senso. Lei, incuriosita dal senso e dalle finalità educative della proposta, accoglie l’invito a tentare la nuova esperienza didattica.

Le tecniche didattiche proposte dal maestro francese...

“... prima ancora che potessimo valutare il loro intrinseco valore, ci attrassero per la loro caratteristica sperimentale, per la semplicità dei mezzi e dei procedimenti e per il presupposto cooperativo con cui si presentavano”8.

Allora, siamo nell’anno scolastico 1950-’51, Tamagnini conduce le sue studentesse dell’ultimo anno di studio del Magistrale di Fano

Cfr., R. Rizzi, (a cura), Dare di sé il meglio (La pratica educativa di Anna Marcuc-ci Fantini dalla scuola primaria all’università), Ancona, Consiglio Regionale Marche, 2001 [reperibile su internet]; R. Rizzi, Anna Fantini: la ‘prima’ maestra della pedagogia popolare in Italia, in “Scuola e Città”, anno XLIII, n. 7, luglio 1992, pp. 274-279; R.

Rizzi, Anna Fantini pioniera e filatrice della Cooperazione educativa, in “Ricerche Peda-gogiche”, n.106, 1993, Parma, pp. 23-34.

7 Da una lettera di testimonianze indirizzatami da G. Tamagnini in data 16 giugno 1991.

8 G. Tamagnini, Le tecniche Freinet e la CTS, in “Scuola c Città”, anno V, n. 3, marzo 1954, pp. 103-109.

nella classe della Fantini. Già da questo primo impatto professionale verifica l’apertura nell’approccio educativo e l’intelligenza nell’im-postazione didattica con i suoi scolaretti da parte della maestra Mar-cucci Fantini. Prende così il via una collaborazione a partire da una comune esperienza fra le due classi, quella elementare e la magistrale e, ovviamente, fra i due ‘maestri’: il Tamagnini e la Fantini. Si inizia così un rapporto professionale proficuo che partorirà la prima po-sitiva messa in atto in Italia della ‘tecnica freinetiana’ a noi nota: la composizione collettiva e la stampa di un testo. Esperienza che darà vita nell’aprile del 1951 alla stampa del primo giornalino scolasti-co a redazione e scolasti-composizione scolasti-cooperativa nella scuola italiana: La tratta9.

Questa prima nuova esperienza didattica, fatta con gli scolari di Marotta di Fano, che dà alla stampa un giornalino con una raccolta di lavori di bambini, conforta la fattibilità della proposta freinetiana della stampa a scuola. Il giornalino prodotto per mano degli stessi bambini, diventati insieme ‘redattori, correttori e tipografi’ in un clima di serena operosità collettiva, è una novità assoluta.

Viene così attestata non solo la fattibilità ma l’efficacia educativa di questa nuova ‘tecnica didattica’, fortemente innovativa nell’im-pianto relazionale, operativo e, insieme, negli intenti formativi. Tec-nica che comprende la stesura individuale di testi spontanei, la libera scelta da parte della classe di un testo, la sua messa a punto collettiva con la collaborazione di tutta la classe (cioè la correzione ortografica e sintattica, l’eventuale integrazione e perfezionamento espressivo), l’organizzazione coordinata del lavoro in gruppo per la composizio-ne e la riproduziocomposizio-ne tipografiche, il controllo e la pubblicizzaziocomposizio-ne degli esiti con la conseguente valorizzazione del proprio comune la-voro.

9 Il nome scelto per il primo giornalino scolastico, “La Tratta” è significativamente de-rivato da un tipo di pesca che si effettua tirando la rete dalla riva, molto usato dai pescatori di Fano.

Siamo di fronte ad una procedura didattica non solo dal ruolo complesso, dalla messa in atto di una tecnica moderna che collega la scuola alla società industriale del 900, ma insieme dall’alto signifi-cato formativo in una direzione esplicitamente sociale, partecipativa e responsabile. Esso include sostanzialmente quattro fasi operative:

1) la scrittura e valorizzazione del lavoro espressivo e creativo dei singoli bambini attraverso la lettura condivisa dei testi spontanea-mente prodotti (la stesura singola e la lettura in classe dei testi liberi);

2) la opportunità di una scelta motivata e condivisa, fatta di comune accordo, alunni e maestro, di uno fra i diversi singoli elaborati (la scelta collettiva di un testo);

3) la correzione ortografica, quindi linguistico sintattica e infine il miglioramento comunicativo ed espressivo svolto insieme dalla classe (la messa a punto collettiva del testo prescelto);

4) la trasposizione dalla singola stesura manuale in caratteri a stam-pa su compositoi (le righe tipografiche), la sistemazione dei com-positoi in una sequenza ordinata del testo (il testo ricomposto nella piattaforma tipografica), la duplicazione tipografica di un esem-plare, il controllo della sua correttezza e quindi, in caso positivo, la duplicazione definitiva (la riproduzione a stampa di più copie).

Si tratta di azioni che rispondono a diverse funzioni educative:

a) Richiedono un’organizzazione complessa, fatta di regole, fon-damentali per il funzionamento dell’operazione, introducono il bambino ad una realtà articolata (responsabilità individuali-collet-tive).

b) L’educazione alla libera espressione e insieme alla libera scelta motivata in un contesto sociale (libertà personale).

c) Ha come conseguenza implicita l’appropriazione del processo della stampa e, dunque, un diverso approccio del lettore che, scrivendo e stampando testi, opera una relativizzazione e smitiz-zazione del ‘testo a stampa’ (la relativizsmitiz-zazione testuale).

d) L’operare insieme fra bambini per un comune obiettivo e il rap-porto cooperativo che si crea anche fra alunni e insegnante, apre un nuovo scenario relazionale fatto non solo di regole ma di ri-partizione di compiti e responsabilità condivisi (la cooperazione operativa).

e) Il tutto mette in azione un processo collettivo complesso che comprende l’espressione naturale, la valutazione e la scelta collet-tive, il miglioramento testuale e insieme l’apprendimento perso-nale nella interrelazione, il processo di riproduzione tecnologica, la responsabilità e condivisione operativa complessa nei ruoli (la cooperazione formativa).

In un tale procedimento didattico va sottolineato in particolare, oltre alla composizione del ‘testo libero’, l’alto valore pedagogico del-la ‘messa a punto collettiva’10 che pone gli alunni in una situazione nuova; sono essi che, con l’attenzione e l’accorta regìa dell’insegnante, diventano primi attori di un processo di miglioramento (individua-zione e superamento degli errori e delle inadeguatezze linguistiche), nonché artefici del perfezionamento espressivo (sintattico, descrit-tivo e linguistico comunicadescrit-tivo). Da sudditi isolati e subordinati di un processo (correzione formale e valutazione da parte del docente) diventano attori e responsabili, in una ‘comunità di apprendimento’

linguistico comunicativo, di un approfondimento e miglioramento espressivi. Trama operativa che incide profondamente nei meccani-smi spontanei di riflessione e naturali d’apprendimento.

Siamo così di fronte al sorgere di una scuola moderna ed attiva, fatta di relazioni operative e cooperative, finalizzata ad una forma-zione democratica che fonda le sue radici già dall’infanzia. Premessa, questa, indispensabile per una effettiva ‘formazione alla cittadinan-za’, pratiche operative di vita educante alternative alla scuola della ri-petizione e della valutazione cattedratica e della valutazione

decima-10 Cfr., R. Rizzi, La messa a punto del testo, in “Rivista dell’istruzione”, settembre/ottobre 2018, anno XXXIV, pp. 67-69.

le. Scuola alternativa anche all’implicita classificazione dei soggetti e alla conseguente loro subalternità e sudditanza. A seguito dell’esito positivo di questo primo riuscito tentativo un altro maestro, Rino Giovanetti11, entrato in contatto con Tamagnini e la Fantini, si mo-stra da subito interessato a replicare l’esperimento, condividendone gli intendimenti educativi. Si presenta quindi il problema di dispor-re di un nuovo complessino tipografico.

Ma allora non c’erano le disponibilità economiche per duplicare gli ordini in Francia. Di conseguenza a Tamagnini, per procedere ol-tre nella sperimentazione di queste nuove modalità didattiche, non rimane che – richiesto e ottenuto il consenso da parte del Freinet di riprodurre il suo complessino scolastico – di porre all’opera le sue abilità manuali, acquisite fin dall’adolescenza con il nonno. Così costruisce direttamente lui un nuovo esemplare con l’aiuto di un fabbro locale. Per farlo, utilizza materiali di scarto, reperiti nel cam-po d’aviazione di Fano; materiali recuperati da alcuni frammenti di relitti di aerei distrutti durante il conflitto bellico, da pochi anni conclusosi, e là rimasti abbandonati.

Si è trattato di un impegno piuttosto complesso che ha messo ulteriormente alla prova la sua esemplare abilità e tenacia. Ha ri-chiesto il consiglio e la collaborazione di alcuni amici artigiani per la costruzione di stampi finalizzati alla realizzazione della pressa, di cassette per i caratteri e per i compositoi, nonché per l’assemblaggio e la fusione di pezzi d’alluminio. A tutto questo si aggiunga il repe-rimento di caratteri e di inchiostro tipografici ed altro ancora per la messa in opera della mini-tipografia scolastica.

11 Rino Giovanetti, (Mondavio/PU, 1920 – Fano/PU, 2004). Ottiene da privatista la licenza delle Scuole Medie e poi il diploma dell’Istituto Magistrale (1941). Vince il concorso per il ruolo alle Scuole Elementari nel ’48. Stampa nell’anno scol. 1950/51 il primo giornalino con gli alunni della sua classe, intitolato: Eco. Consigliere provinciale del PSI (’56), assessore e poi Sindaco di Fano (’64-70). Va in quiescenza dal ’77. Ha fondato a Fano nel ’91 “Filo d’Argento”, centro aderente all’Associazione nazionale per l’autogestione dei servizi e la solidarietà (AUSER).

Costruita la nuova pressa e reperiti gli altri materiali e supporti tipografici, Giovanetti può dunque anch’egli porre in opera nella sua pluriclasse di I, II e III della piccola contrada di Pianacci, una locali-tà nel comune di Mondavio (Pesaro), la nuova operazione didattica.

Inizia con lo sperimentare la stesura da parte dei suoi scolari di ‘testi liberi’, avvia la scelta e il ‘miglioramento collettivo dei testi prodot-ti’ dai suoi alunni, per arrivare successivamente con la disponibilità del nuovo complessino tipografico, costruito da Tamagnini, alla loro stampa e duplicazione, ad opera diretta dei suoi scolari.

Le due sperimentazioni eseguite con molta bravura ed impegno, a detta di Tamagnini, riuscirono molto bene. Inutile sottolineare qui la sorpresa e l’entusiasmo suscitato fra gli alunni e insieme la curio-sità prodotta nelle loro famiglie.

C’erano dunque due concrete esperienze didattiche complete di

‘messa a punto di testi’ e di ‘stampa collettive di un giornalino’, svol-te da insegnanti, classi e località diverse, che atsvol-testavano la fattibilità della tecnica freinetiana della tipografia a scuola, anche da noi. Le due positive esperienze, dunque, erano tali da poter essere presentate e fatte conoscere a nuovi colleghi: non più parole e principi astratti ma esempi materiali e pratiche didattiche concrete e fattibili in con-testi diversi. La strada era ormai aperta, la prima sfida era riuscita.

L’entusiasmo per la positività della nuova esperienza didattica vedeva coinvolto insieme a Tamagnini anche i due maestri, Fantini e Gio-vanetti che, alla luce delle loro distinte esperienze, si confrontavano – sotto lo stimolo di Pino – per puntualizzarne insieme non solo il processo ma soprattutto chiarire le dinamiche e i relativi significati più naturali e profondi, relazionali e formativi.

Era così nato un primo nucleo sperimentale e cooperativo, even-to allora non di poco coneven-to, in una diffusa situazione scolastica che vedeva il docente, solitario professionista, chiuso nella propria aula e sulla propria cattedra con annessa predella. Si dischiudeva un nuovo orizzonte non solo a conforto dei desideri e delle intenzioni di Tama-gnini (e con lui dello stesso Freinet che vedeva affermarsi anche nella

penisola la sua proposta didattico-pedagogica) ma, come la storia attesterà, per le prospettive d’innovazione didattico educativa della stessa scuola primaria italiana (e come Tamagnini e Freinet sperava-no, forse non solo)12.

Un esempio tipico del tempo di ‘classe mista’, che veniva istituita nei piccoli centri, dove non si riusciva a formare classi distinte in maschili e femminili come fissava allora la legge, dato l’alto numero minimo di alunni dello stesso sesso per poter costituire una classe unisex.

12 Ad esempio negli anni 70 l’esperienza del MCE costituirà un importante riferimento pedagogico della rinascita del movimento frinetiano spagnolo postfranchista, ciò ri-sulta evidente anche nel nome MCEP (Movimiento Cooperativo de Escuela Popular), e rappresenterà negli anni 90 la prima pubblicazione freinetiana dopo la caduta della dittatura comunista in Romania (A. Pettini, Metode Moderne de Educatie. Freinet si Tehnicile Sale, (1968), Bucarest, CEDC, 1992).

Avvio di primi incontri dimostrativi

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 90-99)