• Non ci sono risultati.

maestro, come tanti

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 48-55)

Insoddisfatto del lavoro demotivante di impiegato scribacchino, e preso atto dell’impossibilità d’iscriversi alla facoltà d’ingegneria, Ta-magnini lascia Roma e rientra alla sua terra natia, Frontale.

Siamo verso la fine del ’36. Fornito del diploma magistrale, intra-prende a questo punto con l’avvio del nuovo anno scolastico la sua nuova carriera di insegnante. Una strada professionale imboccata di fatto casualmente, determinata essenzialmente dal bisogno di avere una occupazione sicura, stabile e che, peraltro, avrebbe potuto svol-gere nella sua terra.

La prima sua esperienza è ovviamente affrontata da supplente, nella scuola elementare del vicino paese, Poggio San Vicino (Mace-rata), nell’anno scolastico 1936/’37. Così ricorda quella sua prima esperienza da maestro:

“Non sapevo nemmeno cosa fosse la scuola, non sapevo cosa fosse un registro e mi vergognavo di chiederlo all’altra maestra … non sapevo niente di niente”8.

Come accadeva a tutti – anche se usciti dalla frequenza regola-re dell’Istituto Magistrale – allora e non solo allora, si entrava in classe senza possedere una minima cognizione psicologica, didattica e metodologica9, vivendo come ovvio una frattura fra le poche e

8 Intervista di L. Bettini, cit., p.26.

9 Va ricordato che tale limite riguardava l’intera categoria docente poiché la pedagogia

sommarie teorie lette in fretta e la prassi quotidiana da affrontare senza scampo e senza sosta innanzi a tanti bambini, posti di fronte alla cattedra per l’intera mattinata e in costante attesa delle parole del maestro. L’unico esempio concreto era la sua diretta esperienza di scolaro di vent’anni prima, di cui fra l’altro conservava un ricordo assai poco stimolante. E comunque a quell’esperienza in sostanza si attiene: lezione fondata sul libro unico di testo, letture collettive di brani e poesie, spiegazione, riassunto scritto od orale e passiva ripeti-zione a memoria; dettato, tema, problema, correripeti-zione e voto; regole, nozioni, esercitazione e interrogazione.

Ma egli è da subito insoddisfatto di questo modo cattedratico, ri-petitivo e riproduttivo che scandisce le giornate scolastiche; modalità che del resto lo accomuna alla normalità delle pratiche scolastiche ge-neralizzate di allora e, purtroppo, per lungo tempo non solo di allora.

La scuola a quell’epoca era sottoposta ad un progressivo controllo da parte del regime fascista. Va ricordato che nel 1928 viene intro-dotto l’obbligo per i maestri del ‘giuramento di fedeltà al regime’.

Nel ’29 viene stipulato il Concordato fra lo Stato italiano e la Chiesa, esaltando così il ruolo formativo della religione cattolica nella scuola di base. Nello stesso anno viene imposto il libro unico di Stato10. Al maestro, dunque, viene negata ogni possibilità di autonoma iniziati-va culturale, di divergenza etico-politica e di spirito critico. Il

Fasci-dell’idealismo si fondava essenzialmente sulla teoria filosofica, sulla centralità dei con-tenuti, svalutando la didattica ed escludendo la psicologia.

10 Dal 1926 viene istituita l’Opera Nazionale Balilla che ha il compito di lavorare in diretta collaborazione con la scuola. Viene reso obbligatorio in tutte le scuole il saluto fascista e vengono dispensati dal servizio gli insegnanti che non si attengono alle diret-tive politiche del regime. Il libro di testo, unico di Stato, per la scuola elementare viene stabilito con la legge n. 5 del 7.01.1929 e introdotto con l’anno scol. 1930/31. L’ope-razione di pianificazione formativa si ‘conclude’ con il giuramento di fedeltà al regime fascista nel 1931 da parte pure dei docenti delle università italiane (R.D. n. 1227 del 28.08.1931). La fascistizzazione della scuola, avviata a partire dalla riforma Gentile, trova così il suo apogeo e si concluderà solo con la caduta del regime.

Cfr., M. Ostenec, La scuola italiana durante il fascismo, Bari, Laterza, 1980.

smo, fra l’altro, nel frattempo aveva soppresso tutte le Associazioni precedenti degli insegnanti sostituendole con l’Associazione Nazio-nale degli Insegnanti Fascisti (R.D. n. 1130 del 1.07.1926). Questa aveva come compito formativo la costruzione dello Stato Fascista, confinando in tal modo la scuola italiana in una situazione di totale isolamento culturale dal resto del mondo e, quindi, dall’innovazione pedagogica in atto nell’Occidente.11

Le sue prime esperienze di maestro dunque producono a Tama-gnini un’intima insoddisfazione e gli pongono forti interrogativi.

Avverte l’inadeguatezza di una scuola autoritaria, ripetitiva, demo-tivante, finalizzata di fatto alla subordinazione sociale oltre che alla sudditanza al regime, povera di stimoli e di mezzi, fondata sul puro trasmettere e passivo replicare, ispirata tutt’al più alla ‘vocazione ma-gistrale’; concetto introdotto da Giovanni Gentile12 che ben si accor-dava alla tradizionale concezione moral-confessionale cattolica della

‘missione’ dell’educazione, principio che purtroppo durerà ben oltre la caduta del regime fascista13.

Sorge in lui il bisogno di intravvedere e dischiudere un nuovo

11 Cfr., L. Romanini, I principi del fascismo nel campo dell’educazione, Torino, Paravia, 1935; L. Arcesi, I diritti della scuola (Il Partito educatore e la Scuola nel progetto totali-tario fascista), Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009.

12 Giovanni Gentile, (Castelvetrano, 1875 - Firenze, 1944), autorevole filosofo dell’at-tualismo, corrente del pensiero neoidealista. Cofondatore dell’Istituto dell’Enciclope-dia Italiana. Gentile aderì al fascismo e venne nominato da Mussolini ministro della Pubblica Istruzione (1922-1924), attuando nel 1923 la ‘riforma Gentile’. Aderì pure alla Repubblica Sociale Italiana, finendo ‘giustiziato’ dai GAP.

Cfr., G. Gentile, La riforma della scuola in Italia (1932); S. Natoli, Giovanni Gentile filosofo europeo, Torino, Bollati Boringhieri, 1989; A. del Noce, Giovanni Gentile, Bo-logna, Il Mulino, 1990; G. Spadafora, Giovanni Gentile: la pedagogia, la scuola, Roma, Armando Editore,1997; M. Mustè, La filosofia dell’idealismo italiano, Roma, Carocci, 2008; V. Cicero, (a cura di), L’attualismo, (con introduzione di E. Severino), Milano, Bompiani, 2014; A. J. Gregor, Giovanni Gentile: Il filosofo del fascismo, Lecce, Pensa, 2014.

13 Cfr., C. Scurati Esperienza educativa e riflessione pedagogica, Brescia, La Scuola Ed., 2007.

modo di pensare e possibilmente prospettare una pratica scolastica diversa rispetto ai suoi negativi ricordi d’infanzia e a quanto gene-ralmente gli sta attorno. Così avverte la necessità di approfondire il senso del suo operare. Bisogno che lo porta a riconsiderare la pro-spettiva degli studi universitari, sogno che aveva abbandonato dopo la mortificata aspirazione agli studi d’ingegneria.

Nel 1937 affronta il concorso a Roma per poter iscriversi alla Facoltà di Magistero, e lo supera.

Data la lontananza della facoltà universitaria dalla sua residenza e gli impegni ineludibili di lavoro segue molto saltuariamente le lezio-ni. Fra queste ricorda particolarmente quelle di Giuseppe Lombardo Radice,14 le cui letture certamente hanno influenzato la sua origina-ria impostazione culturale.

Nell’anno scolastico 1937/’38 insegna come supplente sempre nella sua provincia, a Potenza Picena (MC). Nel 1938 affronta e vince il concorso magistrale per la provincia di Ancona. Immesso in ruolo, gli viene assegnato l’incarico nella ‘scuola rurale’ di San Felice di Sassoferrato (AN).

Alle scuole rurali15, in genere composte da pluriclassi, venivano

de-14 Giuseppe Lombardo Radice, (Catania, 1879 – Cortina d’Ampezzo, 1938), insegnan-te di Scuola Media e poi doceninsegnan-te universitario. Sotto il ministro Gentile venne nomina-to alla Direzione Generale della Scuola Elementare (1922-24) e ne preparò i program-mi (che manifestavano particolare attenzione verso un’impostazione orientata ad una didattica come esperienza attiva, prevedendo fra l’altro l’uso delle parlate regionali). Il suo è un modello attivo di scuola, costruito a misura di alunno, anti adultista e anti nozionista che valorizza la spontaneità. Fra le sue molte opere pedagogiche e filosofiche si veda in particolare: Vita nuova della scuola del popolo. La Riforma della scuola elemen-tare, Palermo, Ed. Sandron, 1925; Scuole, Maestri e libri. Raccolta di indagini essenziali, Palermo-Roma, Sandron, 1926; Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale, (1913), Firenze, Ed. Sandron, 1946.

Cfr., R. Mazzetti, Giuseppe Lombardo Radice tra l’idealismo pedagogico e Maria Mon-tessori, Bologna, Ed. Malipiero, 1958; G. Cives, Giuseppe Lombardo Radice, Didattica e pedagogia della collaborazione, Firenze, La Nuova Italia, 1970.

15 L’Opera contro l’analfabetismo, istituita con un Decreto del Re nel 1921, fu la prima istituzione normativa ad aprire le scuole diurne nelle frazioni e nelle borgate del Regno.

A questo sono seguiti vari altri decreti e fra questi quello istitutivo delle ‘Scuole rurali’

stinati i giovani maestri e maestre. Ma proprio fra i docenti neofiti circo-lava talora qualche idea nuova; fra queste – come più volte ha ricordato Tamagnini – gli accade di sentir parlare di ‘metodo globale’. S’incurio-sisce e cerca quindi d’informarsi, di scoprire e conoscere questa novità didattica. Cerca e legge soprattutto alcuni scritti di Giorgio Gabrielli16.

A San Felice non c’era un vero e proprio edificio scolastico, tutto si svolgeva in una piccola stanza, come in tante altre scuole rurali d’I-talia non solo prima del 1940 ma anche nei primi anni del secondo dopoguerra.

Le scuole rurali in genere comunque presentavano un vantaggio:

essendo sparse nel territorio, a volte fra colline e montagne, lonta-ne dai ‘grossi’ centri abitati e non essendoci ancora una disponibi-lità economica per l’acquisto e l’utilizzo di un mezzo motorizzato o dell’automobile, assicuravano nel medesimo edificio la disponibilità dell’abitazione per l’insegnante, non esistendo spesso possibilità di altra sistemazione e alloggio. Inoltre per ovvie ragioni logistiche era-no scarsamente controllate dall’autorità scolastica.

Quella di San Felice comprendeva al pian terreno la stalla con gli animali, sopra di essa c’era una stanza divisa in due parti (da un lato il camino con la cucina e dall’altro il letto) e ancora un piano sovra-stante: il fienile per alimentare gli animali della stalla sottostante.

Al pari di tante altre realtà simili, dei casolari dispersi nella pia-nura veneto-padana o fra le colline e le montagne degli Appennini e delle Alpi, l’aula scolastica diventava – come nelle fattorie le stalle

(RDL 20 giugno 1935 - n.1196).

Cfr., L. Montecchi, I contadini a scuola. La scuola rurale in Italia dall’Unità alla caduta del fascismo, Macerata, EUM, 2015.

16 Giorgio Gabrielli, (Palermo, 1886 - Roma, 1973), entra in contatto con Giuseppe Lombardo Radice che diventa il suo fondamentale riferimento nella elaborazione pe-dagogica attivistica, educativa e didattica.

Cfr., G. Gabrielli, Il pensiero e l’opera di Maria Boschetti Alberti, Firenze, 1954; Nuove esperienze didattiche, Firenze, La Nuova Italia, 1952; Gli orientamenti dell’attività edu-cativa nelle scuole materne statali, Torino, Paravia, 1970; D. Grossi, Giorgio Gabrielli e il metodo globale naturale, Roma, 1979.

riscaldate dai bovini per la famiglia patriarcale – il luogo di incon-tro serale e, in questo caso, di possibile riincon-trovo della sparsa comu-nità della zona. E il maestro era dunque non solo l’insegnante per i bambini ma spesso un riferimento culturale a partire dalla lettura e scrittura di lettere e documenti per conto di qualche popolano analfabeta. Durante la fine dell’autunno e l’inverno, (cioè le stagioni

‘morte’, della quiete della natura) era riferimento per sparsi incontri serali dopo le visite fatte a qualche famiglia degli alunni.

In proposito Tamagnini così ricorda:

“Alla sera spesso venivano alla scuola, c’era un focolare, accendevamo il fuoco, cuocevamo le castagne, c’era il fiasco di vino e si stava lì e io facevo lezione. Portavano dei problemi pratici da risolvere, ad esempio:

- Ho venduto il fieno, però io non so se sono stato imbrogliato, perché mi hanno dato un tanto, ma … . E allora facevamo i calcoli, andavamo a misurare il pagliaio e in base alla quantità ragionavamo sul suo valore

… È stata per me un’esperienza molto importante”17.

Era una situazione umanamente motivante che coinvolgeva il ma-estro dei bambini nella semplice e umile realtà di vita rurale del mondo contadino, bracciantile e pastorale. La figura del maestro era socialmente valorizzata in quel contesto nelle periferie e nelle abita-zioni disperse della pianura e della montagna, ambiente caratterizza-to ancora da un diffuso analfabetismo.18

17 Intervista di L. Bettini, cit., p. 31.

18 In Italia si registrava l’analfabetismo totale del 35,2 % nel 1920, del 13,8 nel 1941 e del 12,9 nel 1950. Dato che naturalmente risultava percentualmente molto più elevato in montagna, nelle campagne e nelle periferie urbane, tanto più grave dal centro della penisola fino al sud e alle isole, specie fra le generazioni più anziane.

Una delle tante manifestazioni postbelliche di rivendicazione di terra e lavoro, particolarmente diffuse nel sud della penisola, dove la mancanza di opportu-nità di occupazione e lavoro era endemica.

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 48-55)