• Non ci sono risultati.

La specificità e singolarità della via italiana alla ‘pedagogia cooperativa’

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 157-169)

Fra la fine del 1953 e il ’54 Tamagnini, nonostante la sua reticen-za, ormai sicuro negli esiti della qualità e specificità della esperienza innovativa in corso, si impegna a chiarirne e pubblicizzarne i fonda-menti e gli indirizzi ad una larga platea. Così interviene di seguito con suoi contributi in diverse riviste didattico pedagogiche: stende una presentazione delle tecniche Freinet in “Educazione Democrati-ca”, risponde in una ampia intervista in “La Vita Scolastica” su come tali tecniche vengono applicate in Italia, precisa in un successivo ar-ticolo su “Diana scolastica” il senso di una specifica impostazione del nesso fra Metodo globale e organicità d’insegnamento, descrive infine in “Scuola e Città” il rapporto posto in essere fra Le tecniche Freinet e la CTS e di seguito, sulla medesima rivista, definisce il senso spe-cifico e peculiare perseguito dal Movimento in Le tecniche Freinet:

attivismo organico.

Su “La Vita Scolastica” ad esempio ribadisce che:

“Sulle Tecniche Freinet posso dire quello che abbiamo più volte ripetu-to nel nostro bollettino, e cioè che noi siamo partiti da una posizione assai prudente poiché avevamo molti dubbi sulla rispondenza di esse alle esigenze della nostra scuola; abbiamo soprattutto cercato di inter-pretare lo spirito, più che la lettera, e abbiamo iniziato con il chiaro e semplice proposito di vedere praticamente quello che le tecniche Freinet ci avrebbero permesso di realizzare e fino a qual punto si sarebbero potuto adeguare alle nostre particolari situazioni scolastiche; in ogni

modo ci siamo posti innanzi ad esse senza fanatismo e senza preven-zioni: abbiamo assunto in altre parole un atteggiamento seriamente e criticamente sperimentale. Ora, dopo altri due anni di lavoro, dopo numerose esperienze fatte nelle più diverse condizioni e seguite sempre con vigile spirito critico, ogni riserva è caduta: le tecniche Freinet si sono rivelate suscettibili di adeguazione a tutte le situazioni psicologiche, storiche, programmatiche, ambientali della nostra scuola e, se applica-te rettamenapplica-te nello spirito cooperativo e dinamico che le caratapplica-terizza, consentono come nessun altro procedimento a nostra conoscenza l’atti-vazione della scuola.

Detto ciò bisogna però subito aggiungere che noi non consideriamo af-fatto le tecniche Freinet come il toccasana di tutti i mali che affliggo-no la scuola: esse soaffliggo-no uaffliggo-no strumento prezioso; ma lo strumento affliggo-non è tutto, il risultato dipende naturalmente anche dal modo come questo strumento è usato.

D’altra parte noi non abbiamo condizionato la nostra attività esclusi-vamente alle tecniche Freinet, ma abbiamo sempre cercato di accogliere e valorizzare tutte le esperienze che si fossero mostrate particolarmente e concretamente utili per una reale attivazione della scuola: non è colpa nostra se fino ad oggi di tali esperienze valide non ne abbiamo trovate che ben poche e se le tecniche Freinet ci appaiono sempre come la solu-zione migliore del problema dell’attivismo. Tuttavia, ripeto, noi rifug-giamo da ogni forma di fanatismo e, anzi, recentemente, in riferimento particolarmente alle scuole secondarie, abbiamo spostato l’asse focale della nostra azione dalle tecniche Freinet al principio cooperativo che sostanzialmente ne è il presupposto base, ma che abbraccia un orizzonte assai più vasto e ci consente di porre le nostre esperienze non contro altre esperienze, ma a fianco di esse, di incontrare e collaborare sotto il segno di “Cooperazione Educativa” (è la significativa testata del nostro bollettino) con tutti coloro che sentono il problema e particolarmente con coloro che fanno o hanno fatto qualche cosa e che hanno quindi qualcosa da dire ai colleghi; ci permette di trovarci insieme, di discutere, criticare, chiarire a noi stessi e agli altri le nostre idee e da questo fervore di ricerca e di seria discussione non può non derivare un arricchimento reciproco e, quel che più conta, uno stimolo ed un incoraggiamento per

tutti a fare a tentare a sperimentare: ognuno si sente appoggiato, segui-to e sostenusegui-to da tutti i colleghi del nostro gruppo: se non avessimo altri meriti sarebbe già grandemente positiva la nostra opera per il solo fatto di aver rotto quell’isolamento che regna nel nostro ambiente dove ogni insegnante, in quanto tale, resta isolato come un eremita.

Fra le nostre realizzazioni mi piace sottolineare le esperienze condotte nell’ambito delle scuole secondarie, e particolarmente una, quella dell’I-stituto Magistrale di Monopoli (Pisa) dove per merito della Prof.ssa Nora Giacobini si è tentato con un successo superiore ad ogni aspettati-va l’applicazione delle tecniche Freinet. Sono particolarmente notevoli queste esperienze in quanto non erano mai state tentate neppure in Francia e perciò hanno mostrato la possibilità e la grande utilità di una collaborazione fra ogni tipo di scuola.

(…) Riteniamo che le tecniche Freinet rappresentino un ottimo mezzo per attivizzare l’insegnamento; ma non ci è venuto mai in mente di affermare, e lo abbiamo già implicitamente detto sopra, che la scuola attiva possa esaurirsi nelle tecniche Freinet. Ci teniamo tuttavia a sotto-lineare che secondo noi la scuola attiva in concreto implica sempre una ben chiara e concreta impostazione tecnica e che parlare per esempio di attivismo integrale senza specificare il modo pratico come realizzarlo, è rimanere su un piano astrattamente generico, è voler dire tutto ma in realtà non si dice niente.

Noi non diciamo che le tecniche Freinet siano il solo modo di fare dell’attivismo, diciamo piuttosto che non si fa dell’attivismo generi-camente, che è necessario seguire un procedimento ed avere su di esso idee precise: idee precise sulle finalità che si vogliono raggiungere, sui principi teorici e scientifici che giustificano il procedimento usato, idee precise infine sulla tecnica del procedimento. Diciamo che noi abbiamo trovato le tecniche Freinet rispondenti alle esigenze dell’attivismo più di ogni altro procedimento a nostra conoscenza; che non abbiamo trovato nessun altro procedimento che sia come questo alla portata di ogni in-segnante e di ogni scuola, nessuno che consenta una così vasta apertura di orizzonti per tutti gli alunni, una più razionale motivazione dell’at-tività scolastica del fanciullo, una maggiore valorizzazione dell’apporto dell’alunno e del suo mondo nel quadro preciso delle finalità didattiche

e programmatiche; nessuno infine che risponda altrettanto all’esigenza di una formazione sociale del ragazzo e di una costante preparazione, attivazione, aggiornamento e rinnovamento critico dell’insegnante, e che consenta insieme di utilizzare e valorizzare nel suo spirito e nella sua pratica, in una perfetta coordinazione unitaria, tutte quelle al-tre forme di attività didattica che possono ritenersi utili ‘per realizzare un’educazione veramente completa.

(…) Il nostro movimento è senza dubbio d’avanguardia, basta esami-nare alcune delle sue caratteristiche per rendersene conto:

a) è un movimento di base scaturito dall’urgere dei problemi della scuo-la e si muove, in assoluta autonomia, su un piano di perfetta aderenza alle esigenze pratiche postulate dalla scuola in atto, senza tuttavia estra-niarsi dai presupposti teorici e culturali che giustificano teleologicamen-te la steleologicamen-tessa pratica e le danno un fondamento scientifico;

b) presenta e diffonde un complesso di tecniche d’avanguardia a ca-rattere unitario ed organico, senza esclusivismi e senza possibilità di fossilizzazione, tendente a superare definitivamente ogni forma di tra-dizionalismo passivo, non solo, ma anche tutte quelle forme di pseudo-attivismo così largamente accreditate nelle nostre scuole ove è più diffusa la retorica dell’attivismo che non un vero e sano attivismo;

c) è fondato su principi di larga cooperazione e su presupposti perma-nentemente dinamici di ricerca incessante, di critica e superamento, da cui l’opera del singolo è valorizzata al massimo ed è sottoposta incessan-temente a reciproco controllo inserendosi come elemento vitale in un vasto complesso che è la risultante dell’opera di tutti;

d) studia, sperimenta, prepara cooperativamente e distribuisce alle mi-gliori condizioni tutti quei sussidi didattici e strumenti vari che l’espe-rienza dimostra necessari all’opera del maestro.

La diffidenza con cui viene accolto questo movimento è spiegabilissima, direi naturale. Vi è anzitutto quella resistenza generica, non sempre passiva, che deriva diciamo così dalla forza d’inerzia, dalle abitudini costituite, da una forza mentale fossilizzata su principi storici, da una certa congenita pigrizia che induce a muoversi sulla linea di minor resistenza e che paventa ogni novità come una minaccia alla quiete serena e sicura della routine; vi è quella insofferenza del nuovo, quasi

istintiva, da cui credo nessuno è esente, che spesso impedisce di analizza-re e valutaanalizza-re obiettivamente il contenuto e che porta a una opposizione preconcetta.

Queste forme di resistenza generica sono però più o meno un ostacolo ad ogni tentativo innovatore; ma nei nostri confronti si esercitano, oltre a queste, resistenze suscitate da particolari ragioni inerenti alla natura specifica del movimento stesso. Mi limito a richiamare la sua attenzione su due di queste cause di diffidenza:

a) Il Freinet è conosciuto come marxista e questo particolare ha fatto pensare, o meglio insinuare, che la nostra associazione avesse un carat-tere di parte: insinuazione naturalmente priva di fondamento che non ha trovato alcuna conferma nei fatti ed era già smentita in partenza in quanto noi siamo fin dall’inizio partiti – come ho già detto – su un piano di larga collaborazione prescindendo in modo assoluto dalla convinzioni ideologiche dei colleghi, che il più delle volte ignoravamo, e limitando la nostra attività esclusivamente al campo pedagogico-didat-tico. Inoltre ci tengo a riaffermare che per noi le tecniche Freinet, come ogni altra tecnica didattica, hanno soltanto un valore strumentale: le finalità educative da raggiungere non sono condizionate dallo strumen-to usastrumen-to (tutt’al più potrà esserne condizionastrumen-to il raggiungimenstrumen-to) ma dalle coscienze di chi lo usa; e noi in quel campo – lo abbiamo ripetuto e dimostrato con i fatti – non presumiamo entrare.

La presenza nel nostro gruppo di colleghi delle più disparate correnti che si sono incontrati su un piano di interessi comuni e di comuni aspi-razioni, e che trovano proficua e feconda questa cordiale cooperazione, dovrebbe, mi sembra, essere la prova più convincente della obiettività e serietà del movimento.

b) Ma la ragione più seria e più consistente di diffidenza è dovuta alla prevenzione molto diffusa nel nostro ambiente scolastico, e culturale in generale, contro ogni forma di praticismo e in particolare contro ogni tecnica didattica.” 18

18 G. Tamagnini, Intervista del prof. Franceschini, in “Vita Scolastica”, Rovigo, 16 gen-naio 1954, pp. 49-50.

L’introduzione delle ‘tecniche Freinet’ costituisce indubbiamente l’avvio nell’esperienza italiana di un’autentica ‘pedagogia popolare’

aderente alle condizioni del Paese. Tamagnini infatti sottolinea che:

“Il concetto di cooperazione educativa permea tutta l’attività scolasti-ca creando le condizioni ideali per la formazione umana e sociale del fanciullo. Il bambino lavora in cooperazione con altri bambini e con l’insegnante (il vecchio rapporto di rivalità e soggezione è decisamente superato) e in questa attività gradualmente avviene quel passaggio che porta il fanciullo al superamento dell’io per la conquista di un soggetto più comprensivo, il noi: soggetto nel quale si sintetizza una concezione educativa e morale. Sulla linea di questo processo avviene anche il pas-saggio dalla scolaresca alla classe: il bambino diviene membro cosciente di un collettivo nel quale, non che perdersi, la sua individualità risulta sublimata nella conquista di un valore superiore che dà al ragazzo co-scienza sociale, senso di responsabilità, capacità critica e di iniziativa, spirito di solidarietà: in una parola maturità umana.”19

Fin dall’inizio però Tamagnini ha ben chiaro che il percorso della speri-mentazione e della diffusione delle tecniche didattiche – proposte dal Freinet – deve essere ‘aperto e critico’, capace cioè di connettersi alla specifica realtà sociale e culturale della scuola del nostro Paese. Deve essere quindi una via fondata su un atteggiamento non semplicemen-te riproduttivo ma costruttivo, insemplicemen-terpretativo, critico, cooperativo e dunque, in qualche modo, creativo. Così infatti precisa in un suo arti-colo sulla importante rivista di Codignola, “Scuola e Città”, nel 1954:

“Una caratteristica spiccata della personalità del Freinet e di tutta l’or-ganizzazione sorta intorno a lui, è la perenne dinamicità che non si acquieta su nessuna conquista. Questo concetto di dinamismo creati-vo, di cooperazione fattiva, di negazione di ogni rigida metodica, di antidogmatismo nell’accezione più ampia del termine e di assenza di

19 G. Tamagnini, Le tecniche Freinet e la C.T.S., in “Scuola e Città”, anno V, n. 3, marzo 1954, p. 109.

qualsiasi presupposto teorico che non sia l’adesione costante alle esigenze educative storicamente e psicologicamente determinate (principio que-sto che è stato ed è molto criticato in quanto sembra subordinare la stessa educazione a fattori spesso troppo contingenti sottraendola ad ogni presupposto teleologico) è stato ripetutamente sottolineato dal Freinet in molti suoi scritti”.20

E ancora ribadisce:

“Noi non abbiamo accolto le esperienze altrui se non come esempio ed un incitamento ed abbiamo dovuto e voluto rifare in proprio le espe-rienze impostandole nella loro gradualità man mano che la logica del procedimento stesso determinava il sorgere dei relativi problemi: tipo-grafia a scuola, corrispondenza interscolastica, testo libero, schedario scolastico cooperativo”21.

Il merito comunque del Movimento da lui promosso era quello:

“... di aver portato in un ambiente ove domina il principio individua-listico, uno spirito dinamicamente cooperativo, aver fatto sentire l’esi-genza di una collaborazione nell’attività più squisitamente umana e spirituale, e perciò stesso più intima, quale è l’educazione, l’aver aperto una problematica collettiva in un mondo ove ha sempre predominato la stasi, ove i problemi si sono sempre posti nel ristretto e piatto rappor-to del singolo col singolo; aver crearappor-to le condizioni per una effettiva e permanente circolazione di idee e di esperienze fra scuole e scuole, tra ambienti diversi, tra alunni e fra insegnanti, fra maestri e professori, fra teoria e pratica; aver determinato un colloquio critico in cui gli aspetti tecnici vengono esaminati analiticamente alla luce dei principi teorici e i principi teorici vengono visti in funzione delle esigenze e delle possibi-lità pratiche e aggiornati alla luce delle risultanze dell’esperienza; aver rotto quella barriera apparentemente insormontabile che divide e spesso oppone, la scuola diseredata dello sperduto paesino montano dalla

scuo-20 Ibidem, p. 104.

21 Ibidem, p. 107.

le dei grandi centri; aver allargato l’orizzonte alle possibilità di sviluppo intellettuale degli alunni consentendo loro di stabilire un reale rapporto di vita con un mondo sempre più vasto, aver inserito l’insegnante in un circuito di interessi e di ricerche che lo impegnano in un progressivo e costante miglioramento professionale; tutto ciò ci sembra attingere un valore che nessuno può revocare e porre in dubbio...”.22

A questo intervento di puntualizzazione pedagogica su “Scuola e Città” ne fa seguire poco dopo un altro23, nel quale l’attenzione si sposta sul terreno della didattica, rivolta alla esposizione delle ‘tec-niche freinetiane’. In particolare si affrontano: il testo libero, la ti-pografia, la corrispondenza interscolastica e lo schedario scolastico e auto-correttivo. Era il segno che Tamagnini valutava che le sperimen-tazioni finora svolte nella CTS risultavano oramai sufficientemente collaudate da poter essere presentate complessivamente ad un largo e più maturo pubblico, quale era quello allora di “Scuola e Città”.

Questo taglio costruttivo ma critico impostato dal Tamagnini caratterizzerà non solo il percorso d’avvio della C.T.S. ma darà l’im-pronta e segnerà lo stesso carattere del Movimento italiano nel suo divenire e lo differenzierà sensibilmente da quello francese (C.E.L.

e I.C.E.M.),24 molto subordinato alla figura dominante del Freinet medesimo.25

22 Ibidem, p. 108.

23 G. Tamagnini, Le tecniche Freinet, attivismo organico, in “Scuola e Città”, anno V, n.

7/8, luglio-agosto 1954, pp. 257-264.

24 Célestin Freinet ha costituito la CEL (Coopérative de l’Einseignament Laïc) nel 1928, mentre l’ICEM (Institut Coopératif de l’Ėcole Moderne) è stata formalizzata nel 1948 e svolge tutt’ora solo il ruolo di Associazione pedagogica. Mentre la sua ‘scuola coopera-tiva sperimentale’ di Vence, da lui avviata nel 1935 e rivitalizzata nel dopoguerra, è stata nel 1991 assunta direttamente dal Ministero dell’Educazione francese - come Ėcole Freinet - con uno statuto educativo speciale.

25 Tant’è che il parzialmente divergente dal Freinet, Fernand Oury, (1908-1997), uscirà dall’ICEM avviando nel 1958 la significativa esperienza della ‘pedagogia istituzionale’

e costituendo con lo psicanalista Aïda Vasquez nel 1966 un loro gruppo, il G.E.T.

Giornalino scolastico di una classe del secondo ciclo del maestro Arturo Arcomano ope-rante nella scuola elementare di Roccanova (PZ). Un maestro dall’esperienza professio-nale esemplare che finirà docente universitario all’Orientale di Napoli. Su Arcomano vedasi nota n. 21 a pag. 291.

L’approdo pratico alle tecniche avviene dunque con assoluta gradua-lità. L’azione nei primi anni, segnata dagli iniziali tentativi e speri-mentazioni (indirizzati e seguiti dal Tamagnini), è frutto di un atteg-giamento allo stesso tempo entusiasta verso la proposta freinetiana complessiva ma cauto nel consigliarne una applicazione passiva e totalizzante. Azione quindi da affrontare in modo critico ed in lenta progressione, cercando di analizzarne gli esiti sul terreno pratico del-la formazione. Questo al fine di contestualizzarle meglio neldel-la realtà specifica (professionale e ambientale), con l’obiettivo di migliorarne l’applicazione didattica e di vagliarne cooperativamente la reale effi-cacia cognitiva e formativa nei diversi contesti.

(Groupe Techniques Éducatives). Cfr., A.Vasquez e F. Oury, L’educazione nel gruppo classe (La pedagogia istituzionale), (1971), Bologna, E.D.B., 1975; idem, Memorie di un asino, Milano, Emme Ed., 1976; idem, Tecniche e istituzioni nella classe cooperativa (I presupposti della pedagogia istituzionale), (1971), idem., 1978.

Tale atteggiamento è suggerito in ragione della totale omologa-zione storica da parte della categoria docente (e allora degli stessi testi scolastici nel nostro Paese) corrispondente ad un modello didat-tico sostanzialmente rigido, puramente nozionisdidat-tico e piattamente trasmissivo e ripetitivo. Al contempo pure in rapporto alle incom-prensioni, diffidenze e ostilità del contesto, allora presenti dentro e fuori della scuola, di fronte ad una ben che minima differenziazione dalla normale, cioè piatta, consuetudine scolastica. Si trattava dun-que di scardinare il fulcro stesso dell’azione docente tradizionale: la centralità della cattedra e del libro di testo, di una disciplina sco-lastica rituale e ripetitiva, di un ruolo passivo di scolari e studenti per affermare invece la centralità culturale del soggetto nell’azione operativa e riflessiva di un apprendimento progressivo e critico.

Un’impostazione questa della C.T.S. in sé rivoluzionaria, che ri-chiedeva dunque tenacia nel rompere il modello cattedratico, storico e consueto, ed insieme mantenere cautela professionale nel procede-re gradualmente nei mutamenti, verificandone progprocede-ressivamente la funzionalità didattica e l’efficacia sul terreno del coinvolgimento sin-golo e collettivo, garantendo l’esito didattico e il profitto formativo.

Prima dell’introduzione del complessino tipografico Tamagnini dunque precisa che l’insegnante deve aver avviato una serie di pratiche innovative: dall’individualizzazione dell’insegnamento all’uso dello schedario, pratiche che già rompono con la scuola dell’uniformità trasmissiva. Una tale impostazione cauta e critica nell’applicazione delle ‘tecniche Freinet’, seguita e raccomandata costantemente dal Tamagnini ai neofiti dell’associazione, segnerà negli anni successivi un varco fra le esperienze prodotte dal Movimento e quelle copiate da singoli isolati e talora dai ‘maestri cattolici’, prive di quel sostrato so-cio-formativo che verrà ben ulteriormente precisato in seguito da Bru-no Ciari26 sull’inscindibile intreccio educativo fra ‘tecniche e valori’.

26 Bruno Ciari, (Cartaldo/FI, 1923 - Bologna, 1970). Nato da famiglia di lavoratori antifascisti. Diplomatosi maestro ha poi frequentato l’università a Firenze. Ha

parteci-Base fondante della ‘pedagogia popolare’ è il principio della ‘coo-perazione educativa’, non la semplice applicazione da parte di inse-gnanti ed alunni delle pure tecniche.

Nella relazione al 2° Congresso della CTS Tamagnini sottolinea in-fatti che...

“... l’aspetto più originale dell’opera del Freinet e della nostra attività, quello che permette di superare il gretto individualismo e l’isolamento regnante nella scuola tradizionale, che permette di lavorare insieme, aggiungendo la propria opera all’opera dei colleghi, dando vita ad una creazione ininterrotta in cui confluisce l’opera di tutti e il cui potere di realizzazione di valori va progressivamente, ininterrottamente molti-plicandosi come in un organismo in rapida crescita.

pato alla Resistenza e poi si è iscritto al PCI. Ha iniziato ad insegnare alle Elementari a Certaldo nel ’49, dove è stato anche Vicesindaco. È stato poi comandato ai ‘Servizi educativi’ al Comune di Bologna dal ’66 fino alla sua prematura scomparsa avvenuta nel 1970. Entrato nella C.T.S. nel ’52 vi ha preso parte attiva dal ’54, portandovi un significativo contributo didattico-pedagogico nell’intreccio fra marxismo gramsciano e attivismo deweyano. Cfr., B. Ciari, Osservazioni scientifiche per la scuola media, Firenze,

pato alla Resistenza e poi si è iscritto al PCI. Ha iniziato ad insegnare alle Elementari a Certaldo nel ’49, dove è stato anche Vicesindaco. È stato poi comandato ai ‘Servizi educativi’ al Comune di Bologna dal ’66 fino alla sua prematura scomparsa avvenuta nel 1970. Entrato nella C.T.S. nel ’52 vi ha preso parte attiva dal ’54, portandovi un significativo contributo didattico-pedagogico nell’intreccio fra marxismo gramsciano e attivismo deweyano. Cfr., B. Ciari, Osservazioni scientifiche per la scuola media, Firenze,

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 157-169)