• Non ci sono risultati.

Giuseppe Tamagnini, una figura esemplare di Maestro e di Cittadino

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 26-40)

Giuseppe Tamagnini è una figura emblematica di cittadino e di ‘ma-estro’, ad iniziare dalla sua non facile infanzia e giovinezza per pro-seguire negli anni singolari dello studio-lavoro e fino all’esperienza di militante nella Resistenza, per proseguire nella sua vitale azione professionale e pedagogica.

Spinto da autentici valori umani e sociali, conferma la sua tenacia morale e civile (dopo una prolungata attività di verifica e di ricerca di una pratica scolastica protesa ad una formazione democratica e solidale) nella costruzione del movimento pedagogico fondato su una ‘educazione nella cooperazione’: la CTS/Cooperativa della Tipo-grafia a Scuola, denominatasi poi MCE/Movimento di Cooperazione Educativa. Concluso infine l’impegno professionale di docente ma-gistrale, si dedica all’impegno civico fino ad assumere la responsabi-lità di ‘primo cittadino’ dell’Amministrazione di Apiro. Il Comune comprendente la frazione di Frontale, paese dove è nato e cresciuto e nel quale è ritornato poi in diverse parentesi temporali della sua vita.

Dove pure giace, su sua espressa volontà, la sua salma.

Figlio di artigiani marchigiani, intellettuale autodidatta, usa le mani per dare corpo ai pensieri e, viceversa, vaglia i pensieri attraver-so gli esiti dell’operare concreto.

Fin dal tempo della prima esperienza didattico artigianale con la messa in pratica delle ‘tecniche del Freinet’, coniuga perfettamente attività pratica e pensiero: è insieme progettista, falegname provetto,

utilizzatore di rottami bellici che fonde e assembla per comporre il suo primo complessino tipografico scolastico. È curioso sperimen-tatore e ricercatore di una didattica nuova. Diventa pubblicista, for-matore e propagatore educativo di innovative pratiche didattiche cooperative, disinteressato commerciante di materiale ‘didattico-pedagogico’ al fine di facilitare la propagazione della sperimentazio-ne didattica. Tessitore assiduo di relazioni cooperative e costruttore organizzativo. Animatore e gestore di un originale Movimento na-zionale di educatori aperti, attivi e democratici. Tamagnini attua e diffonde una fondamentale riflessione teorica sulla nuova ‘didattica attiva e cooperativa’. Tutto ciò in tempi in cui nella scuola italiana non molti hanno consapevolezza del compito di promuovere una scolarità consapevole fin dall’infanzia, un’educazione protesa all’af-fermazione del diritto alla pratica di una cittadinanza attiva.

Lungo tutto l’arco della sua esperienza di docente egli manifesta l’esigenza di una scuola da rinnovare e, quindi, dedica una costante attenzione alla formazione dei giovani maestri. Questo sia come in-caricato per tanti anni della sua carriera professionale nella cattedra di ‘esercitazioni didattiche’ presso l’Istituto Magistrale “Giosuè Car-ducci” di Fano (il cosiddetto tirocinio degli studenti indirizzati alla professione magistrale), che soprattutto come libero animatore pe-dagogico, nel dare vita e vigore alla associazione nazionale di docenti professionalmente curiosi e sperimentatori: la CTS-MCE.

Constata da subito che i suoi insegnamenti teorici, rivolti agli studenti nelle sue ore di pedagogia e didattica al Magistrale, sono costantemente smentiti dalle reali pratiche didattiche nelle visite con gli allievi alle diverse classi. Percepisce i limiti e il bisogno di andare oltre un discorso teorico sull’azione didattico educativa, per ricer-care nuove e alternative modalità d’approccio che facciano presa e coinvolgano gli scolari in un apprendimento motivato, partecipe e fattivo.1

1 Il problema della preparazione professionale dei maestri/e, che è cura esclusiva

dell’Isti-Dopo tante letture, ricerche ed incontri – insoddisfacenti quest’ultimi anche al di fuori delle Marche – scopre il pedagogista e maestro francese Celestin Freinet, fortunosamente emerso in una breve nota pubblicistica. Questo gli apre un nuovo scenario. Tutta-via Tamagnini, pur prestando grande attenzione alle singole tecniche didattiche elaborate dal Freinet, ne comprende e ne afferra princi-palmente i valori e lo spirito: il sostrato della cooperazione educativa, appunto. Dalla pratica delle tecniche formative che rappresentano un autentico valore etico, si genera infatti quel soffio aperto e vitale della verifica cooperativa e della ricerca da affrontare in un nuovo clima, tutti insieme, in una scuola aperta alla vita.

Significativa in particolare diventerà la singolare e allora unica esperienza di confronto di idee e di pratiche educative, nonché di ricerca e formazione didattica alternativa alla prassi tradizionale, condotta da giovani maestri/e e pure docenti di scuola secondaria, avviata fra gli anni ‘50-‘60 in singole classi, confrontata attraverso la corrispondenza, incontri periodici e approfondita durante le vacanze estive nella sua ‘Casa estiva MCE’ di Frontale.

Quanti si avvicinarono a lui o quanti stanno oggi percorrendo la strada della cooperazione educativa avvertono e partono tuttora dal-la percezione deldal-la propria inadeguatezza, daldal-la constatazione deldal-la solitudine di insegnanti e formatori che non si accontentano della semplice trasmissione e ripetizione di contenuti di sapere pedagogi-co ma hanno pedagogi-come obiettivo – attraverso un quadro didattipedagogi-co pedagogi- com-plesso – quello della concreta formazione di cittadini critici, attivi e solidali. Obiettivo tanto importante da perseguire – allora come ora – in particolare di fronte alle ricorrenti emergenze socioculturali (dalle classi sovraffollate nei centri urbani alle piccole pluriclassi di-sperse nei diversi territori agricoli e montani del primo dopoguerra,

tuto Magistrale, durerà fino alla conclusione del secolo scorso (Riforma Segni, 1952-1998), Tamagnini l’affronta in uno specifico articolo: Il tornio a pedale e i giovani mae-stri, in “Cooperazione Educativa”, anno XIII, n. 6, giugno 1964., pp. 1-4.

alle classi delle periferie urbane dell’emigrazione meridionale degli anni 60/70 con il processo d’industrializzazione del Paese, alle nuove e crescenti classi plurietniche di oggi, frutto oggettivo di una peniso-la ponte con il sud povero del pianeta).

Egli, pur riconoscendo in Freinet il riferimento fondante del per-corso della “pedagogia della cooperazione”, da lui stesso avviato in Italia, fin dall’inizio dell’esperienza della CTS rivendica alla sua azio-ne e a quella connaturata del nascente movimento della “coopera-zione educativa” piena autonomia di verifica critica, di conseguente libera ricerca e di adattamento alle specifiche contingenze sociali e culturali. Così a dieci anni dall’avvio della CTS infatti annota:

“Il Freinet ci indicava decisamente la via della pratica e ci spronava su di essa, ma noi non ci siamo accontentati della tecnica, ci siamo giu-stamente preoccupati di dare una motivazione teorica ai procedimenti;

volevamo essere certi che quella pratica realizzasse coerentemente i fon-damentali principi teorici della moderna pedagogia, volevamo inoltre essere certi di non essere influenzati da nessuna forma di suggestione:

se accettavamo quei procedimenti e non altri era solo perché potevamo dimostrare che per mezzo di essi ci era consentito attingere gli scopi che l’educazione deve prefiggersi in modo più sicuro e razionale che con qualsiasi altro procedimento a nostra conoscenza.”2

Fin dall’inizio il suo sguardo non si limita ed esaurisce nella Scuo-la Primaria, come è avvenuto in Francia con Freinet, ma si proietta oltre. Pur incentrando l’azione sulla prima fase della formazione del soggetto (allora la Scuola Elementare), in tutto il primo ventennio del Movimento della ‘pedagogia popolare’ il tentativo è quello di andare oltre, di perseguire un fondamento pedagogico formativo unitario.

Un input che si proiettasse oltre la scuola elementare e dell’obbligo, guardando quindi non solo alla fase dell’alfabetizzazione formale e

2 G. Tamagnini, Invito alle tecniche Freinet, in “Cooperazione Educativa”, anno IX, n. 2, febbraio 1960., pp. 2-3.

primaria ma alla duratura ‘formazione del cittadino’. Obiettivo che trova le basi fondanti, ma certo non esaustive, nella Scuola Primaria e dell’obbligo. Convinzioni queste condivise e testimoniate in quegli anni dalle operanti adesioni e azioni didattiche dei professori, futuri noti pedagogisti, quali: Raffaele Laporta, Maria Corda Costa, Aldo Visalberghi, Lidya Tornatore e vari altri docenti di Scuola secondaria di secondo grado. Tentativo difficile, che di fatto sostanzialmente si esaurirà nel MCE col ‘68. Esso rimane tutt’ora un terreno aspro, fondamentalmente ancora in buona parte critico, da solcare e dis-sodare; nonostante la Scuola Secondaria sia diventata una scuola di massa e la formazione tecnica e professionale si protragga necessaria-mente all’università. L’obiettivo pedagogico della formazione di vera cittadinanza rimane infatti tuttora didatticamente da coltivare, ciò in un percorso coerente che non si limiti all’ora di “lezione” specifi-ca ma coniughi le modalità dell’apprendimento con la costruzione, l’acquisizione e l’approfondimento critico di saperi, di atteggiamenti e di relazioni.

Giuseppe Tamagnini è uomo profondamente laico. Iscritto fin dal primissimo dopoguerra al Partito Comunista Italiano (PCI) e rimastovi aderente fino alla fine del secolo scorso, tuttavia non si è mai assoggettato all’asservimento partitico e all’appiattimento ideologico culturale. Atteggiamento questo tutt’altro che comune nel dopoguerra. Va detto infatti che, nei primi anni ‘50 e non solo, la Sinistra non riteneva politicamente efficace per il rinnovamento del ruolo sociale della scuola un’azione condotta sul terreno della semplice azione didattica, talora anzi in parte respingeva l’imposta-zione deweyana, allora ritenuta inadeguata, superficiale. Criticava dunque ‘la pedagogia del modo, del come fare, del metodo’ perse-guita dal Movimento, anteponendo ad essa la politica e i contenuti;

esprimendo perciò, un impianto sostanzialmente ideologico anziché pragmatico (che chiameremmo oggi ‘riformista’).

Altrettanto autonomo è l’atteggiamento di Tamagnini rispetto al

Freinet. Pur nell’adesione politico sociale e nel dovuto riconoscimen-to personale e pedagogico verso lo specifico e originale contriburiconoscimen-to elaborato dal pedagogista francese, egli rivendica una piena libertà di verifica, di percorso, di critica costruttiva e di orizzonti aperti, la-sciando così un segno indelebile nella natura di permanente ricerca cooperativa del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE).

Egli, culturalmente aperto, schivo e tollerante è però fermo nelle proprie coerenze sociali, professionali e di vita. Infatti in una delle sue primissime lettere inviatemi nell’87 (ero allora Segretario naz.

del MCE) scrive:

“Mi permetto di darti un consiglio: mantenere il Movimento autonomo rispetto al Partito.3 Io sono comunista da prima della guerra e lo sarò finché sarò in vita, ma mi sono sempre battuto per questa autonomia fin dal congresso di Pisa nel 1953 dove il partito, su mia richiesta, aveva inviato un osservatore nella persona del compagno Modica. Suc-cessivamente ebbi una lunga, per anni, amichevole ma anche dura po-lemica con la carissima Dina Jovine a cui volevo un gran bene e la sua casa rappresentava il mio punto d’appoggio tutte le volte che capitavo a Roma (il che avveniva con una certa frequenza). In quegli anni, 50-60 frequentavo periodicamente la direzione nazionale del partito e riferivo al responsabile culturale sulla nostra attività. Ebbi contatti con vari compagni della Direzione finché a responsabile culturale fu chiamato Mario Alicata4: fu con lui che stabilimmo i termini dei rapporti tra

3 Ci si riferisce al Partito Comunista Italiano (PCI).

4 Mario Alicata, (Reggio Calabria, 1918 – Roma, 1966). Dal 1955 diresse la commis-sione culturale del PCI, fu membro della direzione del PCI dal 1956, e dal marzo del 1962 fu direttore de «L’Unità». Nel 1963 firmò l’editoriale del primo numero della rivista teorica «Critica marxista», dal 1964 fu membro della Segreteria naz. del PCI.

Cfr., C. Salinari, A. Reichlin, A. Tortorella, G. Amendola, Mario Alicata intel-lettuale e dirigente politico, Roma, Editori Riuniti, 1978. La relazione di Mario Alicata al Comitato Centrale del 28-29 novembre 1955 costituisce di fatto il punto di avvio dell’impegno nella politica scolastica del Partito Comunista Italiano. Cfr., Fabio Pru-neri, La politica scolastica del Partito comunista italiano dalle origini al 1955, Brescia, La Scuola, 1999. Mario Gattullo e Aldo Visalberghi, La scuola italiana dal 1945

Movimento e Partito. Egli era assolutamente convinto come me che il M. doveva conservare completa autonomia in modo da poter rappresen-tare una piattaforma d’incontro tra persone anche di diversa ideologia ma che avessero interesse al rinnovamento della scuola in senso demo-cratico e antidogmatico, volta a sviluppare negli alunni senso critico, spirito d’osservazione e di ricerca, cooperazione, solidarietà. Il partito avrebbe dovuto seguire e affiancarci dall’esterno e riprendere, sviluppare e all’occasione criticare o correggere su Riforma5 i motivi dominanti del nostro lavoro. Ciò in realtà non avvenne, tanto che lo stesso Alicata se ne lamentò pubblicamente in occasione di una riunione del direttivo dell’Istituto Gramsci. Cose passate, ma per me il principio dell’autono-mia è sempre valido. Come del resto l’autonodell’autono-mia del sindacato.”6 Dunque la fiammata contestativa del ’68, talora per alcuni versi fatta fra le nuove generazioni più di fugaci proclami che di coerenti e costanti azioni ed opere, non poteva che vederlo ideologicamente distinto e talora distante nelle nuove pratiche politico relazionali, impregnate spesso di superficialità declamatorie e spesso di fumoso ideologismo. Si stava comunque chiudendo un’epoca, la sua, e se ne apriva un’altra con orizzonti e problematiche sociali e culturali nuove e diverse, più proiettate e connesse alle moderne sfide sociali e tecnologiche, conseguenti alla maturazione meccanico-industriale del nostro Paese, incluso oramai, con il post “miracolo economico”, fra i paesi leader in Europa.

Tamagnini, pur sconcertato dalla contestazione personale, avver-te il cambio socioculturale dei avver-tempi e con discrezione lo riconosce

al 1983, Scandicci, La Nuova Italia,1986.

5 Si tratta della rivista mensile nazionale del Partito Comunista Italiano (PCI), Riforma della Scuola, nata nel novembre del 1955 e dedicata ai temi della politica scolastica e della formazione; chiusa nel 1992. Rivista fondata da Lucio Lombardo Radice e Dina Bertoni Jovine.

6 G. Tamagnini, da una lettera inviatami dalla sua residenza d’allora: Ancona, 8 settem-bre 1987.

e ne prende atto. Egli con la modestia ed insieme con la fermezza, che hanno caratterizzato tutta la sua vita, sa cogliere le distanze in-tervenute e lo strappo dei tempi e così sa trarsi silenziosamente in disparte, lasciando alle nuove generazioni – senza imporre vincoli e trasferire lacerazioni – uno spazio aperto verso il futuro al Movimen-to pedagogico di base da lui creaMovimen-to.7

In Italia alla contestazione culturale del mondo studentesco del

‘68 segue la primavera operaia dell’autunno caldo del ‘69 che se-gnano nel Paese un processo di trasformazione socioculturale stra-ordinario, che portò ad iniziare dalla legge 300 dello ‘Statuto dei lavoratori’ dell’anno successivo (con il riconoscimento da parte delle imprese pubbliche e private dei delegati e del loro potere di inter-vento nell’organizzazione del lavoro e allo sviluppo di iniziative per il ‘diritto allo studio’ con le 150 ore)8 e poi ai ‘Decreti delegati della scuola’ (Legge 477/73)9, che hanno trasformato l’impianto della sua gestione, ad una lunga stagione straordinaria di riforme sociocultu-rali negli anni 70.

7 Per conoscere e capire il ’68 e gli anni ‘70 che ne seguirono con la loro profonda ricaduta culturale e professionale nella nostra scuola può essere utile una documenta-zione in proposito. Cfr. fra l’altro: N. Matteucci, Sul Sessantotto. Crisi del riformismo e «insorgenza populistica» nell’Italia degli anni Sessanta, Rubbettino, 2008. M. Bon-tempelli, Il sessantotto. Un anno ancora da scoprire, Cagliari, CUEC Editrice, 2008.

G. Gozzini, Il ‘68 visto dal basso. Sussidio didattico per chi non c’era, Trieste, Asterios, 2008. G. De Luna, Le ragioni di un decennio 1969-1979. Militanza, violenza, scon-fitta, memoria, Milano, Feltrinelli, 2011. A. Ventrone, «Vogliamo tutto». Perché due generazioni hanno creduto nella rivoluzione 1960-1988, Bari-Roma, Laterza, 2012. M.

Capanna, Formidabili quegli anni, Milano, Garzanti, 2017. C. Cocilovo e P. Borto-lini, Fra sogno e realtà (La sperimentazione nelle scuole dell’obbligo a Milano negli anni 70), Milano, Comune - Biblioteca di Milano, 2017. R. Iosa, (a cura di), Generazione don Milani. Frammenti di biografie pedagogiche, Trento, Ed. Erickson, 1917. M. Baci-calupi, P. Fossati, M. Martignone, (a cura di), Il sessantotto della scuola elementare, Milano, Ed. Unicopli, 1981. AA.VV., 1968 - E niente fu come prima, 2018, “Quaderni di articolo 33”, n. 4, Roma, Edizioni Conoscenza, 2018.

8 Legge n. 300 del 20.05.1970, Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, del-la libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento.

9 Cfr., R. Rizzi, La scuola dopo i decreti delegati, Roma, Editori Riuniti, 1975.

Il MCE in corrispondenza a questo cambiamento generale del Paese e in coerenza coi tempi di riscatto sociale ed evoluzione cultu-rale del post ’6810 segnò pure esso un decennio di forte trasforma-zione e di conseguente espansione nelle adesioni con la costituzio-ne di molti ‘Gruppi territoriali’. Per registrare poi con l’inizio degli anni 80 una lenta ma progressiva contrazione, in una società che si andava marcatamente trasformando sia sul terreno produttivo che socioculturale con l’ingresso delle nuove tecnologie della comuni-cazione informatica e telematica. Il Paese infatti registrava l’avvio di una stagnazione dell’economia nazionale e con essa l’inizio di una lunga fase di riflusso partecipativo segnata dalla progressiva crisi ed estinzione dei partiti storici11 e l’acuirsi della crisi del Meridione. In tale contesto di spaesamento, di frammentazione sociale e di crescita dell’individualismo (non si parla quasi più di ‘classe operaia’) biso-gnerà attendere l’inizio del nuovo secolo per registrare i segni di un certo risveglio partecipativo nel Paese12 e parallelamente i sintomi di una nuova ripresa di attenzione nella scuola di base al Movimento della ‘pedagogia popolare’13.

Ci sono voluti nel ‘nuovo’ MCE della società industrial-mecca-nica post’68 alcuni decenni perché venisse ricordato e riconosciuto

10 Si pensi ad esempio alla lotta contro la discriminazione sociale nelle pratiche scolastiche e alla eliminazione del ‘doppio turno’ quotidiano della frequenza, all’impegno per la scuola a ‘tempo pieno’, al voto unico contro la selezione e l’introduzione delle ‘schede di valutazione’, alla partecipazione sociale con la gestione democratica degli Organi Collegiali e l’introduzione dello Stato giuridico del personale della scuola, all’inseri-mento degli handicappati nella scuola di tutti e all’uso alternativo ai libri di testo con dei materiali di documentazione didattica e culturale.

11 La Democrazia Cristina (DC), il repubblicano PRI, il socialdemocratico PSDI e socia-lista PSI, il comunista PCI, quello liberale era oramai da anni scomparso.

12 È della fine del 2019 la fioritura, fra gli altri, del movimento progressista spontaneo e di massa delle cosiddette, e come tali rappresentate, “sardine”.

13 Le adesioni al MCE passarono dalla punta massima del 1977 con i 3.321 iscritti al dato minimo del 2015 con i 451 aderenti per poi risalire gradualmente ai 965 del 2019.

pienamente a Giuseppe Tamagnini il suo fondamentale apporto al sorgere, all’affermarsi e al crescere in Italia del solco cooperativo del-la ‘pedagogia istituzionale popodel-lare’. Comunque solo il tempo supera l’effimero, riconosce la sostanza e dà vera memoria.

A settant’anni dall’introduzione delle ‘tecniche Freinet’ e delle pratiche della ‘cooperazione educativa’ in Italia e a mezzo secolo dal rivolgimento socioculturale del ’68, molte e radicali trasformazioni si sono susseguite nella società: sociali, politiche, culturali e soprat-tutto tecnologiche. Sia il mondo contadino e pastorale che in parte quello meccanico-industriale del secolo scorso sono oramai diventati prevalentemente una memoria e ricordo storico, specie fra i giovani del 2000. Il mondo delle vecchie imprese lito-tipografiche, non solo scolastiche, è stato superato anch’esso dall’evoluzione tecnologica della società info-telematica, diventando un dato museale.

Dal primo contatto internet del 197914 la tecnologia info-tele-matica ha fatto passi da gigante e molta informazione, formazione e trasformazione operativa è passata attraverso i monitor, i tablet e le tastiere.15 Internet costituisce oggi universalmente l’ambiente ana-logico e digitale che coinvolge sempre più la vita delle imprese e i rapporti culturali, sociali e umani delle persone.16 La sua diffusione

14 Il primo messaggio inviato sulla rete è datato 29 ottobre del 1969, svolto da uno stu-dente ricercatore, Charley Kline, della UCLA (University of California, Los Angeles) che la inviò a Stanford sulla rete ARPANET (Advanced Research Projects Agency Network) che collegava quattro università statunitensi.

15 L’Italia è stato il quarto paese a collegarsi ad Internet, dopo Gran Bretagna, Norvegia e Francia, smarrendo poi successivamente questo importante primato tecnologico.

16 Il fondamentale servizio di internet, dato dal Web (World Wide Web), è nato nel 1989.

Nel 1994 è partito il ‘motore di ricerca’ Yahoo!, a cui ha fatto seguito nel 1998 Google, che si compone anche di molti altri servizi rivolti alla comunicazione (mail, messen-ger e chat), e successivamente Bing (2009). Contemporaneamente e in successione sono sorte la cineteca Netflix (1997), la libera enciclopedia Wikipedia, la raccolta mu-sicale iTunes (2001), le messaggistiche multilingui Facebook (2004), Twitter (2006) e Whatsapp (2009), gli audiovideo YouTube (2005), la postazione d’immagini Instagram (2010), nonché l’impresa commerciale Amazon (1994), quelle per prenotare viaggi e

e dimensione è oramai planetaria, superando territori, confini e oce-ani. Attualmente Internet, infatti, tocca la vita di quattro miliardi e mezzo di soggetti su un totale di meno di otto miliardi di abitanti del nostro pianeta. E anche questo limite è destinato rapidamente ad esser travalicato. Le grandi aziende tecnologiche digitali (le ame-ricane Apple, Google, Facebook, Amazon, Ebay…; le cinesi Baidu, Sogou, Alibaba, Tencent, …) non hanno più confini, alimentano (e talora controllano) gli scambi e le relazioni fra i soggetti, imprese e persone, condizionando sempre più un’economia diventata planeta-ria e globale.

Le generazioni del nuovo millennio sono oramai cresciute fin

Le generazioni del nuovo millennio sono oramai cresciute fin

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 26-40)