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Un orizzonte espressivo, culturale e formativo aperto, oltre il paese e il manuale

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 169-174)

La base fondante della ‘pedagogia Freinet’ più che in ogni al-tra tecnica va individuata innanzitutto nel ‘testo libero’. Essa pone il bambino fin dai suoi primi atti scolastici in una condizione psico-logica di ‘libera espressione’ che certo non si esaurisce nella scrittura ma si apre in ogni altra modalità espressiva, a partire dal disegno e dalla pittura, oltre che dal movimento corporeo. È proprio questa la tecnica alternativa alla scuola dell’apprendimento tradizionale, basa-ta sosbasa-tanzialmente sulla trasmissione e ripetizione. Non ideologica, come sottolinea spesso Tamagnini, ma operativa e psicologica. Ap-parentemente neutra ma nella sostanza, se condotta con profondità e coerenza didattica in progress, suscettibile di aprire a bisogni, di valorizzare esperienze e riconoscere diversità, di sollecitare atteggia-menti aperti di sé e curiosi verso gli altri. Proiettata dunque verso un percorso formativo fatto di relazioni e di considerazioni del diverso e del nuovo.

Sarà proprio il primo naufragio nell’uso settoriale del complessino tipografico a far comprendere al Tamagnini la necessità di collocare questo strumento a compimento conclusivo di un percorso di inno-vazione didattica ed educativa. Di quella prima esperienza negativa farà tesoro. Infatti, le successive esperienze, condotte innanzitutto dalla Fantini e poi da Giovanetti, attesteranno la necessità di puntare primariamente su un contesto psicologico e scolastico di liberazione espressiva, fonte prima ed essenziale di un’autentica scuola viva.

La crescita dell’attenzione attorno alla proposta del Tamagnini

poi, coniugata al costo del complessino tipografico - pari allora allo stipendio di un mese dell’insegnante (come testimonia Aldo Pettini)28 e dunque non sempre acquisibile - poneva la necessità (oltre alle ra-gioni pedagogiche accennate) di centrare l’avvio dell’azione didattica da parte dei nuovi aderenti innanzitutto a partire dalla tecnica del

‘testo libero’, della ‘libera espressione’ grafico pittorica e dall’apertura verso nuovi orizzonti di vita e di relazioni; modalità offerte appunto dalla ‘messa a punto collettiva del testo ’ e dalla ‘corrispondenza inter-scolastica’ . Essenziale strumento didattico, quest’ultimo, di apertura in un mondo ancora limitato, per lo più preindustriale e comunque pretelevisivo, chiuso dentro i confini familiari e ambientali locali.

Date tali premesse, è ovvio che oltre all’esperienza personale di vita occorrevano nuove e più specifiche fonti e strumenti di informa-zione, di documentazione e di lavoro. Il manuale di lettura e il sus-sidiario apparivano fin da subito insufficienti e inadeguati per una scuola veramente attiva e per un orizzonte culturale ed educativo aperto. Tanto più che allora, escluse le città, non esistevano in pro-vincia biblioteche pubbliche e frequentazione di librerie. La lettura dei giornali era patrimonio esclusivo delle famiglie borghesi. Am-pliare le possibilità di documentazione, di consultazione e di verifica era l’obiettivo principe per riuscire ad impostare un’azione didattica aperta, dinamica e partecipata. L’esperienza freinetiana in questo era già maestra. Tamagnini ne è ben consapevole. Così già nel numero unico, “Cooperazione pedagogica”, del maggio 1952 egli ne affronta il tema in un articolo dal titolo ‘Lo schedario nella scuola moderna’, accompagnato da altri specifici contributi su ‘Schedari e classificazio-ne’ di Aldo Pettini, ‘Schedari auto-correttivi’ del francese Andrée Bo-yer, che attestano l’attenzione e l’importanza assegnata al problema.

28 Pettini annota: “... un impianto tipografico, a quel tempo costosissimo per un maestro (per un complessino CTS ci voleva lo stipendio di un mese!), che quasi sempre doveva farvi fronte da solo”, in A. Pettini, Origini e sviluppo della cooperazione educativa in Italia, Milano, Emme Edizioni, 1980, p. 22.

Nel suo contributo introduttivo del tema da subito infatti precisa:

“[…] se è vero che l’introduzione e l’uso dello schedario presuppone una classe già orientata ai metodi dell’attivismo in genere e in particolare all’individualizzazione dell’insegnamento, d’altra parte non è concepi-bile una scuola attiva e un insegnamento individualizzato senza uno schedario: le due cose sono in stretta reciproca correlazione e si condi-zionano a vicenda. Mentre nulla vieta di pensare una scuola attiva senza tipografia e magari senza corrispondenza, senza uno schedario è impossibile.

Lo schedario scolastico dunque è la condizione, sine qua non, per un effettivo rinnovamento della scuola.

A questo punto, a scanso di fraintendimenti, credo sia bene definire cosa intendiamo noi per schedario: per noi lo schedario comprende tutto il materiale documentario e di consultazione che la scuola mette a dispo-sizione degli alunni (e dell’insegnante) per tutto il lavoro individuale e di gruppi, cioè in sostanza per tutto il lavoro scolastico: materiale che può andare dalla schedina vera e propria con pochi schematici dati, all’opuscolo monografico, all’articolo di giornale o di rivista, al capi-tolo del libro, alla voce dell’enciclopedia; dalla cartolina illustrata al francobollo, alle documentazioni fotografiche, alla cartina topografica, alla lettera del compagno lontano, all’opuscolo di reclame turistica, alla raccolta di fossili o di insetti o di erbe ecc. ecc.

Ciò che permette a materiale così disparato e frammentato di acquistare organicità e praticità estrema è il fatto di essere “schedato” e classificato in modo tale che il bambino possa da solo far delle ricerche e ‘documen-tarsi’ sul ‘lavoro’ che egli sta compiendo.

Come si vede, sia la raccolta del materiale, sia la schedatura e la classi-ficazione non sono problemi da prendersi alla leggera, e noi intendiamo studiarci a fondo, e non sulla carta ma attraverso l’esperienza diretta, avvalendoci anche naturalmente dell’esperienza e delle realizzazioni altrui.”29

29 G. Tamagnini, Lo schedario nella scuola moderna, in “Cooperazione Pedagogica”, nu-mero unico, maggio 1952, p. 11-12.

Sarà questo un tema centrale nel percorso di sperimentazione e ri-cerca fin dall’inizio. L’aula diventerà non solo un luogo di incontro e di transito, scuola ambiente, ma un piccolo laboratorio e insieme un piccolo centro di documentazione con i materiali più vari, portati dall’insegnante e raccolti dagli alunni in ragione delle ricerche poste in atto. Questo non solo negli anni della CTS ma del MCE, anche se via via acquisterà nuove e diverse valenze a partire innanzitutto dalla battaglia post ’68 contro il libro di testo unico, con la scuola a tempo pieno.

Con il consolidamento della presenza della CTS crescono l’at-tenzione e insieme le critiche all’impostazione dell’iniziativa. Da un lato, il rifiuto dei militanti della CTS di un collateralismo alla politi-ca faceva sorgere la critipoliti-ca da parte della sinistra per tale assenza. Dal-la parte opposta, cattolica e idealistica, si denunciava o comunque si metteva in guardia dalla scelta frenetiana della CTS, cioè di un peda-gogista ad orientamento marxista. Quindi Tamagnini in occasione del Congresso dell’Associazione del ‘56 risponderà a queste accuse, sia di pragmatismo (proveniente in particolare dalla pedagogia idea-listica), che di tecnicismo (espressa da più parti ma in particolare dal campo comunista), che infine di simpatia marxiana (denunciata dal-la destra cattolica), ribadendo dal-la specificità e l’autonomia dell’azione didattica rispetto alla politica e alle scelte ideologiche. Di questo intervento comunque parleremo più avanti.

Congresso di Signa (FI), 1-4 novembre 1954. Da sinistra: Rino Giovanetti, Marghe-rita Zoebeli, Aldo Pettini, Célestin Freinet, Carmela Mungo, Anna Fantini, Giuseppe Tamagnini e, sotto, Nora Giacobini, Maria Luisa Bigiaretti.

La crescita delle adesioni pone una nuova

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 169-174)